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Enea, una narrazione tutta sbagliata

La storia del bimbo lasciato il giorno di Pasqua nella «Culla per la vita» della clinica Mangiagalli di Milano è l'esempio di come non dovrebbe essere comunicata una vicenda di questo tipo, sia per il benessere futuro del bambino sia per rispetto verso la madre, di cui non conosciamo identità e motivazioni

di Veronica Rossi

Di Enea, il bambino lasciato alla «Culla per la vita» della clinica Mangiagalli di Milano il giorno di Pasqua, grazie al battage mediatico di questi due giorni sappiamo tutto, compresi il peso e il colore dei capelli. Dai medici alle personalità televisive, come Ezio Greggio, che ha postato un appello diretto alla madre su Twitter, in molti si sono sentiti in dovere di entrare nel merito di questa vicenda. Non è detto, però, che tutta questa informazione sia un bene per il bimbo, per la persona che l’ha messo al mondo, per i futuri genitori adottivi e per chi, in futuro, si potrà trovare in questa situazione.

«Dare delle informazioni così puntuali, come il colore della copertina in cui era avvolto, lascia tracce nella rete oltre che nei ricordi della gente», commenta Monya Ferritti, presidente del coordinamento Care, ente che supporta e promuove l’associazionismo familiare adottivo e affidatario, che oggi conta 40 membri in tutta la Penisola. «Questo, di fatto, priva il neonato della gestione della sua storia personale. Tra dieci o dodici anni farà presto a trovare su internet tutto ciò che è stato scritto su di lui o sulla madre nel 2023, in termini pietistici o peggio: gli stiamo lanciando dei bocconi avvelenati per il futuro». Ma c’è un’altra cosa di cui tutta questa esposizione mediatica potrebbe privare il bimbo. «I genitori adottivi dovranno cambiargli il nome, se, come penso, è quello reale, che la mamma aveva scelto per lui», continua Ferritti. «Spesso si tratta dell’unica cosa che i bambini abbandonati conservano della loro origine». Per gli adottanti, sarò impossibile parlare anche della lettera che è stata trovata nella culla, assieme al piccolo, persino ai parenti più prossimi. «Al bambino è stato fatto un grave danno: la sua storia è diventata di dominio pubblico ancora prima che lui potesse deciderne cosa farne», chiosa la presidente di Care.

Le «Culle per la Vita» sono strutture concepite per permettere alle madri in difficoltà di lasciare un neonato, garantendone la sicurezza. A differenza del parto in anonimato, che lascia uno spiraglio nel caso il genitore naturale o il figlio vogliano un giorno ristabilire un contatto, questi strumenti sono pensati per impedire totalmente di rintracciare le origini. Per una puerpera, prendere la decisione di separarsi dal bimbo appena messo al mondo non è una scelta facile. Ma, se fatta in maniera responsabile, come in questo caso, va rispettata. «Se utilizzare le strutture più sicure per lasciare un bambino ti mette al centro di un dibattito politico e mediatico di questa portata», dice Ferritti, «c’è il rischio che altre donne optino per strade meno sicure. La scelta di questa donna, o ragazza, mi sembra lucida, sulla base di quello che purtroppo è trapelato sulla stampa, non mi sembra emergenziale, presa sull’onda dell’emotività: ha deciso di non voler essere madre in questo momento e questa decisione va rispettata». Le motivazioni non devono essere per forza di natura economica, come viene fatto intendere, tra gli altri, dal video diffuso su Twitter dal conduttore televisivo Ezio Greggio. «Di mamme molto povere che tengono proprio bimbo è pieno il mondo», afferma Ferritti, «la scelta di abbandonarlo è spesso multidimensionale: la realtà è più complessa della semplificazione che se ne fa. Quello che sappiamo della lettera lasciata assieme ad Enea è che la volontà è quella di dargli un futuro migliore, che non sempre coincide con il possedere più beni materiali». A conclusione del suo video, il noto personaggio dello spettacolo dice che il bambino «si merita di avere una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera». Una frase estremamente pericolosa per chi, come il Coordinamento Care, da anni costruisce faticosamente un cammino per la propria famiglia. «Questo è un tema che i nostri figli si portano dietro», racconta Ferretti, «è qualcosa che gli viene detto e bisbigliato alle spalle: è gravissimo perché mette in discussione quelli che sono i loro legami fondamentali. Tutte le madri e tutti i padri sono veri. Di questa vicenda, mi ha fatto piacere che a muoversi contro questa affermazione non sia stato solo il sistema dell’adozione, ma anche la società civile in generale». La storia di Enea, isomma, è un esempio di come non andrebbero gestiti i casi di neonati lasciati nelle «Culle per la vita». «Il modo corretto di rapportarsi a questa vicenda sarebbe stato quello del silenzio», conclude Ferritti, «della riservatezza e del rispetto».

Foto in apertura da Pixabay


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