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Caivano, nel ghetto della droga il sociale sfida la camorra (e l’assenza dello Stato)

Le realtà sociali del Sud Italia, e non solo, insieme al Parco Verde di Caivano, uno dei luoghi più degradati del Sud Italia. Una periferia nella periferia a nord di Napoli. «Un quartiere che è nato in modo sbagliato», ammette il sindaco di Caivano Enzo Falco. Seimila persone, nessun servizio, 12 piazze di spaccio, una scuola di trincea e i bambini che giocano in mezzo alle siringhe. E allora quanto vale questo gesto? «Qui vediamo il germoglio del riscatto, che si deve far crescere con cura», dice Carlo Borgomeo che dopo 14 anni lascia la presidenza di Fondazione Con il Sud, a lui succede il professore Stefano Consiglio

di Anna Spena

Nel Parco Verde di Caivano, comune di periferia a Nord di Napoli, le persone non entrano neanche per sbaglio, a meno che non ci vivano. Se digitate su Internet “Parco Verde” troverete questi risultati: Blitz a Caivano, arrestate quattro persone al Parco Verde. O ancora “enorme quantità di droga circola liberamente a Caivano e al Parco Verde”, ma anche “Droga nascosta nelle case popolari”. E allora perché le realtà sociali del Sud Italia, e non solo, si sono date appuntamento proprio qui? L’occasione ufficiale è il termine del mandato di Carlo Borgomeo, da 14 anni alla guida di Fondazione Con il Sud, a lui succede il professore Stefano Consiglio. Il nome dell’incontro è: “Con il Sud, un futuro già visto. Manifesto alla rovescia: il sociale prima dell’economico per uno sviluppo possibile”. E allora il Terzo settore è qui per condividere un’idea e una visione di sud che parte dal sociale. Cosa è possibile qui? Come si riparte dal sociale? «Questo è un quartiere conosciuto soprattutto per le negatività», spiega il sindaco di Caivano Enzo Falco. «È un quartiere che nasce in modo sbagliato. Dopo il terremoto dell’Ottanta c’è stata una deportazione da Napoli verso le periferie. Ecco il Parco Verde è una periferia nella periferia. Bisogna intervenire con forza. Sulle strutture delle case, sulle 12 piazze di spaccio, bisogna aiutare le famiglie straordinarie che abitano nel parco e che sono penalizzate due volte: dalla disperazione e dall’assenza delle istituzioni. Anche dall’assenza a volte dell’amministrazione comunale», ammette il sindaco. «Ma il comune da solo non ce la fa».

Fondazione Con il Sud avrebbe potuto scegliere qualunque altro luogo in Campania, qualunque altro posto di Napoli. Usare la bellezza straordinaria della città come uno sfondo: il mare, il Vesuvio, la collina di Capodimonte. E invece oggi ha riunito tutti qui. In una piccola città di periferia. In un parco dove i bimbi giocano tra le siringhe a terra. Dove non c’è illuminazione, le case letteralmente cadono a pezzi. Dove non ci sono i servizi, se non quello della “droga facile”, dove da soli si ha paura ad entrare. Il Parco Verde di Caivano è un luogo che la camorra si è mangiato pezzo dopo pezzo. Un luogo di povertà estrema da un lato e dall’altro di case occupate abusivamente da persone che la camorra ha messo lì togliendole a chi, di quelle case, aveva bisogno per davvero. Il luogo dove padre Maurizio Patriciello, dall’altare della chiesa di San Paolo Apostolo, ha denunciato lo scempio della Terra dei Fuochi e le morti dei bambini malati di tumore, troppi, tutti concentrati nella stessa area. Nel parco c’è una scuola: «una scuola di trincea», dice Bartolomeo Perna, preside dell’istituto comprensivo statale 3 Parco Verde. «Siamo in prima linea insieme agli insegnanti. E non lavoriamo solo con i ragazzi, ma con le famiglie, o almeno ci proviamo. Dobbiamo far vedere una strada diversa a questi ragazzi. C’è bisogno del Terzo settore qui. C’è bisogno», ripete.

Sì al Parco Verde c’è un bisogno di cura e attenzione. E oggi anche una commozione generale e tangibile. Un fatto che si può toccare, un fatto che si chiama speranza. Sono intervenuti in molti: da padre Antonio Loffredo, direttore delle Catacombe di Napoli che è stato chiaro: «Una squadra fatta solo dal Terzo settore non può vincere», a Gaetano Giunta, segretario generale fondazione di comunità di Messina e ancora, Stefania Mancini, presidente di Assifero, Paolo Morerio, presidente di fondazione Peppino Vismara, Filippo Nicolò Rodriguez, consigliere Delegato di Enel Cuore Onlus. E poi Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini, Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Nazionale Terzo Settore, Giuseppe Guzzetti, già Presidente di Acri e Francesco Profumo, presidente di Acri, Marco Imperiale, direttore generale di Fondazione Con il Sud, Giorgio Righetti, direttore generale di Acri, Maurizio Mumolo, direttore del Forum Nazionale Terzo Settore. Ma a spiccare è la voce di chi il parco lo vive, ci vive. Bruno Mazza qui ha fondato l’associazione “Un’infanzia da vivere”. È un ex spacciatore, un ex detenuto. «Io sono nato a Napoli, nel Rione Sanità», racconta. «Dopo il terremoto ci hanno portati qua, doveva essere una soluzione provvisoria. Le strade non erano asfaltate, le case non avevano ancora le finestre, eravamo piccoli, non c’era niente, e dovevamo vivere la noia». Mazza dice proprio così: “vivere le noia”. E la sua, e dei tanti come lui, l’ha riempita la criminalità organizzata.

«Non dovevamo essere lasciati da soli, nelle strade. Lasciarci da soli, a me e ai ragazzi come me, ha segnato i nostri anni successivi: io, per esempio, sono entrato e uscito di galera». Mazza continua il suo racconto: «Nel 1996 nel parco arrivò un boss di camorra dai quartieri spagnoli di Napoli. Voleva prendere tutte le piazze di spaccio. Ci chiamava ”i coraggiosi”, ci avvicinò così e noi di quelle piazze che il boss voleva diventammo gli spacciatori». Mazza nel 1998 viene arrestato: «La polizia mi fermò per strada, avevo una pistola addosso. Dovevo fare una “stesa” (ammazzare una persona ndr) per un pareggiamento di conti di camorra. Per fortuna quella persona non l’ho mai trovata. Dopo l’arresto vengo portato a Poggioreale per la detenzione». Mazza racconta la sua storia, va avanti e indietro nel tempo, poi ritorna alla preadolescenza: «Mio padre è morto quando avevo 12 anni. Mia madre da sola non ce la faceva. Io e i miei fratelli eravamo difficili. Io la prima media l’ho ripetuta per sei volte, nessuno a scuola capiva che era difficile. Se penso a me, alla fine, dico che sono stato fortunato, avevo comunque una madre. Del gruppo dei miei 14 amici nessuno aveva i genitori. Erano tutti morti o tutti in carcere. Ma adesso anche i miei 14 amici sono tutti morti: assassinati o per overdose. Pure mio fratello è morto per droga, tutti qua muoiono per droga. Mi sono salvato perché in carcere mi sono avvicinato alla scuola, ho scelto di studiare. Nel mio parco ci sono 12 piazze di spaccio e non c’è una farmacia. Nel mio parco siamo seimila persone».

Se non si ha “dimestichezza” con il Parco Verde forse non si coglie fino in fondo il valore simbolico di un giorno come questo. Il Parco Verde è un buco nero, che risucchia. E per fermare questo vortice qua deve intervenire il sociale. Lavorare con le famiglie, per i giovani che lo abitano, per i bambini soprattutto, significa cambiare paradigma. E passare dalla criminalità alla bellezza. Dall’assenza alla presenza. Non è un caso il murale che è apparso in questi giorni all’ingresso del parco. É un segno, l’inizio, un promemoria: “Nessuno Resti Solo”, dice il titolo. L’opera, commissionata da Fondazione con il Sud, l’ha realizzato l’artista palermitano Igor Scalisi Palminteri.«La bellezza è uno strumento indispensabile per sconfiggere il degrado e per favorire percorsi comunitari», dice Borgomeo. «Questa bellissima opera è un segnale della grande scommessa che stiamo facendo insieme alle associazioni e all’amministrazione comunale per cambiare questo quartiere». Associazioni come “Un’infanzia da vivere” che lavora per e con i bambini. Bruno Mazza oggi si occupa di quei ragazzi che sono come era lui. E si occupa di loro perché nessuno di loro scelga di riempire la noia con la criminalità.

Dicevamo perché qui. L’idea è stata di Fabrizio Minnella, il responsabile comunicazione di Fondazione Con il Sud. «Abbiamo chiesto», spiega Borgomeo, «a Bruno Mazza di un’infanzia da vivere “possiamo farlo? Disturbiamo? Suscitiamo qualche reazione?. Lui ci ha detto “venite”. Qui siamo su un territorio veramente tosto. Siamo in un luogo in cui è evidente il fallimento delle politiche di sviluppo al Sud che non hanno mai adeguatamente affrontato le questioni sociali. Proprio da qui ribadiamo il contrario, ovvero la centralità della coesione sociale sul primato dell’economico per uno sviluppo non effimero, la necessità di costruire fiducia e di supportare la responsabilità dei soggetti locali. Azioni che al Sud il Terzo settore riesce a fare bene e che dovrebbero contaminare la politica e il mondo economico. Non lo dico io, ma lo dimostrano le oltre 1.600 iniziative avviate nel Mezzogiorno mettendo in rete più di 7 mila organizzazioni. Esperienze che partono da esigenze di solidarietà e di attivazione di diritti negati e che creano, di fatto, opportunità di sviluppo, con oltre il 70% di successo nel tempo. Al Parco Verde non vediamo solo la piazza di spaccio più grande d’Europa, vediamo soprattutto il germoglio del riscatto, che si deve far crescere con cura, vediamo la possibilità del cambiamento. Un’immagine che abbiamo voluto rendere evidente anche con il murale all’ingresso del quartiere, inaugurato con i bambini e le famiglie. Un’opera concreta che parte con le attività e i laboratori, con i campetti sportivi per bambini e ragazzi, con l’azione di rammendo nata all’interno della comunità. Lo sviluppo in territori come questo, è possibile se si capovolgono le priorità della politica e si lavora “con” il Sud e non per il Sud».

Ma se non c’è coesione sociale lo sviluppo non arriva. «Molto si può fare», dice il nuovo presidente di Fondazione Con il Sud Stefano Consiglio. «Molto si può fare anche nei contesti difficili come questo. La Fondazione deve continuare a stare a fianco delle persone, delle associazioni, deve arrivare nei territorio, creare nuove squadre da mettere insieme». Squadre che però non sono solo fatte da realtà del Terzo settore: «lavoriamo insieme alle fondazioni private, alle aziende for profit. Quello del sociale non può essere un mondo blindato. Lavoriamo insieme affinché i risultati siano poi di tutta la comunità».

Credit video Francesco Natale