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Con Meloni è sparita la commissione d’inchiesta sui femminicidi

Tra il 1° gennaio e il 28 maggio di quest’anno, i femminicidi sono stati 45: in ventidue casi, a uccidere è stato il partner o l’ex partner. Eppure l’Italia non ha (più) una commissione d’inchiesta dedicata. Che invece aveva dal 2017 e fino all’insediamento del Governo Meloni. Il commento di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza; dell'ex senatrice Valeria Valente e di Lella Paladino, della Cooperativa sociale EVA

di Sabina Pignataro

In Italia, nel 2022, sono state assassinate 125 donne, di cui 103 in ambito familiare. Tra il 1° gennaio e il 28 maggio di quest’anno, i femminicidi sono stati 45: in ventidue casi, a uccidere la donne è stato il partner o l’ex partner. Sono dati in linea con quelli degli anni passati.

Eppure l’Italia non ha (più) una commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio. Che invece aveva dal 2017 e fino all’insediamento del Governo Meloni, il 22 ottobre scorso.

Tra l’altro proprio nell’autunno del 2022 il Parlamento stava lavorando per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta bipartisan sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. Ad oggi, 5 giugno 2023, la Commissione d’inchiesta non si è ancora insediata.
Quella presieduta dall’ex senatrice del Pd Valeria Valente ha cessato la sua attività con l’insediamento del governo della premier Giorgia Meloni, il 22 ottobre 2022.

Gli appelli per un rapido ripristino

«Abbiamo ancora un estremo bisogno della Commissione d’inchiesta sul femminicidio, che speriamo si insedi quanto prima, perché è necessario continuare ad indagare, monitorare l’attuazione delle leggi e suggerire misure efficaci per contrastare e battere definitivamente un fenomeno che sembra essere inarrestabile», ha scritto sui social pochi giorni fa proprio Valeria Valente. «Su questo non possiamo fare passi indietro».

«Una nuova Commissione d’inchiesta sul femminicidio, bicamerale, è utile solo se fa propria la lettura della violenza maschile contro le donne sintetizzata nel Preambolo della Convenzione di Istanbul, ovvero se riconosce come questa è strettamente connessa alla diffusa situazione di discriminazione e subordinazione delle donne che permea il contesto socio-culturale italiano, dove i comportamenti maschili violenti e manipolatori sono normalizzati e si continua a gettare sulle spalle delle donne la responsabilità della violenza», osserva Lella Palladino, sociologa, tra le fondatrici della Cooperativa sociale EVA che gestisce 5 centri antiviolenza in Campania. «Viceversa, la nuova Commissione rischia di far dimenticare lo straordinario lavoro fatto dalla Commissione d’inchiesta sul femminicidio del Senato, le cui relazioni sono state approvate all’unanimità da tutte le forze politiche, comprese quelle attualmente al governo, ma le cui tante raccomandazioni sono rimaste finora lettera morta».

«La Commissione femminicidio scorsa ha prodotto una serie di raccomandazioni. Prima ancora di chiederci che fine abbia fatto la nuova Commissione, ci domandiamo come e quando verranno prese in considerazione quelle raccomandazioni. Un lavoro importante di indagine e studi che ancora non ha prodotto interventi politici conseguenti», osserva Antonella Veltri, Presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza.

Una grave battuta d’arresto su quanto il Parlamento stava facendo. Timidamente, negli ultimi mesi, per la prima volta, qualcosa a livello legislativo sembrava si stesse muovendo per accrescere la protezione delle donne (e dei loro figli). Eppure, questo leggero fermento sembra scritto con l’inchiostro simpatico.

Le leggi in sospeso

Eppure, molto, moltissimo, resta ancora da fare. Dal punto di vista dell'attività di Governo, in sospeso, in particolare, ci sono alcune proposte rilevanti. Sarebbe un peccato che finissero in fondo al cassetto. Eccole:

  • l’approvazione della legge che riguarda l’introduzione delle molestie sessuali come fattispecie di reato a se stante (Ne avevamo scritto qui)
  • la modifica del reato di stupro, per introdurre il concetto di consenso e spostare sull’autore della violenza l’onere di provare di aver ottenuto un consenso chiaro al rapporto sessuale, mentre ora è la donna che ha subito violenza che deve dimostrare che il rapporto sessuale è stato imposto “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità”.
  • Sul tavolo anche il Ddl presentato dalle ministre Bonetti, Carfagna, Cartabia, Gelmini e Lamorgese, che avrebbe permesso di ricorrere con più facilità alle misure cautelari contro la violenza maschile e al loro controllo con il braccialetto elettronico, rafforzando in maniera significativa la protezione delle donne e dei loro figli, in particolare dopo una denuncia, quando più alto è il rischio di un’escalation della violenza.
  • Resta fuori anche il Ddl teso a impedire che uomini maltrattanti e violenti possano continuare a vedere i loro figli. (Ne avevamo scritto qui)

Positivo però che la legge 5 maggio 2022 n. 53 sulle statistiche in materia di violenza di genere abbia introdotto l’obbligatorietà di raccogliere e pubblicare ogni 3 anni una serie di dati sulla violenza di genere, per ottenere finalmente un quadro chiaro delle dimensioni del fenomeno (Ne avevamo scritto qui)

Il prossimo passo: i dati sugli orfani

Colmata questa lacuna, sarà poi è il momento di dedicarsi agli orfani di femminicidio. Come avevano raccontato Sara De Carli e Sabina Pignataro nell’ebook "A Braccia Aperte. Un faro acceso sui figli delle vittime di femminicidio”, un volume voluto dall’impresa sociale Con i Bambini (si può scaricare gratuitamente da qui, senza bisogno di registrazioni), gli orfani di femminicidio sono le vittime invisibili della violenza domestica. Una realtà che ancora resta nell’ombra, senza ascolto, senza servizi strutturati, senza presa in carico. In Italia non c’è un elenco che indichi quanti siano gli orfani speciali. Le motivazioni sono le più disparate. Ad ogni modo, la notizia è grave: non disporre di dati significa non solo non avere contezza del numero degli orfani e delle orfane, ma non avere nemmeno idea delle loro esigenze, aspettative, difficoltà a superare il trauma.

Nel volume le autrici fanno luce sull’invisibilità e la solitudine che ancora oggi circonda i figli delle vittime di femminicidio e di crimini domestici. Per denunciare il deserto desolante dei servizi e l’urgente necessità di fare un passo avanti, a braccia aperte, verso di loro.

Il giudice Roia: manca la condanna sociale

«Quando si parla di prevenire la violenza sulle donne si commette spesso l’errore di pensare a come aiutarle a difendersi. Ribaltiamo il messaggio: facciamo capire agli uomini che non devono aggredire e insultare le donne, che devono rispettare la loro autonomia, la bellezza della loro diversità e accettare la possibilità che i legami vengano interrotti anche in modo unilaterale». Così aveva commenteto al Corriere della Sera Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano, esperto di violenza di genere, sottolineando la radice culturale di delitti come quelli di Giulia Tramontano e di altre centinaia che, ogni anno, vengono uccise per mano del partner o dell’ex (qui l'intervista).

Infermità mentale?

E invece l’infermità mentale è una strategia difensiva dell’autore molto frequente. Nel 59% gli avvocati dell’omicida pongono in dubbio la capacità di intendere e di volere dell’autore. Le assoluzioni per vizio totale di mente hanno un’incidenza pari al 7,6% dei casi totali. Il 50% degli autori assolti per vizio totale di mente ha ucciso la propria madre.
L’inquadramento del femminicidio come esito di una malattia psichiatrica semplifica e ridimensiona fortemente l’ambito di accertamento dei fatti sotto due profili: da un lato incentrandoli sul profilo patologico dell’imputato; dall’altro attribuendo a saperi tecnici, esterni alla giurisdizione una responsabilità tanto rilevante da incidere fortemente sulla decisione.
In questo modo il femminicidio rischia di non venire collocato nella sua dimensione strutturale di un contesto socio-culturale discriminatorio, in cui la donna è disprezzata e violata nella sua dignità, ma viene relegato a conseguenza imprevedibile di una malattia, in quanto tale deresponsabilizzante.

La violenza si intensifica in gravidanza

Parlare del femminicidio di Giulia Tramontano e del suo autore Alessandro Impagnatiello come si sta facendo da giorni sui media «contribuisce in maniera pericolosa a spostare l’attenzione dalla genesi del problema. Ci si concentra, cioè, su una dimensione psicologica, sulla patologia del singolo, dimenticando che la violenza maschile contro le donne è un fenomeno strutturale, collettivo e pubblico», commenta ancora Lella Palladino. «Non si tratta di un mostro. La memoria emotiva è corta, ma le prime indagini ISTAT sulla violenza hanno dimostrato come questa si intensifichi in gravidanza, ci sono state tante donne uccise prima del parto di cui abbiamo dimenticato i nomi – sottolinea Palladino – Occorre cambiare la narrazione e raccontare le storie delle migliaia di donne che ogni anno sono accompagnate fuori dalla violenza dai centri antiviolenza, che vanno valorizzati e finanziati adeguatamente».

A chi chiedere aiuto?

In questo articolo abbiamo raccontato l'attività dei centri antiviolenza: oltre 20 mila donne, 110 centri antiviolenza, 62 case rifugio.
I Centri Antiviolenza sono luoghi in cui vengono accolte le donne che hanno subito violenza di vario genere: fisica; sessuale; economica; psicologica; stalking. Grazie all’accoglienza telefonica, ai colloqui personali, all’ospitalità in case rifugio e ai numerosi altri servizi offerti, le donne sono coadiuvate nel loro percorso di uscita dalla violenza. I servizi offerti dai centri Antiviolenza sono generalmente gratuiti, con una compartecipazione alle spese nelle Case Rifugio in base alle proprie entrate.

I Centri della Rete sono presenti in tutte le regioni italiane, tranne che nella Regione Molise, ma sono distribuiti non omogeneamente
A questo link sono disponibili tutti i numeri di telefono dei centri antiviolenza D.i.Re, città per città in ordine alfabetico.

Le Case rifugio, spesso ad indirizzo segreto, ospitano le donne ed i loro figli minorenni per un periodo di emergenza. Oltre la metà dei Centri (58,5% dei casi) può contare su almeno una struttura di ospitalità (62 in totale), con un’offerta di 185 appartamenti e 1023 posti letto.

Foto in apertura, European Institute for Gender Equality (EIGE)


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