Cooperazione & Relazioni internazionali

Igiaba Scego, le parole che curano

In "Cassandra a Mogadiscio" la pluripremiata scrittrice italiana di origini somale ricuce la storia della sua famiglia, dispersa nel mondo dalla diaspora, e quella della Somalia. Il romanzo è fra i 12 semifinalisti del Premio Strega e Igiaba Scego è la prima scrittrice italiana afrodiscendente candidata al prestigioso premio. L’abbiamo incontrata a ChiassoLetteraria-Festival internazionale di letteratura, dove ha presentato il libro

di Cristina Barbetta

«Amatissima, come si disegna la tua risata? Disegnerei, se potessi, l’attimo in cui scoppi di improvvisa gioia. Quella tua risata roca, quasi maschile, che con il passare dei secondi si ingentilisce di oro, incenso, e mirra».

Così si apre Cassandra a Mogadiscio, l’ultimo libro di Igiaba Scego (Bompiani, 2023). È un romanzo epistolare, una lettera scritta alla nipote Soraya che vive in Canada e non parla né l’italiano, né la lingua del suo Paese d’origine, il somalo. E attraverso questa lettera Igiaba Scego tesse la memoria della sua famiglia, che la diaspora ha sparso nel mondo.

Nata a Roma nel 1974 da genitori somali esuli dal regime di Siad Barre, Igiaba Scego è laureata in lettere e ha un dottorato in pedagogia. Scrittrice pluripremiata, ha pubblicato, tra gli altri, La mia casa è dove sono, vincitore del Premio Mondello (2011), e La linea del colore, vincitore del Premio Napoli (2020). Quest’anno Igiaba Scego è candidata al Premio Strega con Cassandra a Mogadiscio. È la prima volta che una scrittrice italiana afrodiscendente è candidata allo Strega. Il romanzo Cassandra a Mogadiscio è stato presentato dalla scrittrice Premio Pulitzer Jumpa Lahiri. La selezione della cinquina finalista del premio sarà il 7 giugno. Igiaba Scego è anche giornalista e collabora con Internazionale, l’Espresso, La Lettura del Corriere della Sera, e ha scritto per il Guardian, Le Monde, il Manifesto, la Repubblica, e Folha de São Paulo.

A ChiassoLetteraria-Festival internazionale di letteratura, Igiaba Scego ha presentato Cassandra a Mogadiscio dialogando con Prisca Agustoni, poetessa, traduttrice e docente di letteratura. Nel romanzo c’è il colonialismo, il trauma della dittatura di Siad Barre e la guerra civile. Ci sono le tante ferite provocate alla Somalia da tanti colonizzatori diversi. E c'è la storia di una famiglia divisa dalla diaspora somala.

«Cassandra a Mogadiscio è un libro collettivo», dice Igiaba Scego. Nel 2020, oltre alla pandemia c’è stata la morte di George Floyd, «che ha colpito molti e molte di noi, indipendentemente dal colore. In quella morte c’era lo specchio di altri soprusi, di altre morti e corpi che sono stati nel tempo distrutti. Abbiamo visto che nel martirio di quest’uomo in parte eravamo martirizzati anche noi. C’è stato un movimento di piazza e la morte di George Floyd ha creato una conversazione globale. Sia Cassandra a Mogadiscio sia il mio libro precedente, Figli dello stesso cielo. Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi (2021), li vedo legati a questa conversazione globale, che avviene in Brasile, Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Usa, e anche nei paesi arabi; adesso sta avvenendo in Tunisia, dove sono stati discriminati anche i tunisini neri, non solo i migranti che attraversano il Paese. Questa discussione globale ha prodotto tanti libri, poesie, film… io penso di fare parte di questo collettivo, di questa conversazione sulla blackness».

«E poi nel libro c'è il collettivo che è rappresentato dalla collettività della mia famiglia», precisa Igiaba Scego. «Cassandra a Mogadiscio è nato durante il periodo pandemico, durante quella stasi forzata del 2020-2021, che era anche paura dell’ignoto, paura della morte, paura del futuro. Mia madre è stata male e abbiamo deciso di andare a vivere insieme. Dalla stasi del 2020-2021 è nato il libro perchè ho iniziato a intervistare mia madre su quello che è stato per noi il grande trauma. Il trauma della pandemia ha risvegliato il grande trauma nascosto, quello che vive sottotraccia, che vive anche nelle nostre conversazioni ma di cui non avevamo evidentemente troppo parlato o di cui avevamo parlato per massimi sistemi, che è la guerra trentennale che ha colpito la Somalia».

Il romanzo è composto da pezzi di memoria frammentata, e Igiaba Scego cerca di ricucire la storia, raccontata da sua madre, una storia che è orale, dal momento che Mogadiscio è stata distrutta con la guerra. La Mogadiscio di prima non esiste più, la città è stata ricostruita.

«Il libro è nato così, perché avevo frammenti, non avevo una storia unica», spiega Igiaba Scego. Erano tanti frammenti di tante cose diverse, come gli specchi rotti che non riesci a incollare bene insieme: li puoi sovrapporre, li puoi mettere accanto, ma non si incollano bene. Così è anche la vicenda umana, tutta la nostra vita è fatta di frammenti, a maggior ragione quando entra in gioco il Jirro».

Jirro è una parola chiave nel libro. «Letteralmente significa “malattia” in somalo, però Jirro nel mio romanzo, che è caleidoscopio, che è mosaico, significa tante cose, sono tanti traumi. È quasi una parola sciamanica, la scrivo tante volte nel libro forse per disinnescarla e per trovare una cura. E il jirro principale è portato da questa guerra civile, perché il punto di tutto è la guerra civile».

«(Jirro) Parla delle nostre ferite, del nostro dolore, del nostro stress postraumatico, postguerra. Jirro è il nostro cuore spezzato. La nostra vita in equilibrio precario tra l’inferno e il presente. Siamo esseri diasporici, sospesi nel vento, sradicati da una dittatura ventennale, da una delle più devastanti guerre avvenute sul pianeta Terra» (da Cassandra a Mogadiscio).

Il romanzo ricostruisce la storia della madre di Igiaba Scego e la genealogia della famiglia. Attraverso la storia della famiglia, il romanzo ricostruisce la memoria di un Paese, ma non solo. «Nel libro c’è la storia di mia madre, che non è solo la sua storia, è una storia del Novecento, non solo somalo, ma anche italiano. Questa storia era da legare alla storia di mio padre e alla storia dei miei fratelli, quindi ho cominciato piano piano a tessere questo mosaico».

Cassandra a Mogadiscio è un romanzo epistolare, ispirato a James Baldwin, che ha scritto una lettera molto breve sul razzismo al nipote nel libro La Prossima volta il fuoco. Anche il libro precedente di Igiaba Scego,Figli dello stesso cielo. Il razzismo e il colonialismo raccontati ai ragazzi, è strutturato in forma di lettera.

Il romanzo è dedicato “Alle zie”. E edo, zia in somalo, è Igiaba Scego, zia dell’amatissima Soraya e di tutti i suoi nipoti. «Tessendo il mosaico della storia ho capito che ci doveva essere un passaggio generazionale, che non poteva esserci solo quel passaggio tra me e mia madre. Io sono figlia e ho un’età da madre, da genitore, anche se non sono madre, così mi sono chiesta: “Tu, Igiaba, di chi sei genitore?” Sono genitore dei miei nipoti in effetti , li ho cresciuti, li ho visti diventare più alti di me, e quindi volevo passare questa storia a loro»

«Ho scelto tra tutti mia nipote Soraya, che è l’amatissima del libro», spiega Igiaba Scego. «Amatissima è anche una citazione di Toni Morrison, perché volevo legarmi a quella storia di blackness globale, e l’amatissima siete anche voi che fruite di questa storia. Io sono la generazione di mezzo che cerca di venire a patti con il Novecento e cerca di portare questo Novecento a una nuova generazione, che avrà altre sfide, ma che non può prescindere da quello che è successo prima. Quindi è un dialogo tra passato, presente e forse futuro».

In apertura: Igiaba Scego a ChiassoLetteraria. Foto di Marta Panzeri


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