Economia & Impresa sociale 

Ddl educatori, Mille e Fp Cgil indicano la strada per migliorare la legge

Alcune associazioni di categoria e un sindacato confederale si trovano in sintonia nelle proposte, attraverso gli emendamenti presentati in Commissione e in Aula. Si punta ad evitare disparità di trattamento, istituire un profilo unico di educatore, abolire l'esame di Stato per coloro che hanno la laurea magistrale. Occorre anche un cambio di paradigma: parlare di salute e non di sanità

di Luigi Alfonso

Si amplia il dibattito al di fuori del Parlamento in merito al disegno di legge che punta a disciplinare le professioni pedagogiche ed educative, con la novità dell’istituzione di appositi Ordini o albi professionali. Si sta lavorando intensamente per proporre emendamenti migliorativi a quei passaggi del testo che, al momento, sembrano prestarsi a interpretazioni ambigue o discriminatorie.

Di recente, è stato diffuso un comunicato stampa congiunto a firma di Mille – Movimento indipendente liberi lavoratori dell’educazione, Aiped – Associazione italiana pedagogisti, e Aniped – Associazione nazionale italiana pedagogisti. Andrea Rossi, presidente nazionale del Mille, riassume le proposte avanzate dalle tre organizzazioni: «Dal punto di vista scientifico, l’azione educativa non può essere frazionata in settori diversi: o è azione educativa o non lo è», esordisce. «Un educatore deve seguire un percorso di studi che lo renda tale sia in ambito sanitario che in ambito socio-pedagogico. Se la scienza è una, anche il percorso universitario di primo livello dev’essere unico, così come avviene per gli altri corsi di laurea. La premessa è necessaria per eliminare ogni tipo di discriminazione tra lavoratori. Lo dico senza intento polemico, ma perché ho la sensazione che tutta questa operazione sia stata fatta sulla testa degli educatori, analogamente a quanto era stato fatto per gli operatori del settore sanitario. Se va in porto questo Ddl, ci sarà la maggior parte di educatori (e forse un po’ meno di pedagogisti) che, da un giorno all’altro, dovrà iscriversi a un albo di cui non sa nulla».

Rossi chiarisce il suo pensiero: «Rispetto all’albo in sé, non abbiamo un’ostilità pregiudiziale. Ma ci sono altri elementi prioritari. Innanzi tutto, non possiamo andare avanti con due profili di educatori professionali che poi, nei servizi, fanno le stesse cose: questo ve lo può confermare il 90 per cento degli educatori che lavora indipendentemente dal titolo di studio. La suddivisione che vorrebbero introdurre, non ha davvero alcuna base di tipo scientifico. L’istituzione di un altro albo per la nuova figura, andrebbe a irrigidire una situazione di per sé complessa. È un problema di gestione dei servizi ma anche per le aziende. Gli operatori spesso scappano perché in ambito privato ci sono condizioni di lavoro terrificanti, mentre nel pubblico il contratto nazionale è più favorevole».

Su un altro punto Rossi è irremovibile: «C’è poi un buco clamoroso: non possiamo pensare che gli educatori socio-pedagogici e i pedagogisti siano ancora tenuti fuori dall’ambito della sanità. È impensabile. Peraltro, ci sono leggi vigenti che lo prevedono ma non vengono applicate. È auspicabile un’audizione delle parti sociali che consenta di fare chiarezza di tutti i punti controversi, altrimenti non resta che la strada degli emendamenti. Puntiamo a far istituire un unico profilo di educatore. Nel frattempo siamo tutti impegnati in una campagna d’informazione con i lavoratori».

«Buona parte dei problemi nasce a monte, cioè da una errata visione del mondo. Si dovrebbe pensare al raggiungimento del più alto livello possibile di salute da parte di tutti, cioè a uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale. Invece, per lo meno in Italia, si pensa semplicemente all’assenza di malattie o all’infermità. Il concetto di salute è ben più ampio, e lo sostiene la stessa Oms. E anche qui c’è un vulnus: la traduzione in italiano di World Health Organization è errata, perché da noi si parla di sanità e non di salute».

«Il pedagogista e l’educatore operano di fatto nella promozione attiva della salute, del benessere sociale e nella costruzione di processi educativi e di vita in situazioni di criticità: basti pensare al lavoro svolto nei reparti di oncoematologia pediatrica, nelle Rsa, ma anche nelle strutture di fine vita o detentive e nei consultori. Queste figure vanno inserite in ambito sanitario a pieno titolo come personale non medico», conclude Rossi.

«Abbiamo espresso diversi emendamenti, che in corso d’opera sono diventati cinque», spiega invece Stefano Sabato, coordinatore dell’area nazionale Terzo settore e Ssaep per la Funzione Pubblica Cgil. «In particolare, abbiamo elaborato le proposte pensando innanzi tutto alla necessaria e opportuna tutela dei livelli occupazionali del personale già impiegato nelle attività, nonché delle legittime aspettative del personale che ha operato negli anni secondo le disposizioni della normativa vigente, nello specifico la legge n. 205/2017 e il decreto legislativo n. 65/2017. Ci sono soprattutto tre aspetti che ci stanno a cuore. Il primo riguarda l’ambito di applicazione, e lì vediamo colpevolmente assente tutta la parte legata ai servizi socioassistenziali e della salute. Per noi è un grosso errore, per giunta foriero di possibili conflitti e problemi che si presenteranno nel prossimo futuro: potrebbero scapparci delle cause di lavoro perché non vengono riconosciuti i requisiti di un lavoratore. O, al contrario, un’impresa potrebbe trovarsi in difficoltà nell’applicare le nuove disposizioni, così come previste al momento. L’unificazione di una serie di provvedimenti in un unico testo, ci fa credere che la strada migliore da percorrere sia quella emendativa».

«Qualcuno già si domanda: perché devo iscrivermi a un Ordine? Ho già tutti i titoli per svolgere questa professione. Per i futuri laureati, crediamo che l’abilitazione mediante esame di Stato vada soppressa dal testo, come avviene per i pedagogisti che hanno la laurea magistrale. Eppure, ci sono figure che, a parità di condizioni (cioè, in possesso della laurea triennale) non devono sostenere questo esame per iscriversi nei rispettivi albi. È una disparità di trattamenti inaccettabile. Noi siamo per il dialogo costruttivo, cerchiamo soluzioni e non problemi: in ballo ci sono migliaia di posti di lavoro. Ma nel nostro Paese c’è tanta confusione. Per esempio, ci sono recenti delibere delle giunte regionali della Lombardia e del Friuli Venezia Giulia che prevedono deroghe ai titoli nel confronti del personale da assumere nei ruoli educativi entro il 31 dicembre 2023, dunque a macchia di leopardo troviamo situazioni completamente differenti tra i vari territori. E se il Friuli VeneziaGiulia è una piccola regione, la Lombardia ha 10 milioni di abitanti, dunque parliamo potenzialmente di numeri molto importanti».

«Gli psicologi e gli assistenti sociali hanno un Ordine professionale di riferimento: per loro va tutto bene? Sono domande che tanti si pongono, e io lo faccio senza retropensieri. Cerco di capire. Non ha senso alzare le barricate, bisogna ragionare per il bene di migliaia di persone ed evitare che questa vicenda si traduca solo in una gabella. Il giusto inquadramento non è soltanto una questione di dignità professionale, determina anche le condizioni previdenziali e retributive. Non è un problema ideologico o meramente culturale, ma economico, legato a tariffe, appalti, accreditamenti e convenzioni: è un mondo, quello degli educatori che si sente in ombra, eppure esercita un ruolo educativo fondamentale in tanti ambiti, anche nell’accoglienza. Ribadisco: ai futuri laureandi bisogna consentire di potersi iscrivere senza ulteriori oneri, cioè senza l’esame di Stato. E poi tutelare tutti quelli che stanno lavorando anche senza i titoli previsti per disposizioni regionali. Ci sono alcuni passaggi un po’ ambigui e persino contradditori, che possono essere corretti facilmente se c’è la volontà politica. Un esempio: nelle disposizioni transitorie va esplicitato, al fine di rendere assolutamente chiaro, la facoltà di iscrizione agli albi di tutti coloro che hanno i requisiti all’esercizio della professione ai sensi della normativa vigente (legge n. 205 del 2017 e decreto legislativo n. 65 del 2017). Per equilibrare il testo, basterebbe un emendamento soppressivo: evitiamo di parlare di laureati e scriviamo “coloro i quali hanno i requisiti previsti dall’articolo quattro”».

Credits: foto d'apertura di Priscilla du Preez su Unsplash


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