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Cooperazione & Relazioni internazionali

Cala di prezzo delle commodities agricole, ma sale quello delle importazioni

di Giulio Albanese

Ieri sera ho dato un’occhiata all’ultimo report sugli Indici relativi ai prezzi alimentari internazionali pubblicato dalla Fao. Da un certo punto di vista sembrano dati positivi se si considera che i prezzi delle derrate alimentari hanno continuato a scendere anche nel mese di ottobre. Secondo il il Food Price Index elaborato dalla Fao si rileva un calo del 4% rispetto al mese precedente. Da rilevare, inoltre, che è la prima volta dalla recessione globale che l’indice diminuisce per quattro mesi consecutivi. È anche interessante rilevare che nel 2011 la produzione di cereali sarà da primato: 2,325 miliardi di tonnellate, il 3,7% in più rispetto all’anno scorso e il 6,8% in più rispetto alle previsioni della stessa agenzia delle Nazioni Unite, grazie a raccolti migliori delle attese in Russia e Ucraina. Ma non è tutto oro quello che luccica nel senso che la discesa dei prezzi alimentari è legata in gran parte al peggioramento degli scenari economici che stanno deprimendo la domanda e dunque ribassisti a tutto il settore agricolo. Leggendo gli indici di cui sopra, ho trovato una chiara conferma a quanto esposto nel Rapporto The State of Food Insecurity in the World (Sofi) che imputa alla volatilità dei prezzi alimentari lo stato dell’insicurezza alimentare nel Mondo. Una volatilità che è destinata a perdurare nel tempo e che mette a rischio la ripresa economica mondiale se non si perseguiranno quelle scelte politiche necessarie a governare il mercato dei beni alimentari, equilibrando il rapporto domanda-offerta. Leggi di mercato studiate a tavolino per rendere efficienti gli scambi tra produttori e consumatori, con l’interazione dei cosiddetti intermediari commerciali, vengono molto spesso falsate dall’entrata in gioco di operatori dell’alta finanza che non hanno alcun interesse reale ad acquistare o vendere grano, soia o riso, ma mirano solo a ottenere un rendimento finanziario elevato in tempi brevi. In questa eccessiva volatilità dei prezzi fatta di improvvise impennate è ormai riconosciuto da molti studi il ruolo della speculazione finanziaria legata ai titoli derivati, che “derivano” in termini esponenziali il loro rendimento dall’andamento dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali. Per questo da più parti, soprattutto nell’ambito della società civile, si sta sollecitando un intervento regolativo sui mercati finanziari che protegga almeno un bene essenziale come il cibo dalle mire speculative. La posta in gioco è alta, anche perché di questo passo saranno i Paesi poveri ad essere quelli maggiormente penalizzati dalla crisi dei mercati. Infatti, nonostante il calo dei prezzi di tutte le commodities agricole inserite nell’indice, il costo delle importazioni di derrate alimentari a livello mondiale salirà quest’anno a 1.290 miliardi di dollari. Si tratti di un aumento del 24% rispetto al 2010. E per i Paesi poveri, il conto sarà ancora più salato: oltre il 30%, prevede la Fao. La maggior parte degli abitanti del continente africano – è bene rammentarlo – spende fino al 75% del proprio reddito per sfamarsi. Un livello adeguato di investimenti, e una risposta politica più coordinata da parte della Comunità internazionale sono le ricette per scongiurare che si passi ciclicamente da un’emergenza all’altra, soprattutto in Africa. Se i G20 continueranno a permettere ai mercati internazionali di mantenere lo “status quo”, caratterizzato da volatilità e imprevedibilità, gli scenari per la sicurezza alimentare, potranno soltanto aggravarsi.


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