Cooperazione & Relazioni internazionali

Elezioni congolesi: il Paese è una polveriera

di Giulio Albanese

La situazione è sempre più preoccupante nella Repubblica Democratica del Congo. Domenica, infatti, il leader dell’opposizione Etienne Tshisekedi ha ribadito di considerarsi il “ legittimo presidente eletto”, annunciando la cerimonia d’investitura per il 23 dicembre. E dire che tre giorni fa la Suprema Corte di Giustizia di Kinshasa aveva omologato il contestato risultato delle presidenziali del 28 novembre scorso, ufficializzando la vittoria del presidente uscente Joseph Kabila. Sebbene sia sempre rischioso generalizzare, quanto sta accadendo nell’ex Zaire ha delle analogie con quanto successo esattamente un anno fa in Costa d’Avorio, quando il presidente Laurent Gbagbo e il suo sfidante Alassane Ouattara, all’indomani dei risultati sul ballottaggio, si proclamarono contemporaneamente vincitori delle presidenziali. Come al solito, dietro i contendenti di turno – Kabila e Tshisekedi – si celano interessi stranieri in forte contrapposizione tra loro. Ma andiamo per ordine nel nostro ragionamento.

Anzitutto va ricordato che la tornata elettorale congolese è stata caratterizzata da violenze e sospetti di brogli che hanno portato tre degli undici candidati alle presidenziali a chiedere l’annullamento delle elezioni. Questi signori sono Léon Kengo wa Dondo, Antipas Mbusa e Adam Bombole i quali hanno invocato la formazione di un governo di transizione in attesa di un nuovo voto. Da rilevare che anche a detta di autorevoli esponenti della società civile locali, qualcosa non ha davvero funzionato nel complesso meccanismo della macchina elettorale. Sulla scarsa trasparenza del voto e sui brogli elettorali sono state tante le prese di posizione, sia da parte del cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa, che degli osservatori della Fondazione Carter e dell’Unione Europea. Anche gli Stati Uniti hanno segnalato “gravi irregolarità e mancanza di trasparenza” come evidenziato dalla portavoce del dipartimento di Stato Victoria Nuland. Com’è noto, gli americani hanno molti interessi in Congo, soprattutto nel settore minerario. Ebbene, stando ad informazioni che chi scrive ha raccolto in questi giorni, pare che i cinesi (anche loro con un forte debole per le ricchezze del sottosuolo congolese) abbiamo finanziato alla grande la campagna elettorale di Kabila con l’intento di fargli vincere a tutti i costi le elezioni. Da rilevare che sul retro del coperchio delle scatolette dei tamponi d’inchiostro utilizzate per imporre le impronte digitali degli elettori su una delle 11 facce dei candidati in lizza, era stampato un misterioso numero “3”. Misterioso poi fino a un certo punto, se si considera che Kabila è stato il candidato numero “3” secondo quanto riportato fedelmente da ogni manifesto elettorale. Ma non è tutto qui. Pare addirittura che i tamponi d’inchiostro indelebile fossero “made in China”.

Una cosa è certa, il rischio a questo punto è la guerra civile, considerando che mai come di questi tempi circolano armi d’ogni genere nell’ex Zaire. Come se non bastasse, pullulano un po’ dappertutto mercenari provenienti dal Sud Africa, alcuni dei quali sono stati dispiegati per ordine di Kabila nei pressi dell’aeroporto di N’djili (Kinshasa). Ma i sudafricani non sono gli unici soldati di ventura da quelle parti. Fonti ben informate, che ho contattato telefonicamente, mi hanno parlato della presenza di ugandesi, ruandesi e somali. Lungi dal voler sembrare disfattista, lo scenario è davvero allarmante e se i due contendenti – Kabila e Tshisekedi – non dovessero raggiungere un accordo per sbloccare l’impasse, potrebbe davvero innescarsi una violenza incontenibile. Nel frattempo, l’Unione Africana e le Nazioni Unite cosa stanno facendo? Stanno per caso, come al solito, alla finestra a guardare?


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