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Sanremo e Gabbani. L’equivoco della genialità

di Lorenzo Maria Alvaro

È finito il Festival. A vincere è stata “Occidentali’s Karma” di Francesco Gabbani a furor di popolo.

Proprio qualche giorno fa avevo notato che il commento più comune sui social era che il ragazzo (che per altro sembra Marco Columbro da giovane) fosse un genio. Mi chiedevo, in quel post buttato lì, se più che lui genio non fossero loro coglioni.

Non di una grande eleganza come post, me ne rendo conto. In ogni caso la reazione, piccata, mi ha convinto che forse è il caso di chiarire alcune cose.

Prima di tutto però vorrei esprimere il mio rammarico per Paola Turci e la sua “Fatti bella per te”. È la mia canzone preferita di questa edizione. Non solo per il testo (che alla luce delle vicende personali della cantante, con l’incidente che l’ha sfigurata negli anni ’90, assume un certo peso) ma anche per quelle sonorità più rock e incisive rispetto agli altri brani in gara, non cosi comuni a Sanremo. Questo giusto per sgombrare il campo da fraintendimenti. Non sono di quelli per cui è tutto un merda a prescindere. Neanche a Sanremo.

Fatto outing, veniamo a Gabbani. Sin dal titolo si percepisce una certa paraculaggine. Occidentali’s Karma infatti è il classico inglesismo all’italiana. Grammaticalmente, se il titolo avesse dovuto essere in inglese sarebbe dovuto suonare tipo “West Karma”. Se l’autore ha deciso di usare il genitivo sassone è solo per risultare internazionale e raffinato. In sostanza è una cialtronata come la pasta Alfredo’s. Il tipico esempio di “tu vuò fà l’americano” che usa l’inglese o l’inglesismo all’amatriciana perché non sa usare la propria lingua.

Si ravvede lo stesso uso contundente nella scelta di scrivere “comunque vada, panta rei”. Perché usare un grecismo per dire tutto scorre? È un ottimo esempio, come lo ha definito Umberto Palazzo, di «indie nella sua peggiore declinazione: la lista di parole a cazzo di cane».

Io però davo del coglione a chi etichettava Gabbani come genio non per la forma ma per la sostanza. Il contenuto della canzone è infatti di una banalità assoluta. Per altro forse già superato dalla realtà. Parla di un uomo, che è sempre la stessa scimmia di sempre, solo senza pelliccia, ripulito e profumato. Un uomo che cerca di dimenticare da dove viene, della scimmia che è (mi vien male a dovermi impegnare in un’analisi) che si affida a para religioni, riti e dogmi idioti per provare a darsi un senso. Sforzo che non ha nulla di intellettuale perché tutto questo si appoggia su cultura d’accatto che saccheggia alla bisogna , in stile fast food, la rete.

Interessante. Non l’avessero detto in centinaia negli ultimi 150 anni sarebbe quasi originale.

La stessa cosa, ma detta con cognizione di causa e vera arte, è stata il cuore di tanta parte della produzione musicale, cinematografica, fumettistica e letteraria degli ultimi decenni. Senza scomodare pezzi da novanta come Quarto Potere o Network, senza parlare di V per Vendetta (il fumetto) Oscar Wilde, Pasolini o la discografia di Battiato (su cui torneremo dopo). Basterebbe riferirsi a un Caparezza qualsiasi (ricordate Fuori dal tunnel?). Tutta la sua discografia è incentrata su questi temi. Ora sostenere che Caparezza sia un genio (confronto a Gabbani si potrebbe arrivare a dire che è addirittura un poeta) lo trovo leggermente fuori luogo.

Oltre al testo poi, che come accennavo fa esattamente quello che imputa alla “scimmia nuda”, basti pensare ai giochi di parole al limite dell’idiozia (Cercasi- cerca sì – Sperasi – spera sì), alle cadute di stile agghiaccianti (namaesté alè), alle citazioni a caso e ingiustificate (panta rei) probabilmente provenienti da Wikiquote… Oltre al testo dicevo c’è anche la musica: un motivato stupido e orecchiabile. Il più classico dei tormentoni.

Battiato. Accennavo che ci sarei tornato. Qualcuno su Facebook ha avuto il coraggio di paragonarlo, usando una specifica frase del maestro siciliano, con Gabbani.

«Non capisco perché un testo come "una signora vende corpi astrali, i Buddha vanno sopra i comodini" sia considerato geniale», mi hanno scrivono, «mentre "lezioni di Nirvana, i Buddha in fila indiana" debba essere descritto come una "banalità sconcertante”». Sì, lo so, è quel tipo di domande cui non si dovrebbe neanche rispondere. Battiato sta a Gabbani come il Partenone sta alle case popolari di Gratosoglio. Sarò clemente. La risposta è semplice: Battiato (per stare a Palazzo) non scrive parole a cazzo. Tutto quello che Battitato scrive lo ha studiato, vissuto e incontrato. Questo senza prendere in considerazione la musica, naturalmente, che in una canzone ha un certo peso. Dovessi usare la stessa logica dovrei chiedermi perché “Vedrai” di Samuel non sia paragonabile a “Vedrai Vedrai” di Tenco. L’unica cosa in comune tra Battiato e Gabbani è che in una canzone entrambi hanno usato la parola Buddha.

Ma veniamo al cuore di tutta questa faccenda. Per me chiunque può decidere di ascoltarsi Gabbani da qui all’eternità. Va benissimo, non c’è nulla di male. Nessuno sta dicendo che Gabbani non possa piacere. Nessuno dice che un tormentone non possa piacere. Io ho ascoltato e ascolto tonnellate di tormentoni. Ma il piacere non può assurgere a metro di giudizio. Mi rendo conto che nella società del like e dell’egoriferimento come stile di vita sia un concetto indigeribile. Provo a spiegarmi meglio: Rovazzi è il “musicista” di moda in Italia in questo momento. Tutti siete andati in tangenziale a comandare. Ma se venite a raccontarmi che quella è musica perché vi piace e fa successo semplicemente mi limiterei a farvi vedere il cazzo che me ne frega.

Che vi piaccia, e che per questo faccia successo, non significa assolutamente nulla. Al massimo è un giudizio che esprimete su voi stessi. La musica, come ogni arte (ma si potrebbe dire anche di qualsiasi altra cosa), risponde a dei canoni, delle regole, a una storia. Il fatto che non li conosciate o non vi interessino non li fa venire meno. Ecco perché potete considerate un genio Gabbani: come scrivevo su Fb, siete coglioni voi (detto con tanto amore).

E neanche il fatto che Gabbani sfrutti il vostro essere coglioni ne fa un genio. Al massimo ne fa un Fabrizio Corona o una Wanna Marchi della musica. Usare la stupidità degli altri per fare soldi e successo non è da geni. È da merde.

E qui arriva l’ultimo tassello: la società in cui viviamo sempre più associa il successo alla bontà di ciò che ha successo. È la logica del consumo. Se non fosse così non potrebbe reggersi il nostro sistema sia economico che valoriare. È una truffa. Per un motivo banale: se il problema è il successo, non è importante che il prodotto sia di qualità. È importante che tutti siano disposti a comprarlo. In campo artistico questo ha voluto dire che si è dovuto rendere il pubblico disposto ad ascoltare “Occidentali’s Karma”. Per farlo vi hanno fatto sentire “Figli di Pitagora”, “Andiamo a comandare” e una carrettata di altre schifezze. Un po’ di merda al giorno e il piscio avrà un sapore sublime. Vi hanno abituato a musica trascurabile, facendovi dimenticare quei canoni, quella storia e quella tradizione.

A questo punto ha ragione l’amico Simone Nicastro

Ora direi che possiamo tornare tutti ad ascoltarci Gabbani. Namasté Alé.

P.s.
A chi dice che Sanremo è solo una cagata popolar trash che non va presa sul serio posso solo dire di andarsi a vedere quanti soldi muove questa cagata. E quante canzoni verranno comprate e ascoltate da milioni di ragazzini e meno ragazzini. La musica è come Amici di Maria De Filippi: anche se non ve ne rendete conto vi entra dentro e vi forma. Il Festival è una cagata popolar trash? Siate sinceri con voi stessi: è esattamente quello che siete diventati anche voi. Tanti piccoli Carlo Conti. Con due differenze: lui ne è cosciente e ci guadagna dei gran soldi.


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