Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Pensate che l’artista debba essere un modello di virtù? Be’, è una cazzata

di Lorenzo Maria Alvaro

Oggi sarebbe stato il 51esimo compleanno di Kurt Cobain. Per usare le parole di Iggy Pop, riportate da Rolling Stone, «Per quanto riguarda la sua eredità: Kurt era Johnny B. Goode. È l’ultimo esemplare, almeno nel rock & roll, di ragazzino povero che, senza l’aiuto della famiglia e venendo da una zona rurale e sperduta, è riuscito a provocare una vera esplosione emotiva in una parte significativa della gioventù mondiale. Non era un prodotto di Hollywood. Non aveva parti fasulle. Le sue radici erano ben piantate nel terreno. Era davvero un signor nessuno che è riuscito a commuovere il mondo. E forse ci è riuscito toccandone le ferite».

Ora, sto scrivendo non per tributare Cobain (che pure amo tantissimo). Scrivo perché da qualche giorno continuo a pensare ad una questione che torna ricorrente nelle discussioni che faccio, social o fisiche, e su cui continuano ad arrivarmi imput casuali.

Tutto è cominciato quando qualcuno, circa il mio outing sulla Trap, mi ha tirato le orecchie dicendomi che Ghali e Sfera Ebbasta non sono dei buoni modelli per i giovani.

Poi è stato il turno di alcuni commenti sulla mostra a Palazzo Reale di Caravaggio. Alcuni ragazzi parlando del pittore sostenevano come fosse sensibile e attento alla bellezza e di come dovesse essere “devoto” per riuscire ad esprimere così bene l'idea del divino che illumina le oscure povertà umane portando alla luce la bellezza del creato.

Concetto che ho visto ribadito dalla voce di Manuel Agnelli (che impersona proprio Caravaggio) in un speciale dedicato all'artista di Sky Arte. Una cosa del tipo «tra la tenebra e la luce ho scelto la luce».

Altro spunto è arrivato da Principe Libero, il film dedicato a Fabrizio De Andrè. Nel film il cantautore genovese, per rimanere in campo cromatico, illumina l'umanità dei protagonisti delle sue canzoni grazie al suo enorme talento, più forte di vizi e debolezze.

Io credo che questo modo di vederla non sia solo falso e fuorviante ma anche profondamente povero. Un modo di interpretare la grandezza di questi geni che ne svilisce completamente la dimensione e l'arte.

Partendo dalla prima questione: l'idea che un artista o una persona “in vista” (come un calciatore o un personaggio televisivo) per il solo fatto di essere più visibile debba anche essere un esempio per gli altri, trovo sia una cazzata. Non in senso morale o etico. Certamente è meglio se un vip, che necessariamente viene preso a modello da tanti, è anche una brava persona. Ma il suo essere modello si deve riferire a quello che fa nel campo in cui eccelle. Francesco Totti non può diventare un modello per i giovani per quello che dice o per quello che pensa. Ma per come calcia il pallone. Nel caso in cui qualcuno decidesse di far assurgere a proprio modello di riferimento Totti da un punto di vista culturale a sbagliare sarebbe lui, non il calciatore.

Questo vale ancora di più in campo artistico, dove è il messaggio dell'artista più che la vita privata ad avere rilevanza.

E qui arriviamo al cuore della questione. La cosa che credo accomuni artisti come Cobain, De André e Caravaggio (ma l'elenco potrebbe essere lunghissimo) è che molto probabilmente erano quello che oggi definiremmo “persone di merda”. Un tossico, un alcolizzato e un assassino. Tutti e tre probabilmente erano persone cui non era facile stare vicino e che, conoscendole a fondo, forse ci si sarebbe sorpresi a disprezzare.

La loro grandezza sta in realtà proprio in questo: conoscevano a fondo la propria parte buia. E riuscivano, partendo da quella, a parlare della parte buia di tutti noi. Di quell'enorme parte di noi miserevole, vile e meschina che passiamo la vita a nascondere.

Caravaggio è grande per l'intensità del buio nei suoi quadri. È grazie alla credibilità di quell'ombra pesante che la luce risalta più forte.

Come diceva giustamente Roberto Benigni, parlando di Dante, solo quando qualcuno ti racconta con onestà estrema le tuo brutture più zozze e basse, quando invece ti dirà qualcosa di buono su di te sarai disposto a credergli.

Non era forse così anche per Dostoevskij​? Colui che meglio di tutti è stato in grado di sondare l'animo umano nei suoi pertugi più nascosti e inconfessabili non era forse anche un ludopatico?

La grandezza di Faber, Kurt, Caravaggio e Fedor sta proprio nel loro non essere modelli di virtù. Nell'essersi inabissati nelle profondità della bassezza umana per tornarne con delle perle rilucenti in regalo per tutti noi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA