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Il paradosso della legalità

di Paolo Venturi

I fatti di Lodi (e di Riace) stimolano una riflessione, obbligandoci a mettere in campo un giudizio capace di discernere il concetto di legalità da quello di giustizia. Ancora una volta è il dono a ristabilire la giustizia, dobbiamo infatti alla comunità di Lodi (che ha raccolto 60.000 euro) la possibilità di garantire ad alcuni bambini la possibilità di poter pranzare “con” i propri coetanei. Rimane lo sconcerto di fronte a scelte legate a “certe normative” che di fatto rendono la legalità uno strumento di esclusione e di potenziale ingiustizia. Diventa perciò fondamentale riflettere sull’etica delle decisioni.

Volendo semplificare sono tre gli approcci relativi alle teorie che definiscono l’Etica. Ci sono quelli che pongono il fondamento della propria decisione nella ricerca delle regole, come accade nel giusnaturalismo secondo cui l’Etica viene mutuata dalla norma giuridica: è quindi la legalità che fonda l'Etica. Altri invece sono convinti che l’Etica si fondi sull'agire e perciò vada alla ricerca di quelle regole che meglio siano in grado si assicurare la convivenza comune come la teoria utilitaristica (l'utile è il fondamento della legalità e dell'etica) o quella neo-contrattualistica (il fondamento della convivenza sta nel coordinamento/armonia degli interessi in gioco).

Ma oltre a queste due “scuole di pensiero” vi è una terza via, quella dell’Etica delle virtù (Aristotele). L’Etica delle virtù esige dal soggetto umano l'impegno a contribuire con la propria vita, alla buona riuscita di “altre vite”. Secondo questa visione la “scelta Etica” non è solo un problema di regole e comportamenti legati alla convivenza, poiché le persone devono accogliere nella loro struttura di preferenze (motivazioni) il concetto di bene che si vuole perseguire; in altri termini diventa centrale la costituzione morale delle persone, ossia la loro struttura motivazionale. Dentro questa visione l’Etica non può prescindere dallo “stare con. Socrate nella sua Apologia spiegò benissimo questo punto ai suoi accusatori dicendo: «So di aver ragione ma so anche che non sono riuscito a convincervi perché non abbiamo vissuto insieme».

In altri termini per con-vincere occorre con-vivere.

Ciò significa che l’Etica, prima ancora di suggerire principi e stabilire regole, è una dimora, in cui ci si prende “cura di sé e degli altri”, un luogo in cui ci si prende cura del bene “umano” e delle relazioni che da esso si generano. (S. Zamagni). Per cui l’agire politico e la legalità non possono essere orientati solo ad assicurare tutto ciò che serve ad un’adeguata convivenza sociale, ma sono chiamati anche, e soprattutto, a promuovere una “buona” vita in comune generando comunità.

Comunità e non “comunanza”, termini diversi la cui differenza è ben descritta da Aristotele:

La vita in comune è cosa ben diversa dalla comunanza, la quale riguarda anche gli animali al pascolo. In cerca, se gli riesce, di sottrarre il cibo agli altri. Nella società degli umani, invece, il bene di ciascuno può essere raggiunto solo con l’opera di tutti. E soprattutto il bene di ciascuno non può essere fruito se non lo è anche dagli altri».


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