Solidarietà & Volontariato

Un “atto che la pace esige”. Campagna per il disarmo e la difesa civile

di Pasquale Pugliese

(articolo pubblicato su Azione nonviolenta – numero speciale per Arena di pace e disarmo)

Il 7 maggio 1945, a liberazione dell’Italia appena avvenuta, Aldo Capitini scriveva sul Corriere di Perugia: “ha fine la più grande guerra che sia mai stata, e comincia la più vasta e più complessa pace del mondo. Il primo attimo di una pace è quando gli eserciti non stanno più schierati e intrecciati nella mischia lampeggiante e cruenta, ma non è che il primo fatto: se la guerra è composta di una serie di azioni, di battaglie, di bombardamenti, di blocchi commerciali, di spionaggi; anche la pace è una serie di azioni: e noi subito ci domandiamo: sono gli uomini preparati a tutti questi atti che la pace esige per stabilirsi durevole su tutta la estensione dei continenti e degli oceani?”

La prima tragica risposta sarebbe giunta appena due mesi dopo: il 6 e il 9 agosto dello stesso anno gli Stati Uniti sganciavano le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, inserendo nelle possibilità della storia l’arma atomica e avviando una nuova corsa internazionale agli armamenti che – da allora – non si è più fermata. Dopo un piccolo rallentamento tra la caduta dei regimi dell’Est europeo e l’abbattimento delle Torri gemelle a New York, ossia tra il 1989 e il 2001, le spese militari hanno ripreso a bruciare ingenti risorse dei bilanci degli Stati. Oggi – come certifica anno dopo anno l’autorevole SIPRI di Stoccolma – si spende complessivamente per gli armenti nel mondo quanto non si è mai speso nella storia dell’umanità. I ricercatori del Global Peace Index calcolano che se si cancellassero con un colpo di spugna le spese militari globali si libererebbero talmente tante risorse economiche da ripagare il debito estero dei Paesi impoveriti, da fornire abbastanza risorse per il meccanismo di stabilità europeo e finanziare il costo annuale degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio promosso dalle Nazioni Unite: eradicare la povertà e la fame, dare a tutti l’educazione primaria, promuovere l’uguaglianza di genere, ridurre la mortalità infantile ecc.

Eppure, l’Assemblea costituente italiana, insediatasi un anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, aveva realizzato un capitiniano “atto che la pace esige” inserendo l’articolo 11 tra i principi fondamentali della Repubblica: “l’Italia ripudia la guerra” come mezzo e strumento delle relazioni internazionali. Un atto di ripudio unilaterale, che ha ispirato giovani come Pietro Pinna che ne hanno incarnato il ripudio nel gesto di personale obiezione di coscienza all’obbligo militare, cioè alla preparazione alla guerra. Invece bellamente ignorato dai governi della repubblica italiana: dal 1948 ad oggi la spesa militare italiana – cioè la preparazione della guerra – è sempre cresciuta in termini costanti e progressivi, indipendentemente dalle maggioranze parlamentari. Eppure quel “ripudio della guerra”, e dunque della sua preparazione, è insita l’indicazione verso la ricerca di un’altro “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non armato e nonviolento.

Questa ricerca non è avvenuta dall’alto dei governi, è avvenuta tuttavia dal basso dei cittadini attraverso altri “atti che la pace esige”, assunti responsabilmente dai movimenti nonviolenti:

il movimento degli obiettori di coscienza – a partire da Pietro Pinna – oltre al diritto soggettivo all’obiezione di coscienza, ha conquistato l’istituzione del Servizio civile nazionale come “difesa civile” della Patria, concorrente e alternativa a quella militare, sia nell’ordinamento legislativo che nelle sentenze della Corte costituzionale: “Accanto alla difesa <<militare>>, che è solo una forma di difesa della Patria, può ben dunque collocarsi un’altra forma di difesa, per così dire, <<civile>>” (sentenza n 228 del 2004). Ma i governi hanno reso la concorrenza del tutto sleale attraverso l’iperfinanziamento della “difesa” militare – trasformata ormai in “offesa” attraverso vent’anni di incostituzionali interventi militari in giro per il mondo – riservando briciole di risulta alla difesa civile;

il movimento degli “interventi civili di pace” – a partire dall’intuizione di Alex Langer – ha ricercato e sperimentato modalità e strumenti di intervento nonviolento nelle situazioni di crisi internazionali e prefigurato anche in Italia la nascita di un vero e proprio “corpo civile di pace”. In Europa, il Parlamento di Strasburgo – nel quale Langer è stato presidente del gruppo parlamentare dei Verdi – ne ha fatta propria l’idea attraverso l’approvazione di “mozioni”, “raccomandazioni” (1995, 1999 e 2001) e “studi di fattibilità” (2004 e 2005). La società civile italiana si è dotata di un Tavolo Interventi Civili di Pace che svolge un ruolo di coordinamento dei movimenti che già intervengono, in maniera disarmata e competente, in zone di conflitto. Interventi costituzionali, ma non finanziati se non per i 9 milioni strappati nell’ultima legge di stabilità dall’”emendamento Marcon“, in un bilancio che vede il nostro Paese – pur in piena recessiose – tra le prime dieci potenze militari al mondo;

il movimento per il disarmo sta conducendo da tempo la lotta per la redistribuzione sociale e civile delle spese per gli armamenti, a partire dalla Campagna “Taglia le ali alle armi” contro i caccia JFS F-35, che incalza governi e parlamento anche producendo materiali informativi che smascherano le ambiguità militari. Una campagna che tiene alta l’attenzione sui media, promuove raccolte di firme e favorisce l’adozioni di mozioni contrarie nelle amministrazioni locali. Se il parlamento è stato costretto ad occuparsi seriamente dei cacciabombardieri, anche contro la volontà del cosnsiglio supremo di difesa, e il ministro Pinotti parla di un secondo possibile ridimensionamento della commessa è proprio grazie all’impegno della campagna per il disarmo.

Oggi, di fronte alla drammatica crisi economica e sociale del Paese, che sostanzialmente non ha sfiorato lo strumento militare, questi tre movimenti – che attraverso le rispettive Reti organizzative hanno già promosso il 2 giugno la “Festa della Repubblica che ripudia la guerra” – vogliono fare un passo in avanti, promuovendo congiuntamente la Campagna per il disarmo e la difesa civile, lanciando la proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione e il finanziamento del Dipartimento per la difesa civile, non armata e nonviolenta. Un Dipartimento che comprendeil Servizio civile, i Corpi civili di pace e la Protezione civile. Si tratta di dare finalmente concretezza a ciò che prefiguravano i Costituenti, che è previsto dalla legge e confermato dalla Consulta, cioè la realizzazione di una piena alternativa alla difesa militare, finanziata direttamente dai cittadini attraverso l’opzione fiscale in sede di dichiarazione dei redditi.

La difesa civile non armata e nonviolenta è stata già oggetto di studio da parte del Comitato omonimo di consulenza (attivo dal 2004 al 2011) costituito presso l’Ufficio nazionale del servizio civile (Unsc) che ha rilevato come il dovere di difesa della Patria – oltre che come “diversa modalità di gestione dei conflitti internazionali” – può essere letto in senso più ampio di quanto non sia stato fatto finora, “identificandolo con la difesa dei valori della Costituzione della Repubblica italiana” (2006). Tema ripreso dallo stesso Unsc nelle nuove “Linee guida per la formazione generale dei volontari in servizio civile”: la difesa civile “si riconnette, in primis, al ripudio della guerra, ma poi anche e soprattutto al consolidamento dei legami tra i consociati finalizzato al raggiungimento di una maggiore coesione sociale nel quadro delle libertà garantite dalla Costituzione, alla lotta contro le ineguaglianze e le ingiustizie sociali, alla tenuta/ricostruzione dei legami tra cittadini e tra questi, le istituzioni repubblicane e lo Stato” (2013)

Obiettivo della Campagna è quello di dare uno strumento in mano ai cittadini per obbligare lo Stato a finanziare la difesa civile, non armata e nonviolenta – ossia la difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; la preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; la difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali – anziché finanziare cacciabombardieri, sommergibili, portaerei e missioni di guerra, che lasciano il Paese indifeso difronte alle vere minacce che lo colpiscono e lo rendono invece minaccioso agli occhi del mondo. Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di sicurezza, minaccia e difesa, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” ed afferma la difesa dei diritti di cittadinanza. Non il contrario, come pare intendano i governi. Non è un caso che sia stata lanciata il 25 Aprile, Festa della Liberazione, perché oggi la liberazione si chiama disarmo e la resistenza si chiama nonviolenza Ci pare “un atto che la pace esige”. Dunque, prepariamoci.


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