Solidarietà & Volontariato

Armi, guerra e lotta. Tre letture tra pensiero magico, pensiero razionale e narrazione distorta

di Pasquale Pugliese

Nel giro di alcuni giorni sono uscite tre pubblicazioni importanti che aiutano a comprendere ciò che sta accadendo nel mondo e nel nostro paese, sia nella loro singolarità che nella possibile relazione reciproca fornita da una lettura incrociata. La prima delle tre pubblicazioni è il Rapporto SIPRI 2022, l’autorevole Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, relativo all’anno 2021, il quale dimostra con dati inoppugnabili come i governi nel loro complesso – anche nel secondo anno di pandemia – abbiano continuato inesorabilmente ad aumentare le spese militari dei bilanci pubblici, superando, per la prima volta nella storia, la soglia dei 2000 miliardi, giungendo fino a 2113 miliardi di dollari. Si tratta di una crescita dello 0,7% rispetto al 2020 e di un aumento del 12% in dieci anni, oltre che della conferma del raddoppio netto delle spese militari – sottratte agli investimenti civili – negli ultimi venti anni, ossia dall’avvio dell’aggressione militare guidata dagli USA in Afghanistan nel 2001, conclusasi lo scorso agosto. Non a caso gli Stati Uniti da soli rappresentano il 38% della spesa militare mondiale, mentre la spesa complessiva dei 30 Paesi della NATO equivale al 55% del totale globale e quella della Russia al 3,1%. In questo quadro L’Italia si conferma all’undicesimo posto al mondo per spesa in armamenti, con una crescita del 4,6% rispetto al 2020 (maggiore della media dell’Europa occidentale che si assesta su un +3,1%). Naturalmente, questi dati sono precedenti alla decisione dei governi europei di portare al 2% del PIL la propria spesa militare, su pressione della NATO. L’estrema gravità della situazione internazionale che ci vede – di fatto – dentro ad una guerra mondiale che si svolge, per il momento, all’interno del territorio ucraino con il rischio di divampare da un momento all’altro in tutta Europa, anche con l’uso delle armi nucleari (oltre alle diverse decine di altre guerre in corso nel pianeta sulle quali i media tacciono), dimostra – evidente/mente – che la crescita progressiva degli armamenti non porta più sicurezza e più pace, come viene millantato dai governi che la promuovono, ma esattamente il contrario: più insicurezza globale e più guerre ovunque. E’ solo la credenza diffusa in un pensiero magico, pre-razionale, ma funzionale al complesso militare-industriale internazionale – come abbiamo più volte spiegato, per esempio qui – che può consentire questa lucida follia che sta conducendo l’umanità sull’orlo dell’apocalisse nucleare. Anziché i folli capi di molti governi ad un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

La seconda lettura, complementare alla prima, è il libro Perché L’Ucraina (Ponte alle Grazie, 2022) che contiene la traduzione italiana di sette interviste a Noam Chomsky – il noto linguista e intellettuale civile statunitense – fino alle più recenti sul precipitare della situazione ucraina. E’ una pubblicazione importante perché – di fronte al “punto critico della storia umana nel quale ci troviamo” – aiuta a compiere l’esercizio fondamentale per la comprensione di quanto sta avvenendo, cioè la presa di distanza storica e geografica dallo scorrere delle notizie quotidiane, per acquisire profondità di lettura e apertura di sguardo, operazioni indispensabili per trovare soluzioni alla guerra in corso, che non siano catastrofiche per tutti. Chomsky non fa nessuno sconto alle responsabilità di Vladimir Putin – “l’invasione russa dell’Ucraina è un grave crimine di guerra, al pari dell’invasione statunitense dell’Iraq e di quella di Hitler-Stalin della Polonia del 1939, giusto per fare due esempi emblematici” – dopodiché, a partire dall’approfondimento di alcune delle con-cause che hanno preparato questo crimine, conduce il lettore verso la ricerca di possibili soluzioni razionali alla guerra in corso. A partire dalla chiara consapevolezza della complessità della situazione: “dobbiamo fare tutto il possibile per dare sostegno a coloro che difendono valorosamente la loro patria dai crudeli aggressori, a coloro che fuggono dagli orrori e alle migliaia di coraggiosi russi che si oppongono pubblicamente al crimine del loro Stato con grande rischio per se stessi: una lezione per tutti noi. Dobbiamo però anche trovare il modo per venire in soccorso di una categoria ben più ampia di vittime: tutti gli esseri viventi del pianeta”. In questo quadro – secondo Chomsky – “una risposta razionale alla reiterazione da parte di Putin del suo <<vero obiettivo>> sarebbe quello di offrire ciò che da lungo tempo è considerato il presupposto di base per una soluzione pacifica: una neutralità in stile austriaco per l’Ucraina, una qualche versione di federalismo sulla scorta del Protocollo di Minsk II che rispecchi degli effettivi impegni degli ucraini nel territorio. Un atteggiamento razionale implicherebbe anche fare questo senza adottare la patetica posizione dei diritti di sovranità che normalmente teniamo in totale spregio. (…). Sarebbe una strada percorribile, ma presupporrebbe un mondo razionale, un mondo, per giunta, in cui Washington non si rallegra per il meraviglioso dono che Putin le ha appena fatto: un’Europa pienamente subordinata senza sciocche fantasie sul fatto di sfuggire al controllo del Padrone”.

La terza pubblicazione, I grandi discorsi che hanno cambiato la storia (Newton Compton, 2022), è una nuova edizione di una precedente antologia a cura di Gianluca Lioni e Michele Fina, anch’essa appena pubblicata, che contiene in copertina un azzardato accostamento – “Da Gandhi e Mandela a Martin Luther King a Zelensky le parole dei leader che hanno influenzato l’umanità” – il quale rappresenta un errore epistemologico che contribuisce ad una narrazione distorta. Seppure all’interno siano contenuti molti altri discorsi (da Pericle ad Alessandro Magno, da Napoleone a J. F. Kennedy), l’errore – a fini commerciali – dell’accostamento di copertina tra Gandhi, Mandela, Martin Luther King e Zelensky è dato dal mettere insieme tre personaggi che hanno fatto del rifiuto intenzionale della violenza una scelta specifica del metodo di lotta contro l’oppressore, per quanto infinitamente sovrastante e violento – vincendo esattamente per questo motivo il premio Nobel per la pace, due su tre, e rimettendoci per questo la vita, due su tre e avviando tutti percorsi di riconciliazione con l’avversario, insieme alla lotta – con il quarto che, invece, sta portando avanti la scelta esattamente contraria di richiesta ed uso di sempre più armi, sempre più potenti, per combattere un nemico nei confronti del quale non si intravede nessuna apertura possibile verso passi di pace e riconciliazione. Due scelte radicalmente opposte e affatto assimilabili. Questo errore epistemologico contribuisce così, di fatto, ad una narrazione distorta sul piano culturale che – mettendo insieme il quarto con i primi tre – allude, come in una notte in cui tutte le vacche sono nere, ad una continuità delle rispettive lotte, le quali invece non hanno nulla in comune. Perché la scelta nonviolenta dei primi è fondata sulla coerenza tra i mezzi usati e il fine da raggiungere, per la scelta violenta dell’altro invece il fine giustifica qualunque mezzo. Senza alcun limite. Peccato che questa operazione di marketing sia condotta da un editore che pure, in passato, aveva contribuito a divulgare l’opera gandhiana in Italia a prezzi popolari, dall’Autobiografia del profeta della nonviolenza (La mia vita per la libertà, 1973) all’antologia Parole di pace, d’amore e di libertà dell’uomo che è diventato il simbolo della non violenza (Il mio credo, il mio pensiero, 1992), per esempio queste: “Rispondere alla brutalità con la brutalità è ammettere la propria bancarotta morale e questo non può che avviare un circolo vizioso…” (Harijan, 1 giugno 1947).


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