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La sindrome di Enzensberger

di Flaviano Zandonai

“Tutto a modino” direbbe il nonno di Giulio Sensi (che ormai è un influencer sui social media, credo a sua insaputa) riferendosi al programma della grande conferenza europea sull’impresa sociale che si terrà la prossima settimana a Strasburgo. Sessioni dai temi azzeccatti, speakers di livello e pure l’immancabile messaggio da lanciare ai policy maker. Certo c’è sempre una certa confusione terminologica (social enterprise, social business, social entrepreneurship…), ma sono le scorie dello scontro tra le lobbies che vogliono determinare l’agenda delle politiche (e dei finanziamenti) comunitari. Si potrebbe considerare, questa confusione, una sorta di indicatore dell’interesse per l’argomento, per cui tutto sommato… va bene così.

Però c’è un però. Ovvero il fatto che anche l’impresa sociale che si declina a livello europeo soffre della malattia che colpisce tutte le istituzioni comunitarie è che è stata diagnosticata, tra gli altri, dall’intellettuale tedesco Hans Magnus Enzensberger in un classico pamphlet pubblicato un paio d’anni fa. “Il mostro buono di Bruxelles” è un titolo curioso ma anche molto chiaro e fa riferimento alle amorevoli cure – a volte un po’ eccessive – che variegate organizzazioni europee riservano noi cittadini su aspetti cruciali: dalla qualità dei prodotti alla mobilità, dal lavoro al welfare. Il tutto però con un clamoroso deficit democratico o, se si preferisce, di governance.

Non voglio fare il Nigel Farage dell’economia sociale. Ci mancherebbe altro. Però nonostante gli sforzi in sede di conferenza e di gestione di un mega gruppo di esperti individuati nei vari paesi dell’Unione, rimane sempre l’impressione che al fondo, come sostiene il sociologo Donati, a prevalere siano le politiche regolative piuttosto quelle che promozionali. E l’invito “a dire la propria” che intitola la conferenza e rivolto agli imprenditori sociali tradisce al fondo questa impostazione. La voglia di accorciare le distanze tra “il palazzo” europeo e l’imprenditoria sociale svela così una gran bella coda di paglia. Perché al di là del contenuto del messaggio quel che conta è l’interlocutore. E se si tratta di una qualche DG per quanto tecnicamente competente, diciamo che la cosa non scalda il cuore, rischiando di far apparire un po’ “plastificata” la “Dichiarazione di Strasburgo” che dovrebbe rappresentare il momento clou dell’evento.

Il toccasana per la sindrome di Enzensberger? Qualche impresa sociale europea in più. Un sano social business transfrontaliero aiuterebbe ad alzare la posta in gioco sollecitando davvero l’emergere di un ecosistema che dice la propria non solo su richiesta, ma perché ne sente l’esisgenza e ne ha la forza. Ma i casi sono ancora troppo pochi.

P.S. Detto questo alla conferenza ci andrò. E pure con un pulman di imprenditori sociali splendidamente organizzato dalla fondazione Solidarete. Se vi va farò un po’ di cronaca…


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