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Politica & Istituzioni

Gli arresti domiciliari

di Franco Bomprezzi

Credo che in queste ore ci sarebbe bisogno estremo di un uso accorto delle parole. E di una sensibilità maggiore nei confronti delle esistenze reali dei cittadini di questo Paese. Quando leggo della orrenda ingiustizia subita da Silvio Berlusconi, che non può accettare un anno di arresti domiciliari, e che non ritiene dignitoso dedicare altrettanto tempo a lavori socialmente utili, penso immediatamente alla sorte di tante persone con disabilità grave, che vivono permanentemente agli arresti domiciliari, e non possono davvero chiedere la Grazia, se non, forse, al Padreterno.

Può sembrare demagogia, mi rendo conto. Ma ci deve pur essere un punto di equilibrio fra la realtà dei potenti e quella dei cittadini. Le parole possono rappresentare questo ponte. Se le parole suonano blasfeme l’equilibrio si spezza e la distanza si rivela abissale. Gli arresti domiciliari per centinaia di migliaia di persone disabili sono un fatto quasi ineludibile. E non solo perché la personale situazione fisica impedisce la mobilità. Ma perché la propria abitazione è circondata di barriere e di ostacoli, perché l’ascensore è piccolo o non c’è affatto. Perché molte persone con disabilità sono divenute anziane nella stessa casa in cui, decenni prima, affrontavano le rampe di scale saltando i gradini a due alla volta. Perché magari sono state ricoverate in una residenza, e ora da lì non riusciranno più a evadere, e al massimo potranno ricevere le visite dei parenti. Perché non hanno i soldi per pagarsi un assistente personale, e i servizi sociali del loro Comune sono in bolletta, perché è meglio non far pagare l’Imu, e mandare i Comuni in rosso profondo. Perché agli arresti domiciliari ci sono anche le loro mamme, i loro papà, a volte persino i loro figli, che non riescono a staccare un giorno, e neppure un’ora, che tanto nessuno dà loro il cambio. Perché non hanno più voglia di uscire di casa, tanto non potrebbero fare nulla di divertente o di positivo. Perché non hanno un lavoro, non hanno un reddito, hanno una pensione bassissima, e si vedono messa in pericolo anche quella piccola cifra, da controlli decisi in alto sulla spinta decisiva di uno dei governi di Silvio (poi confermati dagli altri…). Perché nessuno li vede, e loro non hanno la forza, né i soldi, per farsi sentire e dunque diventano invisibili, fantasmi di una società che corre spesso senza direzione.

C’è un punto però che forse è decisivo. Nessuno di loro è stato condannato in via definitiva, in terzo grado, da una libera Corte di un libero Paese democratico. Non hanno colpe da scontare, solo un destino che li ha portati giorno dopo giorno a ridimensionare le aspettative di vita, ad accettare una sorte ingiusta, o almeno a subirla senza protestare troppo. E senza cortei di solidarietà sotto casa.

 


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