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Cercasi manager socialmente responsabili per gestione beni confiscati alla mafia

di Marco Percoco

Nelle ultime settimane si è vagamente intensificato il dibattito intorno alla gestione dei beni confiscati alla mafia, complici alcune decisioni prese dall’Agenzia Nazionale per la gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati incaricata di gestirne i destini.

Dato il danno apportato dalla criminalità organizzata ai territori che loro malgrado la ospitano, l’ammontare dei beni sottratti al controllo ed alla proprietà delle cosche è invero modesto, ciononostante importante da un punto di vista simbolico, oltre che a volte rilevante economicamente in alcuni ambiti. In generale, dunque, i beni e le aziende confiscate alle mafie hanno un duplice valore:

a) un valore economico-patrimoniale di cui lo Stato può disporre e che , una volta resi più efficienti rispetto all’esperienza condizionante della proprietà criminale, possono concorrere, in maniera diversa a seconda delle dimensioni, allo sviluppo dei territori;

b) un valore simbolico ed evocativo in quanto patrimonio che in qualche modo viene “restituito” alla collettività.

Quale delle due dimensioni prevalga è ovviamente questione empirica scarsamente generalizzabile, ma è ragionevole attendersi che lo Stato, per mezzo dell’Agenzia, nel decidere della destinazione di beni ed aziende cerchi di contemperare le due visioni.

Di recente ho lavorato ad un progetto congiunto Istud-SDA Bocconi-Luiss avente quale obiettivo la comprensione delle potenzialità del patrimonio criminale attualmente in mano pubblica.

Mi è sembrato di intravedere un certo radicalismo ideologico nella gestione della questione, con una serie di associazioni sempre pronte a gestire qualsivoglia genere di intrapresa senza, però, riuscire ad auto-valutare le proprie competenze e specificità. In contrapposizione a questa visione è l’approccio dell’Agenzia che, spinta anche da stringenti vincoli di bilancio pubblico, è graniticamente orientata a dismettere le aziende vendendole all’asta.

Credo che a queste visioni estreme debba contrapporsi un pragmatismo metodologico che rilanci le aziende in questione (e la proprietà può essere pubblica, privata, pubblico-privata, poco importa) mobilitando forze imprenditoriali locali, ma anche manager che siano orientati al benessere sociale, oltre che aziendale.

In altre parole, è necessario restituire alla collettività aziende in salute, ovvero restituirne il valore effettivo e non di saldo.


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