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Come ottenere un lavoro e smettere di mangiare suolo

di Marco Percoco

Secondo i dati dell’Ispra, ogni giorno in Italia si cementificano 70 ettari di territorio. In cinque anni, nel nostro paese si è perso più di 1 milione di posti di lavoro.

Cosa hanno in comune questi due fenomeni apparentemente molto diversi e relativi ad ambiti così distanti? Si potrebbe pensare al settore delle costruzioni, ma il punto che vorrei proporre è invece relativo alla politica fiscale.

Sicuramente la perdita di posti di lavoro nei territori italiani è stata prodotta da innumerevoli fattori congiunturali (la crisi), ma esistono anche delle cause strutturali, tra cui campeggia il cosiddetto “cuneo fiscale”, ovvero la tassazione del lavoro in capo ad imprese e lavoratori. Un coro greco di politici ribadisce e sostiene che la riduzione di questo carico fiscale dovrebbe essere considerata una priorità per tutti i governi. Ma l’applicazione di questi pii desideri è poi ben diversa visto che l’attuale governo si è di recente prodigato per tenere bassa la tassazione sulla casa, anzichè sul lavoro, sino a promulgare l’immondo Decreto IMU-Bankitalia, un provvedimento paradossalmente dannoso per la finanza pubblica, oltre che sconveniente nella forma.

E’ bene, invece, ricordare come l’Italia sia tra i paesi industrializzati ove la tassazione sugli immobili è tra le più basse, visto che ammonta a circa l’1% del PIL, contro il 3,5% in UK ed il 2,5% in Francia, ad esempio.

Le ragioni per cui le proprietà immobiliari tutte andrebbero tassate sono molteplici e riconducibili a due categorie.

Da un lato, gli esperti di finanza pubblica ritengono che la casa sia un cosiddetto bene à la Ramsey, ovvero un bene la cui domanda si riduce di poco una volta tassata (e ciò perchè lo spazio costruito è assolutamente necessario, tanto per le famiglie quanto per le imprese). Dall’altro lato, gli immobili impongono alla collettività una serie di costi che devono trovare una copertura finanziaria (si pensi alle scuole, alle strade, ai servizi idrici, etc.).  Gli oneri di urbanizzazione per i nuovi immobili e la tassa sulla proprietà per l’esistente dovrebbero, almeno in teoria, servire a coprire questi costi.

Comunque la si veda, la questione, da un punto di vista ambientale, è che la bassa tassazione degli immobili (soprattutto in termini di oneri di urbanizzazione) costituisce un argine insignificante al consumo di suolo.

Date queste premesse, un innalzamento della pressione fiscale potrebbe utilmente coprire parte della spesa pubblica e ridurre il consumo di suolo, dicincentivando la costruzione di ulteriore stock immobiliare. Inoltre, il gettito così ottenuto potrebbe coprire anche una riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, che a sua volta comporterebbe un abbattimento del costo del lavoro e, magari, un incremento dell’occupazione.

Quest’operazione dal doppio dividendo (contenimento del consumo di suolo ed aumento dell’occupazione) non è certo priva di rischi, poichè sarebbe necessaria calibrarla in modo che non siano le famiglie a pagare per la riduzione delle tasse in capo alle imprese, ma è assolutamente fattibile.


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