Perchè la città metropolitana serve anche al Terzo Settore

di Marco Percoco

Esistono due città: una definita dai confini amministrativi, ed una definita dai flussi di pendolarismo, ovvero dalla geografia delle residenze e dei luoghi di lavoro degli utilizzatori dell’ambito urbano.

Il frazionamento istituzionale come lo conosciamo in Italia (ovvero l’immobilismo decisionale dovuto ai troppi enti coinvolti, spesso con diritto di veto) è frutto proprio della mancata coincidenza tra la città amministrativa e quella reale. Questa mancata sovrapposizione comporta una lunga serie di inefficienze che vanno dai tempi lunghi per l’approvazione di progetti infrastrutturli, all’incoerenza nell’uso dei suoli e nella protezione delle aree verdi, ad una inefficiente distribuzione dei costi per la gestione del territorio. In poche parole, lo spazio da gestire e le relazioni socio-economiche che vi risiedono sono continui, mentre i confini amministrativi sono delle fratture artificiali create dall’uomo che danno vita ad incomprensibili frizioni quando si tratta di mettere d’accordo diverse teste, spesso appartenenti a partiti diversi.

Il Disegno di Legge del Governo “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Provincie, sulle unioni e fusioni di comuni” cerca di rimediare almeno parzialmente alla situazione istituendo le “città metropolitane”, che in molti casi andrebbero a sostituire le vecchie amministrazioni provinciali. Le 10 città metropolitane già previste sarebbero Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, a cui potrebbero aggiungersi Trieste, Cagliari, Palermo, Messina, Catania, Varese-Monza, Verona-Vicenza, Treviso-Padova, Brescia, Bergamo e Salerno.

Non sono ancora chiare le competenze di questi nuovi enti. Certamente, però, saranno utili solo se non saranno un altro ente cui render conto, ma se ne sostituiranno altri (Provincie e Comuni minori in primis) e se riusciranno a rendere coerenti, all’interno di uno spazio omogeneo, le azioni di pianificazione del territorio e di programmazione economica. In poche parole, le città metropolitane saranno utili solo se riusciranno a far combaciare il perimetro della città amministrativa con quelo della città reale.

Negli scorsi giorni, alcune associazioni di industriali, organizzatesi nella Rete delle associazioni industriali metropolitane, hanno diffuso il “Manifesto delle città metropolitane italiane” in cui identificano alcuni temi strategici che dovrebbero essere oggetto dell’azione di governo metropolitano: marketing territoriale, agenda digitale, politica per la localizzazione delle imprese, realizzazione di aree industriali attrezzate, politiche per il lavoro, politiche per l’innovazione. Sono tutti temi condivisibili, sebbene stupisca l’assenza di richiami alla pianificazione urbanistica ed alle infrastrutture.

Il Terzo Settore deve forse essere indifferente a questi moti di cambiamento nelle modalità di gestione del territorio? Non credo, ovviamente. E non solo perchè il Terzo Settore vive il territorio ed a volte “lo lavora” (nel senso che lavora con le relazioni sociali che lo abitano), ma anche perchè la costituzione delle città metropolitane può modificare le condizioni di contesto in cui si opera (si pensi solo agli enti pubblici clienti o alla geografia dei bacini di utenza per servizi di varia natura).  E’ un’intuizione che gli industriali hanno avuto e non è condivisibile l’indifferenza del nonprofit verso qualsiasi cosa accada che non sia direttamente ed esplicitamente legata alla sua produzione.

Dopotutto, nel prossimo periodo di programmazione regionale 2014-2020 centinaia di milioni di euro saranno dedicati alla qualità della vita nelle aree urbane, una caratteristica cui il Terzo Settore contribuisce direttamente con la produzione di servizi educativi, sociali, assistenziali, culturali. Contribuire alla costruzione dell’ente, la città metropolitana, che pure si troverà parzialmente a gestirli, può non essere un’azione di secondaria importanza.


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