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Un geografo disorientato all’Expo

di Marco Percoco

Confesso di non essere mai stato un grande sostenitore dell’Expo 2015, non tanto per chissà quale ragione ideologica, ma perchè non sono riuscito a comprenderne le ragioni, al di là di una mera (e supposta) convenienza economica e di una chiara opportunità politica.

Ciononostante, non mi sono sottratto al rito moderno cui tutti, soprattutto quelli che gravitano attorno all’area metropolitana milanese, sono chiamati: anch’io ho visitato Expo. Ci sono andato con le migliori intenzioni, sebbene il peso dei preconcetti si facesse sentire, ma ero anche curioso di capire come il tema, “Nutrire il pianeta”, fosse stato declinato. Già, Expo ha un tema, impegnativo ed importante poichè attiene le politiche alimentari, ovvero la sopravvivenza stessa del genere umano, in ultima istanza.

Devo dire che gran parte degli amici e conoscenti che già avevano pagato visita al sito mi avevano decantato le doti di questo o quel padiglione, soprattutto in funzione di ciò che erano riusciti a mangiare o dei cibi che avevano visto o degli effetti speciali presenti. E pure i commenti sui social network erano dello stesso tono. Questa girandola di foto e recensioni amatoriali mi avevano fatto sorgere un dubbio: “Non è che Expo è in realtà una bella e costosa fiera della gastronomia?”.

Ebbene, dopo aver visitato una ventina (credo) di padiglioni mi sono reso conto di una cosa: il tema di Expo, “Nutrire il pianeta”, è una finzione pubblicitaria. Certo, è altamente probabile che sia stato io a non aver compreso sino in fondo i temi che l’Esposizione universale intendeva veicolare, sarò stato certamente io a peccare di scarsa attenzione e sensibilità per non aver percepito i messaggi subliminali che mi venivano inviati.

E, però, Padiglione Italia è l’emblema di questo fallimento comunicativo, che maschera una ben più grave pochezza di temi: una struttura esteticamente accattivante che contiene un pauroso nulla in termini di idee e prospettive. Almeno il Padiglione della Lombardia è orrendo anche esteticamente, di modo che nessuno osa crearsi delle aspettative positive.

Non fraintendetemi, ci sono padiglioni belli da vedere e/o interessanti (soprattutto da un punto di vista turistico o della sorpresa estetica), ma ciò che manca, ed è grave, è il messaggio.

Ho letto su Facebook i commenti di due persone che conosco e che hanno o hanno avuto un ruolo di primo piano in Expo. Ebbene, si lamentavano del fatto che gli “intellettuali” non hanno capito che l’evento è di natura popolare. Sono d’accordo con questa visione, la sottoscrivo sino in fondo, ma proprio per questo sarebbe stato importante veivolare messaggi, anche semplici. E poi, una banalità: la supposta “popolarità” di Expo non può implicare l’assoluta mancanza di prospettiva.

Insomma, dentro Expo ero frastornato e disorientato, non mi ci raccapezzavo proprio; all’uscita avevo le idee ancora più confuse di prima circa le problematiche alimentari che affliggono il mondo. Che peccato.


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