Dopo l’Expo: Milano dai cantieri alle persone

di Marco Percoco

Il gigante, forse, si sta svegliando. Milano, il cuore economico del nostro Paese, sta riprendendo coscienza del posto che la sua capacità produttiva le ha assegnato nell’ultimo secolo: quello di guida del sistema economico.

Alla fine degli Anni Cinquanta, la Città era ancora un centro produttivo di beni, per poi diventare un cuore pulsante della finanza internazionale. Ma negli ultimi decenni, Milano si è economicamente spenta, non tanto rispetto alle altre città italiane, quanto rispetto alle altre grandi metropoli internazionali.

Le ragioni di questa stagnazione decennale (che è forse la stagnazione di tutta la Lombardia, oltre che dell’Italia) non sono chiare, ma di certo le scelte degli ultimi anni non hanno aiutato. L’eccessivo focus sugli investimenti immobiliari, in assenza di una visione di lungo periodo, ha comportato solo un sollievo momentaneo per l’economia locale, derivante principalmente dalle spese sostenute per la costruzione dei nuovi edifici. Questi interventi di riqualificazione non hanno inciso in maniera importante sulla capacità produttiva di Milano, benchè qualche vistoso mutamento nello spazio costruito e nella composizione sociale di alcuni quartieri sia pure evidenti.

Oggi si presentano all’orizzonte tre occasioni imperdibili:

  1. Il referendum inglese circa l’abbandono dell’UE sta mettendo in seria difficoltà Londra, la più europea delle città anglosassoni. Il suo vastissimo settore finanziario potrebbe trovare conveniente localizzare altrove servizi e filiali. Similmente, la European Banking Agency potrebbe essere costretta a traslocare ed è importante l’intuizione del sindaco Sala di portare avanti immediatamente la candidatura di Milano ad ospitare tale importante istituzione.
  2. Terminato lo smantellamento dell’area Expo, è ora necessario capire cosa fare con quegli spazi. La creazione di un polo tecnologico è sicuramente un progetto interessante purchè non collassi al semplice trasloco di attività già esistenti in città. Questo progetto deve rappresentare un’occasione per Milano per attrarre nuove attività, magari tecnologiche e innovative, che possano avere spillover rilevanti per il territorio.
  3. La riqualificazione degli scali ferroviari è anche questa un’occasione per pensare e realizzare progetti ambizioni, quale il Fiume Verde. Naturalmente, anche in questo caso, se tutto collasserà all’ennesima operazione eminentemente immobiliare, nessun effetto sarà lecito attendersi rispetto al percorso di sviluppo di Milano.
Queste occasioni sono tutte importanti e bisogna lavorare perché possano essere colte, ma è pure necessario evitare che diventino eventi eminentemente estemporanei. Milano ha bisogno di ritrovare slancio produttivo e deve farlo con la convinzione che le politiche pubbliche possono migliorare la qualità della vita e, di riflesso, la competitività urbana.

La Città deve dotarsi di una strategia di sviluppo chiara che non contempli solo la modifica (o lo sfruttamento) dello spazio fisico, ma che consideri anche ciò che accade o dovrebbe accadere all’interno delle strutture costruite.

I punti su cui mi sentirei di consigliare l’amministrazione comunale sono pochi, ma sono stati spesso i grandi assenti del discorso pubblico lombardo.

  1. Milano deve migliorare la qualità della vita per la classe media, ovvero quella che generalmente sancisce il successo o il fallimento delle città. Bisogna garantire o aumentare i servizi alle famiglie, l’offerta culturale, i luoghi ove “vivere la città”, insomma bisogna fare di Milano una città attraente, non solo per i turisti, ma soprattutto per i residenti. In questo, ovviamente, le periferie, non solo quelle più tristemente degradate, devono ottenere un’attenzione particolare. Devono essere parte della città, che a sua volta deve estendersi ben oltre la Cerchia dei Bastioni.
  2. C’è stato un tempo (alcuni decenni addietro) in cui Milano è stata il centro dell’imprenditoria italiana. Ma questo carattere imprenditoriale dei “Milanesi” è andato affievolendosi nel tempo (forse al pari di altri territori italiani). Oggi è necessario sostenere nuovamente i giovani imprenditori, incrementando le occasioni di incontro tra domanda e offerta di capitali. Le università milanesi hanno già messo in campo diverse iniziative, molte di più se ne potranno organizzare con l’impegno attivo dell’amministrazione pubblica.
  3. Infine, anche attraverso il miglioramento dell’istruzione nelle periferie, è necessario migliorare la mobilità sociale degli individui. Milano non deve essere solo il luogo ove gli individui si recano per lavorare, ma deve essere la land of opportunity. Londra e New York crescono perché attraggono frotte di giovani volenterosi che si adattano ai lavori più disparati, almeno inizialmente, per poter perseguire i loro obiettivi professionali nel medio periodo. E’, questo, il frutto delle possibilità percepite di mobilità sociale offerte dalle città più competitive e attrattive. La trasmissione di potere e privilegi di padre in figlio non è sbagliato solo perché inefficiente, ma anche perché ingenera sfiducia che a sua volta si ripercuote su una minore imprenditorialità e minore capacità attrattiva di talenti.
Milano ha, quindi, bisogno di cambiare prospettiva nella gestione del territorio: dallo spazio costruito è necessario passare alla centralità delle persone. Non è un cambiamento politico indolore, ma l’effervescenza mostrata dalla parte più giovane dei candidati (di destra e di sinistra) al Consiglio comunale alle ultime elezioni lascia qualche barlume di speranza.


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