Le ragioni del populismo

di Marco Percoco

La vittoria di Trump alle presidenziali del 2016 non è la vittoria del partito repubblicano, ma l'affermazione ultima di una forma di populismo di destra che ormai permea i paesi occidentali.

Ho cercato nelle scorse settimane una definizione soddisfacente di "populismo", utile a categorizzare gli avvenimenti più recenti, ma non mi è stato possibile trovarne una che si adattasse non solo agli eventi di questi giorni, ma a tutta una serie di situazioni che hanno segnato la storia del XX secolo. Si tende spesso a ritenere il populismo, con un'accezione tendenzialmente negativa, come un fenomeno prettamente di destra, ma non è così. Se pensiamo agli esperimenti ultimi di socialdemocrazia in Bolivia e Venezuela, bisogna ricredersi poichè i movimenti che hanno portato a quelle forme di governo sono caratterizzati da una forte impronta populista volta a promuovere azioni anche estreme di redistribuzione della ricchezza e del reddito.

Ciò che mi sembra accomuni i populismi, o i movimenti politici che appaiono o sono percepiti come tali, sono almeno due tratti:

  1. l'individuazione di un gruppo di riferimento per comparare il proprio o altrui benessere o addirittura da indicare come la causa della propria insoddisfazione (i "ricchi", nei movimenti di sinistra; gli "immigrati", in quelli di destra);
  2. il carattere estremo e forse anche utopistico dele misure proposte per il miglioramento delle condizioni degli elettori (espropri e chiusura delle frontiere e deportazioni di massa).

In altri termini, il populismo del XXI secolo sembrerebbe essere un approccio demagogico alla politica enfatizzato da un carattere utopistico e massimalista. Questa offerta politica diventa naturalmente attraente per quegli elettori più di altri sensibili, tanto oggettivamente quanto soggettivamente, ai cambiamenti economici e sociali che pure rappresentano la croce e la delizia dell'età contamporanea.

Nelle democrazie, dunque, l'azione di contrasto e di proposta dovrebbe spettare ad un compatto fronte liberale in grado di proporre una visione alternativa attorno alla quale coaugulare porzioni significative dell'elettorato. L'opposizione alla proposta populista è stata ad oggi fortemente limitata, forse anche modesta. La politica economica liberale che caratterizza UK, Francia, Italia non è stata in grado di offrire una visione che non fosse la conservazione dello status quo. In Italia, in particolare, l'azione governativa attuale, dopo un primo periodo fortemente comunicativo, ha completamente perso il suo carattere evocativo tanto da risultare vulnerabile a scalate politiche.

Insomma, l'ascesa dei populismo non è solo il prodotto della paura di vaste fette della popolazione, ma anche il risultato di un approccio eccessivamente minimalista che ormai caratterizza le correnti liberal. L'idea di società proposta dai populismi può non essere attraente, può essere a tratti raccapricciante, ma è indubbio che questa proposta sia in rottura con quanto fatto e costruito negli ultimi decenni.

C'è anche un ulteriore elemento distintivo che sospetto essere particolarmente rilevante, ovvero l'eccessiva centralità del bilancio pubblico (e della relativa disciplina) e di teorie economiche, di cui non si ha certezza della valenza, nell'azione governativa e propositiva dei movimenti politici tradizionali. L'aver, dunque, demandato alla tecnica ampie porzioni di un'agenda politica minimalista non fa altro che rendere semplicemente poco attraente l'alternativa non-populista, soprattutto in un periodo di turbolenza economica e di aumento della rilevanza percepita delle crescenti disuguaglianze.

E allora la sfida cui oggi si trovano di fronte le forze politiche tradizionali tanto di governo quanto di opposizione è quella di proporre una visione progressista e alternativa di società. Il conservatorismo, tanto di destra quanto di sinistra, ha indirettamente generato una reazione significativa da parte dell'elettorato, cui è necessario rispondere riproponendo grandi temi, attualmente fuori dall'agenda dei governi.

In altri termini, mi sembra che il riequilibrio nella distribuzione del reddito, delle opportunità e finanche dei sacrifici non possa essere ulteriormente trascurato.

Infine, temo che continuare con una politica dell'immigrazione fortemente disorganizzata, ideologizzata e indisciplinata non possa non essere deleteria. Il realismo ci impone la consapevolezza che, date le caratteristiche dei flussi migratori nel nostro Paesere, questi esercitano un impatto negativo sull prospettive reddituali e occupazionali delle fasce più deboli della popolazione ovvero su quelle persone notoriamente più sensibili ale sirene populiste.

Questa evidenza impone con ancora maggiore vigore la necessità di azioni di redistribuzione del reddto e di incremento della mobilità sociale, uniche armi efficaci e liberali contro tutti i populismi.


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