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Referendum sull’autonomia: è il Mezzogiorno il grande assente

di Marco Percoco

C’è un grande assente nel dibattito che ha preceduto e seguito il referendum consultivo circa una maggiore autonomia della Lombardia e del Veneto: il meridionalismo.

Non mi riferisco tanto al movimento e al pensiero politico ed economico che ha caratterizzato forse 130 anni di storia nazionale dall’Unità alla chiusura della Cassa per il Mezzogiorno e al termine dell’intervento straordinario. Mi riferisco, invece, alla presenza del Sud, con i suoi amministratori, politici, intellettuali, nella discussione circa la forma dell’autonomia regionale.

Bisogna certamente riconoscere alcuni limiti e pure velleità di quanto accaduto.

E’ stato evidentemente un maldestro tentativo (riuscito in Veneto, poco in Lombardia) di canalizzare gli istinti populisti, l’esito non muterà sostanzialmente l’organizzazione territoriale dello Stato, il discorso politico a contorno è stato meno che modesto, con poche eccezioni. E, però, c’è un dato incontrovertibile, ovvero la volontà di una parte del Paese di trattenere sul proprio territorio le tasse versate nelle casse pubbliche.

Il postulato non detto, ma implicito e intuibile, è che tali risorse debbano essere sottratte al Mezzogiorno che non ne avrebbe fatto uso buono e oculato negli anni, con una discussione che si è concentrata sulle spese di rappresentanza della Calabria o sui mitici forestali della Sicilia. Le timide reazioni dal Mezzogiorno sono state ridicole, con le proposte di tenere referendum in Puglia e in Basilicata, altre facce del populismo nostrano.

Il Mezzogiorno continua imperterrito nella sua autoreferenzialità, nel tentativo altrettanto maldestro di non rendere conto delle spese spesso incomprensibili e dei fallimenti della politica economica regionale degli ultimi 20 anni, anni in cui si è rafforzata l’idea di Gaetano Salvemini per cui il problema più grave del Sud è costituito proprio dai politici e dagli amministratori, quegli stessi che invece avrebbero dovuto presidiare il tema del regionalismo. Naturalmente, alcune belle eccezioni e giovani voci sono presenti, ma forse troppo timide per incidere in maniera sostanziale.

Ci si è cullati negli ultimi anni nella convinzione che il vento populista avesse trovato nei richiedenti asilo e negli immigrati altri nemici e che avesse abbandonato gli spiriti separatisti e anti-perequativi. Ci si sveglia oggi con questi temi nuovamente proposti e forse più condivisi e condivisibili nell’arco costituzionale. L’indifferenza del Meridione non sarà compresa e sarà certamente controproducente nel futuro prossimo.

L’ottimismo a tutti i costi, la negazione dei fallimenti, l’esaltazione di alcuni piccoli segnali positivi, non porterà ad un miglioramento delle condizioni materiali. Il futuro non è luminoso con una bassa capacità di disegnare interventi pubblici efficaci, scarsa imprenditorialità, fondi pubblici destinati a contrarsi ulteriormente.


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