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Ecco il Civil Act di Renzi. Terzo settore, la volta buona?

di Riccardo Bonacina

In questi anni il Terzo settore è stato umiliato, usato spesso, costringendolo a schemi che gli sono estranei, in un quadro sussidiario al contrario “fate voi che io non ce la faccio e a poco prezzo grazie” che ha rischiato si snaturarne e corrompre la stessa anima. Bisognava finirla con questa stagione delle medaglie e dello sfruttamento, per liberare le energie sociali e civiche che fanno grande e unico questo Paese.

Matteo Renzi ha avuto sempre chiaro che occorreva #cambiareverso. “Lo chiamano Terzo Settore ma in effetti è il primo”, così era scritto nel suo programma alle primarie, concetto che ribadì all’uscita dalla stanza del Presidente Napolitano dopo aver definito la lista dei ministri, e ancora nella conferenza stampa dopo il primo Consiglio dei Ministri annunciando il fondo per l’impresa sociale: «basta dire come sono bravini questi del Terzo Settore, no, noi sul Terzo Settore vogliamo investire». Sembrava un facile slogan qualche mese fa, invece a 70 giorni dal suo insediamento come promesso un mese fa a Lucca al Festival del Volontariato (“Oggi è il 12 aprile fra un mese esatto presenterà le linee guida della Riforma del settore” aveva detto nell’incontro, vedi foto), l’annunciata riforma del Terzo settore arriva allo scoccare della mezzanotte del 12 maggio con un twitt e un link al testo (qui il testo).

Qualcuno ha parlato, a me sembra giustamente, di un vero e proprio Civil act, perché in effetti il testo fa capire come Renzi stia ridisegnando il campo da gioco della politica: dal Palazzo al rapporto con la società. La società viene prima, la sua coesione viene prima, il benessere dei cittadini viene prima della politica che è uno strumento per la crescita della società, e non per la crescita delle banche o delle autostrade o dei partiti. Usciamo da anni in cui alla società (e quindi al cosiddetto Terzo Settore che è poi la società che si organizza), si guardava, ma dopo. Quando la crescita lo avrebbe permesso, quando l’Europa lo avrebbe permesso, dopo aver fatto le infrastrutture materiali, una volta messo a posto il debito. La società, da troppi anni, veniva dopo.

“Noi vogliamo ribaltare la logica delle ultime stagioni”, aveva detto a Vita (qui l’intervista) Matteo Renzi, “noi pensiamo che la capacità di risposta dei cittadini ai cittadini, il loro impegno civico, sia la risorsa prima del Paese (Primo settore non più Terzo), pensiamo che la capacità dei cittadini di partecipare alle sfide del quotidiano in un vero spirito sussidiario e di solidarietà sia la prima infrastruttura necessaria al Paese. Per aumentarne il capitale sociale e il grado di coesione delle comunità. Questa sfida è la nostra sfida perché voi siete un pezzo della scommessa culturale educative ed economica del Paese”.

Le linee guide proposte vanno nella direzione giusta, quella che la mobilitazione lanciata da Vita lo scorso marzo con il Manifesto #inmovimento indicava. Eccole:

Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio.

Riforma del Codice civile datato 1942 per superare le vecchie dicotomie tra pubblico/privato e Stato/mercato e passare da un ordine civile bipolare a un assetto “tripolare”, dobbiamo definire in modo compiuto e riconoscere i soggetti privati sotto il profilo della veste giuridica, ma pubblici per le finalità di utilità e promozione sociale che perseguono. Abbiamo inoltre bisogno di delimitare in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di promozione sociale e impesa sociale, meglio inquadrando la miriade di soggetti assai diversi fra loro che nel loro insieme rappresentano il prodotto della libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune. Occorre però anche sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge.

Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.

L’azione diretta dei pubblici poteri e la proliferazione di enti e organismi pubblici operanti nel sociale si è rivelata spesso costosa e inefficiente. Nel sistema di governo multilivello che caratterizza il nostro paese l’autonoma iniziativa dei cittadini per realizzare concretamente la tutela dei diritti civili e sociali garantita dalla Costituzione deve essere quanto più possibile valorizzata. In un quadro di vincoli di bilancio, dinanzi alle crescenti domande di protezione sociale abbiamo bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza in cui l’azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai soggetti operanti nel privato solidale. Pubblica amministrazione e Terzo settore devono essere le due gambe su cui fondare una nuova welfare society.

Far decollare davvero l’impresa sociale, per arricchire il panorama delle istituzioni economiche e sociali del nostro paese dimostrando che capitalismo e solidarietà possono abbracciarsi in modo nuovo attraverso l’affermazione di uno spazio imprenditoriale non residuale per le organizzazioni private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi per realizzare obiettivi di interesse generale.

Assicurare una leva di giovani con un Servizio Civile Nazionale universale, come opportunità di servizio alla comunità e primo 3 approccio all’inserimento professionale, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica.

Per far questo Renzi, dopo tanti anni, mette sul piatto molte risorse, oltre 1,5 miliardi per un 5 per mille finalmente stabile e finanziato, per un Servizio civile che non lasci a casa nessun ragazzo che chiede di potersi impegnare, per dare gambe, finalmente, all’impresa sociale nel nostro Paese. E semplificando un grado normativo ingarbugliato e contradditorio (14 leggi di settore e 4 normative fiscali) con la proposta di una legge Quadro. Ora discutiamone e approfondiamo e poi la Legge.

 


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