Politica & Istituzioni

G8 di Genova, vent’anni dopo cosa resta? La strada su cui ancora camminiamo

di Riccardo Bonacina

Quante speranze nella mobilitazione a Genova contro le logiche dei potenti della terra e contro le barriere in cui si rinchiudevano delimitando invalicabili “zone rosse”. Quante speranze con la mobilitazione dei cattolici e della società civile, del movimeto dei lillipuzziani con le loro mani bianche alzate in segno di intenzioni trasformative ma pacifiche. Al giornale decidemmo di spendere tante energie, 4 inviati, aggiornamenti in tempo reale sul sito, cartine e numeri di telefono allegati al giornale come vademecum per i nostri lettori con tutti gli appuntamenti del GSF, Genova Social Forum, una formula che per qualche anno accompagnerà i vertici dei potenti chiamando a raccolta l'associazionismo di base in Forum tematici per sviluppare proposte e diverse visioni del mondo. “Un altro mondo è possibile”, è la slogan che nacque a Genova e che urlavano in strada e sulle pagine dei nostri giornali.

Quante speranze ma anche quante delusioni e quanto dolore quando i black bloc irruppero con la loro violenza trasformando un'assise non violenta in un teatro di guerra. Che delusione quando qualche capetto urlo al megafono “à la guerre comme à la guerre” spingendo i llilipuziani retcicenti in mezzo ai lacrimogeni e persino agli spari. Uno di questi costò la vita a Carlo Giuliani. Che delusione quando non alcuni capetti rimasero sordi agli inviti di Marco Revelli o di Tom Benetollo che chiedevano di non accettare le provocazioni di una polizia rabbiosa e aizzata. Su Vita Revelli invitava a non cadere: «nella trappola di «una scatola simbolica piena di miasmi e di veleni costruita da altri. Stiamo con sofferenza pagando un costo alto, sul terreno preparato da altri». E Benetollo invitava a ««combattere i mostri, ma senza fare i mostri».

Cosa rimane di quelle mobilitazioni? Di quelle speranze e di quelle delusioni? Resta, ha scritto qui Giuseppe Frangi allora direttore di Vita: «È un’eredità in ordine sparso, che non si è strutturata in organizzazioni ma che è rimasta come un dato coscienza diffuso, un lievito lillipuzziano che si è diffuso disperdendosi. È un’eredità che però ha trovato una rappresentanza autorevole al massimo livello, quando il 13 marzo 2013 è stato eletto papa il cardinale Jorge Maria Bergoglio con le sue encicliche e attenzioni». E Gigi Bobba allora presidente delle ACli scrive che alla posizione antagonista no global, i cattolici opposero una visione new global: «Ricordo che presi parola per dar voce alle Sentinelle del mattino e spiegare le ragioni della nostra originale posizione “new global” che non si limitava a condannare la globalizzazione in quanto tale ma proponeva una diversa visione della globalizzazione».

Alla vigilia del primo anniversario dal G8 di Genova, come Vita promuovemmo un manifesto firmato da 50 personalità italiane e internazionali (un elenco interessante) in cui si prendevano 10 impegni (qui il manifesto e i firmatari) che indicavano una strada. Rileggendoli, al di là delle vittorie o delle sconfitte, posso dire che quell'impegno ha segnato una strada, un modo di camminare, dei sogni da perseguire, e su quella strada stiamo ancora camminando.


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