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Svetlana Aleksievič, la guerra e i nuovi volti del male

di Riccardo Bonacina

«Il poeta russo Aleksandr Blok afferma: “tutto ciò che è russo è triste”. Io potrei definirmi cronachista di questa civiltà delle lacrime e della sofferenza. Da vent’anni ormai scrivo la storia del piccolo uomo e della grande utopia. Questo Paese, il Paese dell’utopia, dell’utopia comunista non esiste più e quanto più questa esperienza si allontana nel tempo, tanto più assume le caratteristiche di un mito e appare incapace di restituirci ciò che è stata davvero. Perché l’utopia comunista, così come è stata realizzata, era sanguinaria, ma continua a ipnotizzare le menti degli uomini», sono parole di Svetlana Aleksievič, giornalista e scrittrice bielorussa di madre ucraina e Premio Nobel per la Letteratura nel 2015, autrice del volume Il male ha nuovi volti. Cernobil’, la Russia, l’Ucraina appena uscito da Morcelliana – Scholé con introduzione di Goffredo Fofi e curato da Alberto Franchi e Sergio Rapetti. Libro che raccoglie due discorsi fati a Stoccolma dalla giornalista e scrittrice in occasione del Nobel per la letteratura nel 2015 e ripubblicato oggi sull’onda dell’attualità di una guerra che abbiamo tutti la necessità di capire e che ci interroga ogni giorno.

Come ricorda Sergio Rapetti, Svetlana ha detto che “sulle barricate la vista peggiora” è però anche vero che è capace di guardare con fiducia a coloro che “scendono nuovamente per strada” e “si prendono per mano”, e protestano e si confrontano, ed elaborano nuove strategie per nuove lotte sentendone la necessità nella loro pelle, anzi l’indispensabilità. Come scrive: «La speranza e la carità sopravvivono alla perdita della fede, e possono sembrarci oggi più importanti della stessa fede».

I due discorsi ripubblicati nel libro in effetti aiutano a comprendere le pulsioni russe tutte in gioco in questa tremenda guerra la cui escalation sembra non arrestarsi. Scrive la Aleksievič: « Scrivo un libro sulla guerra…Perché sulla guerra? Perché siamo gente della guerra. Quando non stavamo combattendo, ci preparavamo a farlo. (…) I russi hanno sempre bisogno di un’idea che faccia accapponare la pelle. E la nostra vita oscilla sempre così, tra casino e galera. Il comunismo non è morto, il suo cadavere è sempre vivo. Credo che ci siamo lasciati sfuggire la rara, forse unica, opportunità che ci era stata data negli anni Novanta del secolo scorso. Alla domanda: «Cosa dobbiamo essere, un Paese forte o un Paese degno, dove sia bello vivere?», abbiamo scelto la prima possibilità: un Paese forte. E siamo ritornati al tempo della forza. I russi sono in guerra con gli ucraini, fratelli contro fratelli. Mio padre è bielorusso, mia madre è ucraina. Ed è il caso di mote persone». Un brano scritto e pronunciato davanti agli accademici svedesi nel 2015 quando la guerra del Donbass era iniziata da meno di un anno.

Ha ragione, Svetlana Aleksievič quando in un altro passaggio scrive: «Quello che ci è accaduto e che ci aspetta non è ancora stato pensato fino in fondo e bisogna almeno trovare le parole per farlo. Prima di tutto trovare le parole. Nei Demoni di Dostoevskij Satov dice a Stavrogin: “Lasciate il vostro tono e assumete un tono umano! Cercate almeno una volta con una voce umana”».

Ecco un buon punto di partenza da rilanciare oggi con urgenza, lasciate il vostro tono e assumete un tono umano. SOlo così riusciremo a pensare ciò che stiamo vivendo e a trovare le parole per dirlo.


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