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336. Racconto per esorcizzare la paura

di Elena Zanella

La notte del 24 agosto mi ha svegliata una scossa sorda e decisa. Credo sia durata in tutto poco più di un minuto. Ci ho messo un po’ a capire cosa stesse succedendo. Dopo quel minuto, il cuore ha cominciato a battere forte. Ho tirato su la tapparella della stanza dell’albergo per capire se fosse tutto un un sogno o se il senso di disorientamento che stavo provando avesse qualcosa di fondato. In strada non c’era nessuno. Allora il mio primo twitt e la ricerca veloce sul web. Qualcuno mi ha risposto da Roma, alcuni altri da altre zone. Tutti con la stessa sensazione di spaesamento e il medesimo disagio.

Era chiaro che qualcosa di brutto era successo ma non sapevamo bene dove e quale fosse la gravità. La speranza, allora, pregando che non fosse nulla di così grave. La smentita alle nostre speranze è arrivata poco dopo le 4.30 del mattino, dopo l’ennesima scossa e il twitt disarmante del sindaco di Amatrice, un Paese del reatino che non conoscevo fino ad allora, per mia sfortuna.

Scrivo per esorcizzare. Lo faccio per me, dopo alcuni giorni dal terremoto che ha colpito la nostra bella Italia nelle viscere e ha portato tanto strazio. Lo faccio per me, dicevo, perché finora non ho scritto nulla. Non avrei  nulla da dire, in fondo, se non esprimere l’amarezza e l’impotenza verso un fatto su cui non è possibile avere un controllo.

Ora guardo le foto delle tante persone che mi somigliano e che non ci sono più. Il mio pensiero va a loro. Leggo le loro storie tanto simili alla mia come in un macabro rituale. Leggo della bellezza delle loro vite e della magia che quella notte si è portata via da ciascuna di esse.

Scrivo per escorcizzare, dicevo. Esorcizzo la paura e l’ansia che ancora mi colgono prima di addormentarmi, nonostante cerchi di essere fatalista e dirmi che se dev’essere sia.

Voglio pensare che resti scritto tutto, oltre che nei libri, nella memoria e nei cuori non solo di chi ha loro voluto bene ma anche in tutti noi. Perché non si dimentichi che dobbiamo amare ogni giorno la vita e rendere grazie per le esperienze e i doni che ci offre.

Siamo così provvisori e inermi di fronte al destino che, mi dico, solo una cosa ha senso: il bene che possiamo dare e le cose belle che possiamo fare. Facciamole, dunque. Senza reticenza e senza rimproverarci poi di non averle fatte. Ed io di strada da fare ne ho, e ancora tanta, da questo punto di vista.

Mi sono riaddormentata verso le 5. Un po’ più grande, forse. Spero.


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