Solidarietà

Le storie dei detenuti diventano preghiere per la Via Crucis

I volontari della comunità Laudato sì di San Giovanni Rotondo hanno incontrato i ragazzi dell’istituto penitenziario minorile di Bari e gli adulti della Comunità educante con i carcerati di Vasto. Da questi momenti di confronto, sono nate delle preghiere recitate durante la tradizionale Via Crucis che ha animato le strade della città di san Pio

di Emiliano Moccia

«Non ricordo la mia adolescenza, ricordo solo che con Simone, il mio amico, abbiamo iniziato a rubare biciclette quasi per gioco: è stato il primo di tanti errori. Poi ci sono state le cadute vere, quelle che fanno più male: stupefacenti, alcol, farmaci, fino a reati importanti che mi hanno portato qui e allontanato dalle persone che amavo e che mi amavano». Questa preghiera l’ha scritta un ragazzo che non ha ancora compiuto 18 anni. Nasce dalla sua esperienza personale e soprattutto dagli incontri che nelle scorse settimane ha avuto con i volontari della comunità Laudato sì di San Giovanni Rotondo. Come lui, altri giovani detenuti dell’istituto penitenziario minorile di Bari hanno partecipato ai momenti di riflessione e confronto che la comunità ha voluto vivere per soffermarsi concretamente sulla figura del detenuto. Giovane e adulto che sia. Perché oltre ad incontrare i minori del carcere, i volontari hanno incontrato anche i detenuti della Comunità educante con i carcerati – Cec – di Vasto, progetto ideato dalla “Comunità Papa Giovanni XXIII”, dove gli adulti provenienti dalle diverse zone d’Italia hanno la possibilità di scontare la pena in maniera alternativa, svolgendo diverse attività come la campagna e l’allevamento.

«Quando quella sera ho visto il cancello del carcere spalancarsi davanti a me, ho sentito un nodo alla gola, insieme a sentimenti confusi: angoscia, rassegnazione, ma anche orgoglio e ribellione. Una volta dentro, due agenti mi hanno fatto consegnare tutti i miei effetti personali: portafoglio, cellulare, chiavi di casa, orologio, orecchino, poi mi hanno fatto spogliare e mi hanno perquisito. Dietro le sbarre, spogliato di tutto, paradossalmente ho la possibilità di scegliere la mia nuova veste». Anche questa preghiera è nata dall’incontro con un giovane che ha avuto problemi con la giustizia e che sta scontando la sua pena in cella. «Signore, le mie cadute sono state molteplici tante quante le mie paure. Oggi la più grande è quella di non essere compreso dai miei figli: loro non credono al mio cambiamento. Ho sbagliato, ma grazie ai miei compagni, ho capito e ho scelto ciò che oggi voglio essere: una risorsa per tutti i ragazzi che cadono come sono caduto io». Quattordici preghiere come le stazioni che hanno animato la tradizionale Via Crucis di San Giovanni Rotondo, che si è svolta presso il sentiero di Monte Castellano, alla presenza di padre Franco Moscone, arcivescovo della diocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo. Preghiere che parlano di dolore, sofferenza, paura. Preghiere che in qualche modo rappresentano anche una via di libertà dalla condizione detentiva da cui sono nate per sprigionarsi nell’aria, per accarezzare gli altri, per aiutare a riflettere. Come è accaduto tra quanti hanno partecipato al momento di meditazione nella città di san Pio.  

Ho sbagliato, ma grazie ai miei compagni, ho capito e ho scelto ciò che oggi voglio essere: una risorsa per tutti i ragazzi che cadono come sono caduto io

Lo ha detto anche il vescovo Moscone, invitando i volontari della comunità Laudato Sì a farsi vangelo per gli altri, a tornare in quei luoghi. «Avete dato la libertà alle persone che avete incontrato, che non è quella di uscire dal carcere, ma di vedere qualcosa di bello, di diverso da quello che vivono e che hanno vissuto». Non a caso, il titolo scelto per la Via Crucis è stato “Sconfinato amore”, «basato su un gioco di parole tra l’aggettivo sconfinato e la parola amore» spiega Maria Stella Alemanno, presidente dell’associazione comunità Laudato Sì di San Giovanni Rotondo. «Incontrare queste realtà è stata per noi un’esperienza molto forte. Con i ragazzi del carcere minorile abbiamo toccato con mano la sofferenza. Loro danno l’idea di essere consapevoli di quello che hanno fatto e siccome sono stati cattivi sono stati chiusi in una stanza. Sono così induriti, così sofferenti, che aspettano solo di scontare la loro pena per uscire fuori e fare qualcosa di peggio. Hanno solo 16-17 anni e la maggior parte di loro proviene da famiglie fragili, rovinate, con grossi problemi alle spalle che adesso ricadono anche su di loro. Incontrarli» dice Alemanno «ci ha fatto rendere conto che aiutarli è una responsabilità di ciascuno di noi. Non siamo andati in questi luoghi per curiosare in storie dolorose, questo era per noi chiaro dall’inizio e abbiamo da subito capito che dovevamo bloccare ogni tipo di aspettativa e metterci semplicemente in ascolto».

Incontrare queste realtà è stata per noi un’esperienza molto forte. Con i ragazzi del carcere minorile abbiamo toccato con mano la sofferenza

Maria Stella Alemanno, comunità Laudato Sì di San Giovanni Rotondo

La Via Crucis si è svolta di sera. Lungo il percorso era molto buio, scuro, anche se ad accendere un po’ di luce era la speranza che veniva condivisa dalle preghiere, dal dialogo tra i volontari ed i detenuti che nelle intenzioni di tutti proseguirà già dal mese di aprile, almeno con quelli del Cec. «Durante il processo ho ricevuto la mia prima condanna. Oggi la vivo negli occhi di tanti che incrociano il mio volto, con dolore avverto un giudizio non benevolo, come se ce l’avessi stampato addosso. Quanto vorrei invece uno sguardo amico, qualcuno che riesca a vedere me al di là di ciò che ho fatto».


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Il senso della croce, della sofferenza, del desiderio di migliorare, dunque, per vivere pienamente questo periodo di Pasqua, anche se ristretti, lontani dai famigliari, dalla libertà. Lo ricordano bene queste due preghiere. Una recitata durante la IX stazione, quella in cui Gesù cade per la terza volta: «Ancora oggi mi sento a terra, come altre milioni di volte; non so di preciso cosa sia che può spingere a rialzarsi, probabilmente lo spirito di sopravvivenza o la speranza che qualcosa di meglio arrivi. Vero è che ogni caduta mi fa più male e ogni risalita sembra sempre più inaffrontabile, diventa sempre più stancante e la voglia e la forza diminuiscono. Ma è altrettanto dura scegliere consapevolmente di restare a terra. A volte il meno peggio è provarci cercando quella forza che mi dia la spinta».

Ancora oggi mi sento a terra, come altre milioni di volte; non so di preciso cosa sia che può spingere a rialzarsi, probabilmente lo spirito di sopravvivenza o la speranza che qualcosa di meglio arrivi

L’altra letta alla XII stazione, quella in cui Gesù muore sulla croce. «Ho pensato per tutta la vita che fossi solo io a portare il peso dei miei errori e questo mi ha fatto sfiorare più volte la disperazione; ho vissuto la solitudine e la diffidenza verso gli altri e piano piano sono morto dentro. Ora guardo Te, veramente morto in croce da innocente per me, e mi sento amato». Perché come ha ricordato la guida durante le letture «ci siamo ritrovati di fronte ad un amore confinato che cerca disperatamente l’Amore sconfinato di Dio».


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