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L’Agenda dell’Indignazione

di Giulio Sensi

Vita giustamente lo ricorda: per chi voleva era noto già da tempo lo scandaloso cumulo di incarichi del presidente Inps Mastrapasqua, oggi indagato dalla Procura di Roma a causa di presunte cartelle cliniche gonfiate per i rimborsi sanitari di un ospedale da lui diretto. I giornali ne scrivono (ora che l’articolo lo detta la Procura va bene anche parlarne), la gente si indigna, le bacheche facebook si riempiono di improperi e foto di Mastrapasqua e d’improvviso il Paese parla, con il solito folklore volgare e pantofolaio, di uno dei tanti scandali italiani.

Come se il problema fosse solo il cumulo di cariche o il conflitto di interesse, ignorando gli impatti sociali, e gli interessi veri, di una babele del genere. Dopo, peraltro, che la maggioranza politica che volle e autorizzò tale sistema e quel cumulo (l’asse Berlusconi, Tremonti, Sacconi, in ordine di importanza) non governa, per ora, più il Paese.

Il nostro è un Paese a orologeria: quello che deve esplodere lo fa sempre con i tempi dettati da chi ha interessi particolari che ciò avvenga. Il timer, insomma, è sempre in salde e tetre mani. Succedeva in passato con le bombe, accade oggi con i tanti scandali e regolamenti di conti nella politica, dal locale al nazionale.

Mentre i centri decisionali che fissano le regole e complicano ogni giorno la vita di tutti lavorano senza che nessuno disturbi il manovratore (al massimo ci sarà qualcuno che invoca l’uscita dall’euro o un vaffanculattutti), media e politici (ormai non si capisce più chi è il sottosistema dell’altro) fissano a piacimento l’Agenda dell’Indignazione.

Un popolo di persone arrabbiate con il mondo e capaci di protestare solo dietro ad un pc o da un profilo facebook (magari falso, che non si sa mai) viene ben ammaestrato dagli stessi che odia, siano giornalisti o politici (in senso ampio). I politici, i più detestati, sono ormai di casa e più li odiamo e più li guardiamo in televisione. Sono di casa, appunto, familiari potremmo dire.

Si scannano su tutto e poi non cambia niente” cantava il mai troppo rimpianto Giorgio Gaber. Oggi ci si scanna su tutto, basta che non cambi nulla. Se ci fate caso accade con tutti gli svariati temi cruciali per il futuro dell’Italia: dalle leggi elettorali all’immigrazione (con il ritorno feroce di un sentimento bipartisan contro rom e sinti che blocca faticosi processi di integrazione utili a tutti), dalle tasse sul lavoro a quelle sui patrimoni immobiliari. E se qualcosa cambia è sempre travestito da tecnicismo incomprensibile. Lo sa chi governa il Paese, lo sa chi ricopre qualsiasi posto di responsabilità: “devi imparare a mantenere il tempo / in Italia devi imparare a perdere tempo” come cantano e suonano Luca Carboni e Fabri Fibra.

L’indignazione cresce come un fiume in piena, un fiume che va nella direzione opposta del cambiamento. Gli orizzonti temporali sono sempre più brevi, la capacità di focalizzare i problemi, scavarli, prenderli in mano, ribaltarli, migliorare le cose è sempre più bassa. Una situazione, come noto, pericolosa, che spiazza di frequente tutti voi che siete così maledettamente fuori dal coro da ridurvi a leggere i post dell’Involontario, magari in orario di lavoro.

Ma da qualche parte si dovrà pur iniziare. Perché non rifiutando che l’Agenda dell’Indignazione ci venga imposta dall’alto?

 


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