Cooperazione & Relazioni internazionali

Rafforzare la diversità dei modelli di impresa bancaria nell’UE

di Luca Jahier

Anche il CESE si inserisce nel quadro del dibattito che nelle ultime settimane ha animato la scena pubblica italiana, concernente la controversa misura decisa dal governo Renzi e riguardante le Banche popolari.

Nello scorso mese di luglio il CESE ha infatti deciso, su iniziativa dei membri del Gruppo che presiedo, di avviare i lavori di un parere di iniziativa su “Il ruolo della banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale”, che ora giunge al suo compimento con la discussione finale e l’approvazione nel corso della Assemblea plenaria del Comitato Economico e Sociale Europeo, prevista per il 18 febbraio a Bruxelles.

Frutto di un lungo lavoro, condotto dal relatore e collega spagnolo Carlos Trias Pinto, tale parere rappresenta un punto chiaro si sintesi delle forze economiche, sociali e della società civile europea sul tema. (il testo finale si potrà trovare qui  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.home )

Il CESE ritiene che sia indispensabile preservare la “biodiversità” del sistema finanziario, senza che questo implichi arbitrarietà nell’applicazione delle norme. In tale contesto il CESE appoggia risolutamente gli sforzi compiuti dalla Commissione europea nel prendere in considerazione l’introduzione di quadri di regolamentazione finanziaria adattati per le banche cooperative e le casse di risparmio che permettano di evitare le conseguenze indesiderate derivanti dall’uniformità nell’applicazione delle norme prudenziali e il possibile eccesso di oneri amministrativi.

Ciononostante, il problema principale continua a riguardare l’adeguata applicazione del principio di proporzionalità nella nuova regolamentazione bancaria (specialmente in rapporto alla direttiva sui requisiti patrimoniali – CRD IV – e al regolamento sui requisiti patrimoniali – RRC -), che il Comitato di Basilea ha invece proposto di applicare in modo proporzionale, conformemente ai Trattati dell’Unione europea. Questo implica che bisognerebbe applicare i requisiti più stringenti alle banche che operano a livello globale, requisiti rigorosi alle banche paneuropee (che hanno carattere sistemico in Europa) e requisiti più flessibili alle banche nazionali e locali.

Il CESE ha sempre puntato sulla parità di condizioni e, di conseguenza, sollecita l’utilizzo di parametri oggettivi che giustifichino una regolamentazione specifica per ogni modello di attività. Fondamentalmente, questi parametri sono i risultati economici e finanziari, il contributo all’economia reale, la gestione del rischio e la governance. Il CESE propone che le autorità finanziarie dovrebbero offrire incentivi per gli attori che meglio soddisfano tali condizioni, e invitano a rafforzare le norme etiche e di codici di buona governance, in quanto essenziali per ripristinare la fiducia persa.

Per le cooperative di credito queste sfide rappresentano un’opportunità per rafforzare il vantaggio concorrenziale attraverso le loro funzioni economiche, sociali e territoriali, in modo che l’Europa possa ritrovare la strada di una crescita sostenibile mediante un’adeguata combinazione di finanziamento a breve e a lungo termine. Con l’adozione di un piano strategico che abbia una visione orientata al futuro, le banche cooperative sarebbero in grado di mantenere con successo la loro posizione consolidando i valori tradizionali del settore, combattendo l’esclusione finanziaria, sostenendo lo sviluppo regionale e partecipando ad attività di interesse generale che rafforzeranno la coesione economica e sociale nell’intera Europa.

Il parere ricorda poi la rilevanza in Europa di tale modello di banca che è in media il 40% dell’intero settore settore finanziario in UE, con punte del 55% in Francia e del 60% in Germania, peraltro con significative differenze in termini dei concentrazione tra paesi come Spagna e Finlandia e paesi come Germania e Austria, dove il settore è assai più frammentato e i rispettivi governi difendono a spada tratta tale situazione.

Certo la crisi finanziaria e i nuovi processi di concorrenza internazionale impongono in molti casi delle necessarie ristrutturazioni, ma in nessun modo il CESE ritiene si debba ridurre la qualità di tale diversità e della sua prevalente funzione sociale, di sostegno dell’economia locale e della coesione territoriale, che peraltro ha rappresentato uno dei pochi fattori di maggiore tenuta di accesso al credito nel corso della crisi. Secondo i dati riportati dal testo del CESE, in paesi come Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi, tali banche finanziano tra il 25 e il 40% dei crediti alle PMI e tale quota è costantemente cresciuta nel corso degli ultimi anni. Il nodo dunque, a parere del CESE, è quello di rafforzare la resilienza di tale sistema che funziona e non quello di ridurre tale diversità, come chiave positiva per far fronte alle diverse opzioni strategiche cui è chiamato oggi il settore.

Questo importante contributo del CESE giunge peraltro in un momento dove il Commissario europeo Hill, il britannico preposto ai servizi finanziari, intende ritirare le proposte di riforma strutturale del sistema bancario europeo, presentate lo scorso anno dal Vicepresidente Barnier, le quali proponevano peraltro una sorta di Volker rule all’europea e cioè una più netta separazione delle attività di raccolta depositi e prestito (banca tradizionale) da quelle di trading e speculazione, soprattutto per le grandi banche sistemiche, che sono poi state quelle in gran parte al centro della crisi finanziaria che ha travolto il mondo intero in questi anni. Insomma, parrebbe che, passato il panico per il crollo delle grandi banche, si stia allentando la pressione per una maggiore regolazione dell’attività puramente speculativa. Anzi, il modello delle banche grandi ed aggressive torna di gran moda e rischia addirittura di diventare premiante rispetto ad un maggiore equilibrio tra i diversi modelli di impresa bancaria in Europa, anche a spese di una sorta di possibile prospettiva di assorbimento di altri comparti certo meno imponenti, ma che comunque in molti paesi dell’Unione europea gestiscono anche oltre il 40% dei depositi.

Secondo il CESE, il giusto rafforzamento del capitale, il raggiungimento di una dimensione adeguata ale sfide specifiche, il mantenimento del radicamento territoriale e la salvaguardia degli alti livelli di tutela del consumatore devono andare di pari passo con il mantenimento delle caratteristiche di fondo di un modello d’impresa specifico. Il CESE chiede con forza alle istituzioni dell’Unione europea di riconoscere e sostenere questo processo.


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