Famiglia

Appropriatezza e partecipazione: così cambiano le linee di indirizzo sull’affido

Una riflessione sullo strumento dell’affido e sulle sue prassi operative è appena stata fatta con la revisione delle linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza dei minori nei servizi residenziale e sull’affidamento familiare, approvate a febbraio dalla Conferenza Unificata. Ecco cosa dicono

di Sara De Carli

L’affido familiare è tornato in questi giorni sotto i riflettori, a seguito dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un disegno Legge dal titolo “Disposizioni in materia di tutela dei minori in affidamento” proposto dai ministri Carlo Nordio e Eugenia Roccella. Un ddl che – ha rassicurato la ministra Roccella – ha l’obiettivo di «sostenere l’affido», attraverso la messa a sistema di una raccolta dati che permetta di «impostare politiche più efficaci». Il titolo del ddl, tuttavia, come pure le prime parole usate in conferenza stampa, sono state di un’altra area semantica: «tutelare i minori in affido, cercando di prevenire e contrastare i fenomeni di istituzionalizzazione impropria e gli affidamenti sine die». Non a caso parole simili a quelle che si trovano nel titolo di un evento in programma già per martedì 9 aprile, per iniziativa del senatore Lucio Malan di Fratelli d’Italia: “Affidamento di minori. Misure di intervento e di controllo sul sistema di tutela in Italia”.

Le linee di indirizzo sull’affido: un aggiornamento

La legge sull’affido (la numero 184 del 4 maggio 1983) ha appena compiuto quarant’anni: una bella età. In quell’anniversario ci siamo tutti chiesti se la legge avesse bisogno o meno di “un tagliando” e una risposta univoca non c’è (leggi qui il bilancio sui 40 anni della legge 184 e qui come si fa a diventare genitore affidatario). Una riflessione importante sullo strumento dell’affido e sulle sue prassi operative tuttavia è appena stata fatta, in occasione della revisione delle linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza dei minori nei servizi residenziale e sull’affidamento familiare, approvate a febbraio dalla Conferenza Unificata (le trovate qui).

Perché una cosa è certa: di affido e di famiglie affidatarie – cioè di una famiglia in più, che possa sostenere le temporanee fragilità genitoriali di alcuni – c’è molto bisogno, ma ancora oggi, a quarant’anni dalla legge che lo ha introdotto, la realtà dell’affido familiare in Italia molto diversificata.

«In molti territori non ci sono servizi affidi e il personale dedicato è insufficiente e non riesce a implementare tutto il percorso dell’affido familiare e a garantire il sostegno e l’accompagnamento alle famiglie di origine e ai bambini e ragazzi affidati», ci ricorda il Coordinamento Care. «I due documenti sono essenziali per superare l’attuale disuguaglianza regionale in materia di interventi e servizi di protezione e tutela quali appunto l’affido familiare e l’accoglienza in comunità residenziale, e garantire parità di esigibilità dei diritti nel superiore interesse dei minorenni e delle loro famiglie», sottolinea la rete #5buoneragioni, chiedendo alle Regioni di ratificare al più presto le nuove linee di indirizzo nazionali  e di rendere coerenti le proprie normative in materia di accoglienza residenziale e di affido familiare con le nuove Linee di indirizzo. Ecco, appunto, torniamo a chiedere: se si voleva ragionare di affido, non si poteva farlo in quel contesto?

Cosa dicono le nuove linee di indirizzo

«Una rivisitazione delle linee di indirizzo sull’affido era necessaria perché le precedenti risalivano al 2012 e quelle sulle comunità al 2017. Un primo intervento perciò è stato quello di  renderle coerenti con il quadro normativo attuale, dal momento che in questi anni sono state approvate diverse modifiche», spiega Liviana Marelli, referente minori del Cnca, che ha partecipato alla stesura di entrambe. Basti pensare alla riforma Cartabia, alla legge 173/15 sulla continuità degli affetti, alla legge 47/17 sul tutore volontario, al Codice del Terzo settore, alle linee guida per il diritto allo studio per minori fuori famiglia., al fatto che il sostegno alle famiglie (il programma PIPPI, per intenderci) è diventato un LEP.

«Le nuove linee di indirizzo valorizzano molto l’ascolto del minore, la centralità del progetto individuale (esplicitando che esso può proseguire fino ai 25 anni di età, non è una cosa da poco), affrontano un tema relativamente nuovo come l’affido degli orfani di femminicidio e di violenza domestica, sostengono l’affidamento familiare per i minorenni migranti soli», esemplifica Marelli.

Non possiamo lasciare che le linee di indirizzo restino lettera morta o un libro dei sogni: anzi, dovremmo fare in modo che esse diventino dei livelli essenziali delle prestazioni. Ne va della parità di esigibilità dei diritti dei bambini e delle bambine e delle loro famiglie

Liviana Marelli

Le nuove linee di indirizzo – cito dal testo – si basano su alcuni «assunti fondamentali» tra cui:

  • «la rilettura del principio del “migliore interesse del bambino” alla luce dell’importanza dei legami e delle relazioni e nella continuità degli affetti»;
  • «il diritto all’ascolto dei soggetti minorenni in tutte le fasi dell’affidamento familiare»;
  • «la cura del presidio dei tempi attraverso l’individuazione di dispositivi specifici che aiutino a rispettare la durata limitata e breve dell’accoglienza».


Il fine ultimo dell’affidamento familiare – si legge in particolare – «è riunificare ed emancipare le famiglie, non quello di separare e può essere utilizzato anche per prevenire gli allontanamenti e per favorire processi di riunificazione familiare». Questo passaggio, confida Marelli, «è stato oggetto di grande dibattito» nel tavolo di lavoro «perché può celare il rischio di un ritorno a politiche molto adultocentriche e poco centrate sul diritto del minore», «ma d’altra parte nella legge 206/2021 c’è un preciso dettato normativo in questa direzione». Il tema della riunificazione familiare come obiettivo finale dei progetti di affido quindi nelle linee di indirizzo c’è già (il termine appare 37 volte), «come pure la forte insistenza sull’appropriatezza», chiosa Marelli.


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Altre novità sono una maggior centratura sulla violenza sull’infanzia; un maggior riconoscimento del ruolo delle associazioni e delle reti, con un’insistenza forte sul lavoro di rete; un approfondimento critico sugli orfani minorenni vittime di crimini domestici «con la raccomandazione di valutare tempestivamente l’adeguatezza dell’affido intra-familiare, perché vanno sempre analizzate le capacità genitoriali e le competenze educative ed emotive degli aspiranti affidatari, incluse quelle dell’ascolto e della gestione del dolore e del trauma del minorenne in rapporto alla gestione del proprio dolore o dei sensi di colpa», spiega Marelli. C’è anche un focus sui minorenni migranti soli: «ci immaginiamo a seguito dell’attuazione di queste linee di indirizzo un maggiore ricorso all’affido familiare anche per loro».

Il ruolo delle regioni

Cosa serve ora? «Che le singole regioni ratifichino le linee di indirizzo nazionali, a garanzia di una omogeneità di diritti e servizi per tutti i minori d’Italia: un passaggio particolarmente necessario in vista della possibile approvazione della “autonomia differenziata”», conclude Marelli. Le precedenti linee di indirizzo sulle comunità non sono state ratificate da nessuna regione, con quelle sull’affido è andata un po’ meglio. «Ma non possiamo lasciare che restino lettera morta o un libro dei sogni: anzi, dovremmo fare in modo che i contenuti delle linee di indirizzo diventino dei livelli essenziali delle prestazioni. Ne va della parità di esigibilità dei diritti dei bambini e delle bambine e delle loro famiglie».

Foto di Elizaveta Dushechkina su Unsplash


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