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Sostenibilità sociale e ambientale

San Francesco e il lupo

di Fulco Pratesi

Mi piace farvi conoscere un testo che ho scritto per un libro su S.Francesco e il lupo per il Messaggero di S.Antonio di Padova.

Nel 1973, il lupo italico era rimasto (dai calcoli degli scienziati) in non più di 100 (cento) esemplari asserragliati tra l’Abruzzo e la Calabria.

Secoli di persecuzioni, leggende, favole calunniose da “Cappuccetto Rosso” ai “Tre Porcellini”,  e truculente copertine della “Domenica del Corriere” erano riusciti, a colpi di tagliole, fucili, veleni, a portare la popolazione di questi splendidi predatori alle soglie dell’estinzione. E non solo in maniera metaforica, dato che ancora in quegli anni sulla testa dei lupi pendeva una taglia di 20.000 lire e che, ancora nel 1963, il maggiore naturalista italiano, il professor Alessandro Ghigi, così scriveva: “I lupi dovrebbero essere, se non scomparsi, estremamente ridotti di numero perché la loro presenza è indizio di uno stato arretrato di economia agraria e di civiltà”.

I rapporti della specie “Homo sapiens” con il “Canis lupus italicus” sono sempre stati molto stretti. Già gli Etruschi, come dimostra la statua della Lupa Capitolina eretta a simbolo della Romanità, ne subivano il fascino, così come i Dauni, una popolazione della Puglia settentrionale , che adoravano il lupo come totem già nel VII secolo avanti Cristo. Infine gli Irpini, nel territorio dell’odierna provincia di Avellino, prendevano il nome proprio dal lupo.

E la leggenda dei gemelli Romolo e Remo, allattati da una lupa, che è alla base della storia di Roma, avvalora l’importanza simbolica di questa specie lungo tutta la storia italica.

Questo però non le valse il rispetto e la protezione da parte dell’uomo. Basti pensare che un’antica legge di Carsoli, cittadina della Sabina, “vietava persino di pronunziare il nome di lupi, tanto erano infesti alle campagne, ed aborriti” (De Berenger, “Studi di archelogia forestale”).

Con questa difficile posizione, il nostro lupo perse terreno un po’ ovunque: tra l’ ‘800 e il ‘900 il lupo fu eliminato in tutte le Alpi, gli Appennini  e in Sicilia.

In Pianura Padana, l’aumento consistente della popolazione rurale alla fine del’700, portò a una crescente distruzione delle foreste, rifugio dei lupi e delle loro abituali prede. Dato poi che, nei terreni così conquistati, gli adulti erano impegnati nelle colture, ai ragazzi venivano affidate le cure del bestiame.

Val la pena riportare una relazione di un  funzionarlo dell’ Impero Austroungarico della Lombardia contenente  un piano per catturare un lupo che nel 1792 mieteva vittime tra i fanciulli nei boschi di Cusago, Arluno, Cesano Boscone e altri nei dintorni di Milano.

Una volta scavata una fossa circolare con al centro un rilievo erboso – proponeva il funzionario – sarebbe bastato coprirla con una rete e porvi al centro un’esca, meglio se viva. Il consiglio era il seguente: “ Coperta che sarà la rete, si metterà sul terrapieno posto in mezzo un fanciullo di tenera età e, quando la stagione lo permetta, anche interamente ignudo o coperto di una tela color carne, al fine di incitare maggiormente l’appetito dell’animale.”…e poi: “E’ facile avvedersi che i contadini rifiuteranno di esporre i loro figli, quantunque come s’è detto non vi sia ombra di pericolo” …” Incontrandosi poi delle difficoltà per avere il fanciullo, lo si potrà facilmente trovare tra quelli che corrono le strade e vivono industriandosi, piccoli ladroncelli eccetera, tra i quali pochi rifiuteranno l’offerta” (!)

Nelle storie della religione cattolica, i lupi compaiono spesso. Molti episodi riguardanti i Santi hanno come protagonista il lupo. Tra questi, San Biagio che ordina al lupo di riportare a una vedova il maialetto trafugato, Santa Chiara che costringe il lupo a riconsegnare ai genitori un bimbo rapito dalla culla ( miracolo attribuito e anche a San Domenico di Cocullo, festeggiato in Abruzzo  con la famosa esposizione di serpenti vivi sulla sua statua. Per non parlare del Beato Agostino Novello che salvò un bambino azzannato da un lupo, che figura in un quadro di Simone Martini nella chiesa di S. Agostino a Siena.

Ma la storia più bella e commovente è contenuta nel Fioretto intitolato “Come San Francesco liberò la città di Agobbio da un fiero lupo”.  In essa il Santo, andando come al solito controcorrente, trasforma in “Fratello Lupo” e instaura un rapporto pacifico tra la popolazione di Gubbio con un “lupo grandissimo e terribile e feroce” che “non solamente divorava gli animali ma eziandio gli uomini”. Un episodio che dimostra quanto il Santo Protettore dell’Italia avesse una sensibilità ecologica veramente eccezionale per quei tempi, (anche se qualcuno vorrebbe vedere nel personaggio del lupo un signorotto locale che vessava a perseguitava i suoi sudditi).

Il drammatico calo della popolazione di questo canide fece sì che nei primi anni ’70 dello scorso secolo il WWF e il Parco Nazionale d’Abruzzo, s’impegnassero in una faticosa e difficilissima battaglia in aiuto di una specie per millenni odiata e perseguitata.

L’ “Operazione San Francesco e il lupo”, così venne chiamata, ebbe un grande successo. Grazie alle campagne di ricerca e sensibilizzazione attuate a tutti i livelli per riabilitare questo predatore nell’ opinione pubblica fino allora totalmente nemica,  se ne migliorò l’immagine. Poi ci fu la reintroduzione negli areali da esso frequentati  di specie come cervi e caprioli sue prede naturali, che lo distogliessero dagli attacchi al bestiame. Grazie a tutte queste iniziative del WWF e del Gruppo Lupo Italia nato nel Parco d’Abruzzo, si  ottennero, a partire dal 1971, diversi provvedimenti legislativi che ne vietarono la caccia e la cattura, la diffusione delle esche avvelenate e, a livello regionale, leggi per il risarcimento dei danni da essi provocati, vigenti anche oggi, soprattutto dopo che la protezione del lupo è stata imposta anche a livello europeo con apposite normative comunitarie.

Grazie a tutto ciò, oggi la popolazione italica del lupo è risalita ad oltre 1600 esemplari, riconquistando tutto il suo antico areale (eccettuata la Sicilia) dagli Appennini alle Alpi, con diffusione anche in Francia e altre nazioni confinanti. E,  fatto recente, una coppia di esemplari, una femmina appenninica e un maschio proveniente dalla Slovenia, si sono accoppiati in un Parco in provincia di Vicenza, mettendo al mondo negli ultimi anni diverse cucciolate.

L’arrivo di questo predatore in zone prima non da lui frequentate ha suscitato preoccupazioni e proteste soprattutto tra gli allevatori , alle quali  il WWF e gli Enti locali fanno fronte  sia fornendo mezzi di difesa come i famosi cani da pastore maremmano abruzzesi e recinzioni elettriche, sia assicurandiopronti risarcimenti ai danneggiati.

Ma la cosa più importante è quella, già sperimentata in passato, di spiegare l’importanza del lupo anche come contenitore di specie invasive quali il cinghiale (importato da anni in gran numero dai cacciatori) che oggi devastano pascoli e colture in tutto il Paese, e come effettivo richiamo per un turismo appassionato di wilderness. In tutti i casi, nessuna nazione civile dovrebbe rendersi responsabile dell’estinzione di una specie che, oltre a rivestire una grande importanza simbolica ed ecologica, è ancora purtroppo sottoposta a un intenso bracconaggio che ne limita il percorso verso una definitiva sopravvivenza.

Aderisci all’appello WWF per il  lupo: www.wwf.it/soslupo


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