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Faraone: stop all’ipocrisia che trasforma la compresenza in inclusione

di Sara De Carli

Il sottosegretario Davide Faraone sulla imminente riforma dell'inclusione scolastica: «Non cerchiamo docenti "votati" a essere missionari per la vita, ma insegnanti che abbiano motivazioni e attitudini per fare l'insegnante di sostegno: “eroi per scelta”, la cui l’eroicità consiste nello svolgere ogni giorno con impegno e dedizione il proprio lavoro».

Al decimo convegno Erickson sulla Qualità dell’integrazione, lo scorso weekend, quasi 5mila persone hanno intensamente discusso e si sono confrontate su esperienze per una vera qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità (qui la mozione finale del Convegno, significativamente intitolata “L’inclusione: una questione di classe”). Sabato pomeriggio c’è stata l’attesa e vivace tavola rotonda sull’«Iperspecializzazione dell’insegnante di sostegno. Una buona via per la Qualità dell’integrazione?». Al sottosegretario Davide Faraone abbiamo abbiamo chiesto di fare il punto su un sistema in cui un tempo eravamo all’avanguardia e che oggi ci apprestiamo a rivedere: ma come?

La legge 107/15, la Buona Scuola, ha dato delega al Governo per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Si tratta di una delega che andrà ad affrontare diversi aspetti. Prima di entrare nel merito della questione, le voglio fare una domanda complessiva: con la legge 517/1977 l’inclusione scolastica è stato il fiore all’occhiello dell’Italia e il nostro Paese è stato all’avanguardia in questa materia. Da diversi anni però gli addetti ai lavori ammettono che quell’eccellenza è sbiadita e che la capacità inclusiva della nostra scuola presenta in realtà molte criticità. A che punto siamo? Perché il Governo ha ritenuto che sia tempo di metter mano a questo capitolo?

Il nostro Paese è stato il primo al mondo ad abolire le classi speciali e le classi differenziali. Abbiamo da tempo le leggi più all’avanguardia per l’inclusione. Questo deve essere motivo di vanto per noi, ma guai a farla diventare una posizione di comodo. Ancora molto possiamo fare. Abbiamo inserito la delega nella legge 107/2015 per andare avanti sulla strada intrapresa e per poter intervenire su quegli aspetti che ancora non funzionano o non funzionano dappertutto.

Per fare questo è necessario migliorare alcune questioni, sia per dare nuovo slancio a quanto già in parte si fa, sia per introdurre nuovi concetti e nuovi strumenti che consentano di superare i problemi che ancora esistono. Oggi c’è una consapevolezza diversa della disabilità rispetto a quella che poteva esserci nel 1977. E per questo dobbiamo rendere scuola e società al passo con i tempi. Solo così potremmo risolvere definitivamente i problemi che toccano ogni giorno la vita dei bambini e dei ragazzi con disabilità, le loro famiglie, ma anche gli operatori scolastici.

Oggi c’è una consapevolezza diversa della disabilità rispetto a quella che poteva esserci nel 1977. Per questo dobbiamo rendere scuola e società al passo con i tempi: solo così potremmo risolvere definitivamente i problemi che toccano ogni giorno la vita dei bambini e dei ragazzi con disabilità e le loro famiglie.

Davide Faraone

Fra gli indicatori forniti alle scuole per la stesura del RAV ci sono due indicatori relativi all’inclusione, piuttosto generici a onor del vero, ma si tratta comunque del primo dato aggregato che abbiamo disponibile a livello nazionale: che immagine emerge del grado di inclusività delle scuole italiane partendo dai RAV elaborati dalle scuole stesse? La delega prevede l’individuazione di indicatori per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica. A cosa si pensa?

Innanzitutto vorrei sottolineare l'aspetto che più mi ha colpito: il Rapporto di autovalutazione delle scuole, i cui risultati sono stati da poco presentati al Miur, è uno strumento utilissimo per gli istituti italiani. Quasi la totalità delle scuole italiane ha pubblicato non solo il Rav, ma anche i dati utilizzati per l’autovalutazione, compresi i risultati dell’Invalsi. E questo è indice del fatto che le scuole per prime hanno capito che questo è uno strumento fantastico per capire a che punto si è arrivati e per definire i propri punti deboli e i propri punti di forza. E utilizzarli per migliorare. Non si tratta di un punto di arrivo ma di un punto di partenza. Faremo altri passi per proseguire nel cammino della trasparenza e della rendicontazione, anche nel caso dell’inclusione. Nella delega definiremo i livelli essenziali di prestazione e gli indicatori per la valutazione e l’autovalutazione, entrambi punti di riferimento più chiari per garantire a tutti ciò di cui hanno bisogno. Va in questa direzione anche il principio che mette l’accento sulla revisione della certificazione: coinvolge direttamente il Ministero della Salute e ha l’obiettivo di rendere più omogenei sul territorio nazionale i riferimenti e le richieste di sostegno. Una scelta di chiarezza che consentirà di dare risposte più coerenti e adeguati alle situazioni individuali.

Le scuole speciali in questi ultimi anni sembrano avere un rinnovato appeal sulle famiglie. Un recente studio dice che in Lombardia i bambini che frequentano una scuola speciale rappresentano lo 0,006% del totale della popolazione studentesca, ma se li rapportiamo più correttamente al numero degli alunni con una certificazione di disabilità, scopriamo che essi sono il 3,8% del totale degli alunni con certificazione. Non è quindi così poco. Per le famiglie la scelta della scuola speciale è “la scelta migliore” per i propri figli, non “il male minore” né il risultato di un fallimento della scuola. Vanno lì “perché sono gravi”, ma quand’è che un bambino con disabilità diventa troppo grave per la scuola normale? Avete un monitoraggio di questo fenomeno? Ne siete preoccupati?

Se intendiamo per scuola speciale un luogo dove ci sono solo bambini con disabilità, magari anche con la stessa disabilità, allora la cosa è preoccupante e dobbiamo capire meglio le motivazioni che hanno portato le famiglie a fare questa scelta. Perché le poche situazioni (una decina in tutta Italia) in cui vi sono sezioni dedicate, queste sono inserite in scuole statali, istituti comprensivi. Si tratta di disabilità molto gravi, che spesso consentono di intervenire anche per garantite la vita ai bambini, spesso disabile per gravi malattie. Non deve essere però una scelta di ripiego dovuta a risposte di esclusione, ma coerente con progetti di inclusione costruiti insieme alla famiglia, agli specialisti, ai centri, ai servizi sociali. Al di là di questo, però, è fondamentale che le scuole “normali” non abbiano al loro interno classi speciali, quelle sì luoghi di emarginazione e di separazione che fanno male ai ragazzi – disabili e non – e all’inclusione.

La delega prevede tra le altre cose la revisione del ruolo dell’insegnante di sostegno. Sembra che il Governo sia indirizzato verso una separazione dei percorsi universitari e delle carriere, un ruolo dedicato, un concorso dedicato. Quindi un insegnante di sostegno sempre più specializzato e specializzato su disabilità specifiche, che “sposa” il sostegno come scelta di vita. Mi consenta di guardare le cose dal punto di vista delle famiglie, lasciando perdere in questa sede il punto di vista sindacale. Tutti sappiamo che l’opzione per la “carriera separata” è stata promossa e condivisa da una parte del mondo delle associazioni ma che ci sono anche posizioni molto contrarie. Il modello presenta pro e contro, che sono stati in questi mesi più volte messi in evidenza. Le famiglie chiedono competenza, continuità, reale inclusione. Perché a suo modo di vedere questa impostazione risponde meglio di altre a queste richieste delle famiglie? È un’opzione ormai decisa o il dibattito e il confronto è ancora aperto?

L’inclusione non è solo affare del docente di sostegno. Dobbiamo far sì che tutta la comunità scolastica accompagni la naturalezza dell’inclusione. Per questo pensiamo che quello che può servire a questo scopo è una formazione più adeguata per tutti i docenti, i dirigenti, ma anche il personale della scuola. Il docente di sostegno deve sicuramente avere una formazione iniziale più approfondita, una specializzazione che consenta prima di tutto di affrontare le situazioni in modo adeguato e con competenze utili anche agli altri docenti della classe. Perché la disabilità non è un monolite che può essere trattato in una maniera esclusiva. Questo non vuol dire medicalizzare i docenti, ma piuttosto lavorare con i singoli alunni in maniera mirata affinché ciascuno possa fare emergere e consolidare le proprie competenze e peculiarità. Solo così la disabilità può diventare arricchimento. Non cerchiamo docenti "votati" a essere missionari per la vita, ma insegnanti che abbiano motivazioni e attitudini per fare l'insegnante di sostegno: “eroi per scelta”, una scelta professionale, la cui l’eroicità consiste nello svolgere ogni giorno con impegno e dedizione il proprio lavoro. Non insegnanti – come purtroppo ce ne sono, ma per fortuna non sono in molti – che usano il sostegno come una scorciatoia miserevole per entrare in ruolo. Nella scuola ci sono migliaia docenti che hanno fatto una scelta e non vivono il loro lavoro come ripiego. Vogliamo che tutti i docenti di sostegno siano di questo tipo. E ne stiamo discutendo nel tavolo sulla delega: stiamo lavorando con tutti coloro che sono coinvolti a diverso titolo nella questione. Hanno partecipato oltre settanta stakeholders che hanno messo in evidenza opportunità e criticità. Stiamo ascoltando tutti proprio perché riteniamo cruciale fare scelte che producano risultati per gli studenti con disabilità. L’occasione fornita dalla legge 107 è unica e non vogliamo sprecarla.

Il docente di sostegno deve sicuramente avere una formazione iniziale più approfondita, una specializzazione che gli consenta di affrontare le situazioni in modo adeguato e con competenze utili anche agli altri docenti della classe. Questo non vuol dire medicalizzare i docenti, ma piuttosto lavorare con i singoli alunni in maniera mirata, affinché ciascuno possa fare emergere e consolidare le proprie competenze e peculiarità. Solo così la disabilità può diventare arricchimento.

Davide Faraone

Quali tempistiche sono previste? Quale ruolo per l’Osservatorio e per il tavolo specifico all’interno della definizione delle deleghe?

Avere una delega significa avere tempi e percorsi certi: 18 mesi. Non è stato un caso che per una materia come l’inclusione scolastica si scegliesse questo iter, che non lasciava spazio a ripensamenti o a rinvii. L'Osservatorio, che ha già fatto parte del tavolo di lavoro convocato nel mese di ottobre al Miur, sarà coinvolto certamente nel dialogo sulla costruzione della delega. Abbiamo iniziato un percorso di confronto reale per costruire un decreto legislativo che ci consenta di proseguire nella strada dell'inclusione, ma di quella vera. Oltre le ipocrisie che ancora esistono e trasformano l'inclusione in semplice “compresenza”. I bambini e le bambine lo fanno già, non fanno distinzioni tra compagni. Lasciamo fare a loro.

Foto Xavier Leoty/Getty Images


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