Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Alex Corlazzoli

Che ne sanno i Duemila di Falcone e Borsellino?

di Sara De Carli

Per i millennials, Falcone e Borsellino sono semplici vie o piazze. Non hanno memoria di quanto è accaduto nel 1992 e non ne sanno la storia. Un maestro elementare ha scritto un libro per loro, per consegnare a chi 25 anni fa non era ancora nato la consapevolezza di quanto questi anni non siano trascorsi invano: «Lo Stato non ha ancora vinto la lotta contro la mafia, ma i palermitani sì»

Sono passati 25 anni dal 19 luglio 1992, quando Paolo Borsellino venne ucciso dalla mafia, due mesi dopo Falcone. Dopo 25 anni c’è chi decapita la statua di Giovanni Falcone davanti alla scuola a lui intitolata, come se questo bastasse a cancellare la vittoria delle persone sulla mafia, l’eredità che Falcone e Borsellino hanno lasciato all’Italia. «Lo Stato non ha ancora vinto, ma le persone sì», afferma Alex Corlazzoli, perché «non c’è nessuno che ha vissuto il 1992 e non ha fatto scelte individuali diverse da chi lo ha preceduto». Corlazzoli, maestro e scrittore, ha dedicato un libro a Falcone e Borsellino, un libro rivolto ai più giovani, a chi è nato nel Duemila, a chi i nomi di Falcone e Borsellino dicono poco o nulla. Il libro si intitola "1992. Sulle strade di Falcone e Borselino" (Melampo) ed è in libreria dal 19 luglio.

Che cosa sanno i millennials di Falcone e Borsellino ?
Falcone e Borsellino per loro sono una piazza o una via, al pari qualsiasi altro nome della storia: nomi che per i ragazzi sono freddi. Un ragazzo mi ha detto addirittura che erano due mafiosi. Chi è nato nel duemila non è cresciuto con questi nomi dentro, come è stato invece per la nostra generazione, per chi chi è nato negli anni Settanta e Ottanta: non è colpa loro, ovviamente, sono semplicemente nati dopo. Noi ci ricordiamo cosa stavamo facendo quel giorno del 1992, quei nomi hanno segnato le nostre vite e le nostre scelte, molti di noi si sono iscritti a giurisprudenza per Falcone e Borsellino, sono figure che hanno segnato le nostre scelte personali. Quella fotografia di Paolo e Giovanni sorridenti uno accanto all’altro, l’ho vista sulla scrivania di un giovane questore, nell’ufficio del sindaco di Pieve Emanuele, in centinaia di scuole italiane, negli uffici di tanti presidi… Chi è nato nel duemila no, per una semplice ragione anagrafica: come dice la canzone, “Che ne sanno i Duemila”. Falcone e Borsellino rischiano di diventare una riga striminzita del libro di storia. Per questo ho voluto scrivere il libro, per loro, per i Duemila. Per questo il libro racconta tutto, anche ciò che a noi adulti magari pare scontato.

Che chiave di lettura hai scelto?
Il libro vuole essere una mappa letteraria, un libro con cui girare Palermo, da stropicciare, da scriverci note, per vedere Palermo trovandoci qualcosa di Falcone e Borsellino, ma anche tutta la bellezza di Palermo. L’indice infatti è fatto di luoghi: la Kalsa, Monreale, Capaci, la chiesa di San Domenico, via D’Amelio… Ad esempio nel capitolo sulla chiesa di San Domenico, che è dove si sono tenuti i funerali di Falcone, sua moglie e della scorta e dove sono custodite le sue spoglie racconto anche la bellezza del Pantheon e i segreti della Vucciria.

Nel bunkerino ci sono gli oggetti di Falcone e Borsellino, soprattutto l’impermeabile blu che lo Stato diede in dotazione ai due magistrati, che doveva essere antiproiettile ma Falcone andò subito con la scorta a provarlo al poligono e scoprì non lo era. Lo Stato li ha presi in giro fin dallo spolverino.

Alex Corlazzoli

Tu dal 1995 ogni 19 luglio sei a Palermo: ci sono anche dei racconti inediti del libro?
Credo di sì. Ad esempio faccio un viaggio nel bunkerino di Falcone e Borsellino, che non ho ritrovato in nessun libro, racconto persino ciò che c’è sulla loro scrivania: i libri, l’Olivetti di Falcone, i sigari, "Il bacio" di Klimt appeso dietro la poltrona di Borsellino e soprattutto l’impermeabile blu che lo Stato diede in dotazione ai due magistrati, che doveva essere antiproiettile ma Falcone andò subito con la scorta a provarlo al poligono e scoprì non lo era. Lo Stato li ha presi in giro fin dallo spolverino. Quello di Falcone non c’è più, ma il soprabito di Borsellino è ritornato nella sua stanza, il magistrato lo regalò a un amico che dopo anni l’ha riportato nel bunker. AI ragazzi basta un dettaglio così per capire che Falcone e Borsellino avevano visto la mafia in volto ma nessuno li ha mai protetti, nemmeno lo Stato. E poi una storia molto bella, inedita, che racconto è quella di Tonino Cassarà, che nel maggio 1980 – quando venne assassinato il capitano dei carabinieri Emanuele Basile – aveva diciassette anni ed era alla festa con gli amici, a vedere i fuochi d’artificio. Sente gli spari, non capisce, si volta e vede a terra Basile, che aveva appena incrociato in divisa, con la moglie accanto e la figlia in braccio, lo vede a terra con la bimba sotto il corpo accasciato, tutti che fuggono e in quel momento lui invece di pensare a scappare va, rivolta il corpo e prende in braccio Barbara, la figlia di Basile: è una storia individuale che però racconta di una generazione diversa, la generazione antimafia.

Tonino Cassarà nel maggio 1980, quando venne assassinato il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, aveva diciassette anni ed era alla festa con gli amici, a vedere i fuochi d’artificio. Sente gli spari, si volta e vede a terra Basile, con la figlia quasi schiacciata sotto il corpo. Tutti fuggono e lui invece di pensare a scappare va, rivolta il corpo di Basile e prende in braccio Barbara: è una storia individuale, che però racconta di una generazione diversa che ha fatto scelte inedite, la generazione antimafia.

Alex Corlazzoli

Rita Borsellino, nella prefazione al tuo libro, scrive che «Fino a qualche anno fa in questa città era impensabile che un ragazzino di un quartiere povero volesse fare il poliziotto. Se oggi, invece, un bambino o una bambina si immagina con una divisa è grazie a questi venticinque anni. Non sono trascorsi senza lasciare una traccia». È questo il cambiamento vero?
Sì, è il cambiamento individuale. È vero, ci sono stati risultati nella lotta alla mafia ma vicende recenti come quella di Contrada o del Codice antimafia ci dicono che lo Stato non ha vinto. Però la gente sì, le persone hanno vinto, i palermitani hanno vinto. Le persone oggi fanno scelte individuali che hanno una forza inedita, persone che si ricordano il 23 maggio 1992 e il 19 luglio 1992, non c’è nessuno che ha vissuto il 1992 e non ha fatto scelte. Cristina ad esempio è scesa a 13 anni in via D’Amelio e oggi fa il magistrato a Caltanissetta. Sono molto grato a Rita per questa prefazione: questo momento storico dal punto di vista della memoria è un po’ un passaggio di testimone, da Rita a chi c’era. Il nostro compito poi sarà trasmetterlo a chi non c’era nel 1992.

Il libro è nato per i tuoi alunni e i loro coetanei. Hai sperimentato anche che effetto può fare, se un insegnante si assume la responsabilità di tramandare ai bambini questo pezzo della storia d’Italia?
Alcuni genitori dei miei alunni dicono che il maestro è “fissato” con Falcone e Borsellino, perché nelle mie classi appendo sempre uno dei lenzuoli che ho avuto in dono dal Comitato dei lenzuoli, con la foto famosa dei due magistrati e la scritta “Non li avete uccisi: le loro idee camminano sulle nostre gambe”. I miei bambini hanno questo portato di memoria e di senso di giustizia, un valore che non riguarda solo Borsellino e Falcone ma anche ad esempio Peppino Impastato o Aldo Moro, mi è capitato di essere in giro per Lodi con i ragazzi e Gianluca mi ha chiamato a gran voce per dirmi “maestro guarda c’è via Aldo Moro!”. Ecco, se passando davanti alla targa di una via con scritto il nome di Moro o Falcone o Borsellino i miei ragazzi domani sapranno raccontare ai loro figli quella storia, vuol dire che io – io scuola – avrò fatto il mio dovere. Invece spesso abbiamo l’assillo di insegnare i nomi di tutti i fiumi dell’Umbria o tutto sugli ittiti, cose importanti ma che – diciamocelo – tutti dimentichiamo. Diverso è se c’è stato un maestro che ti ha raccontato la storia degli uomini e delle donne che hanno fatto la storia del nostro Paese.

Tu questa sera sarai a Palermo, dal 1995 ogni anni il 19 luglio sei lì. Perché?
Nel 1995 avevo 18 anni, andai a Palermo a fare un’esperienza di volontariato con l’associazione Il Quartiere a Monreale. La mia storia è particolare, io allora ero consigliere comunlae della Lega nel mio piccolo paese di provincia, i leghisti erano stati gli unici che mi diedero spazio ma ero anche convinto. Quell’anno però incontrai l’allora frère Pierino di Taizé che mi disse “Vai a Monreale a incontrare Sarina Ingrassia", una donna che aveva scelto di dedicare vita agli altri e aveva aperto la sua casa al quartiere. Andai perché sono sempre stato convinto che per giudicare bisogna conoscere e venne a prendermi una bambina che oggi ha 28 anni, che Sarina aiutava. Mi sono bastate 24 ore per capire che non avevo capito niente. Tornai a casa, feci dichiarazione di indipendenza in consiglio comunale e il 20 ottobre scesi a Palermo per fare sei mesi di volontariato. Un giorno andai a suonare in via D’Amelio 19, perché Rita Borsellino che avevo sentito a un incontro al Sermig aveva detto “io abito ancora lì, vieni”. Ci andai con un picciriddu seguito da Sarina, Claudio, che oggi ha 3 figli, mi sedetti sulla poltrona di Paolo e iniziò così una storia di grande amore con Palermo e con questo pezzo di storia italiana e da allora ogni 1995 ho scelto di non mancare.

Ci sei mai andato con i tuoi alunni?
No, sono piccoli, però è il mio sogno. Un’idea che ho e che mi piacerebbe realizzare è portarci i miei ex alunni, quest’anno ho i primi ex alunni che hanno fatto la maturità, siamo ancora in contatto. Essere in via D’Amelio il 19 luglio insieme a loro sarebbe una cosa fantastica.

Foto da #PalermochiamaItalia 2017, Miur, Flickr


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA