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Claudio Gentili

L’Alternanza progettata male? Fa odiare il lavoro ai giovani

di Sara De Carli

Alla vigilia dell'apertura di JOB&Orienta, il coordinatore scientifico Claudio Gentili, che è anche responsabile Education di Confindustria, mette in guardia sul pregiudizio verso l'Alternanza, che è un pregiudizio verso le imprese. «Anche il Miur ci chiama strutture ospitanti, come se fossimo villaggi turistici». Nel 2018 debutta il Bollino Alternanza di Qualità di Confindustria

Il 30 novembre a JOB&Orienta verranno premiati i sei videoracconti più belli realizzati dai ragazzi sull’Alternanza Scuola Lavoro. Mentre il 1° dicembre nel corso del convegno “La nuova formazione: innovare la professionalità dei docenti” verranno valorizzate le migliori esperienze di formazione docenti realizzate, con il “Premio formazione in servizio 2017 per l’innovazione della scuola”, nove progetti selezionati per ciascuna delle priorità strategiche di formazione individuate dal Piano nazionale per la formazione dei docenti, inclusa l’Alternanza. «Il tema di questa edizione di JOB&Orienta è “Orientarsi all’innovazione per costruire futuro” e il nostro messaggio è che l’Alternanza Scuola-Lavoro e l’apprendistato sono innovazioni che possono fare paura, essere gestite male, avere effetti indesiderati, ma sono occasioni per la scuola per migliorare la competitività dei nostri ragazzi e quindi del Paese». Claudio Gentili è coordinatore del Comitato Scientifico di JOB&Orienta, il salone nazionale dell’orientamento, la scuola, la formazione e il lavoro, cha sta per aprire a Verona, giunto alla sua 27a edizione. Gentili è anche responsabile Education di Confindustria. Con lui quindi abbiamo ragionato attorno all’Alternanza, vista dalle imprese.

Qual è la prima riflessione sull’Alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria, dal punto di vista delle imprese?
Che l’Alternanza Scuola-Lavoro è obbligatoria per le scuole ma non per le imprese. È una cosa complicata, che non si può fare improvvisando. Girano tanti numeri, ma non credo che corrispondano alla realtà.

In che senso?
Io vedo tre tipologie di esperienze di Alternanza. Intanto ricordiamo che l’Alternanza non nasce con la 107 ma molte scuole, soprattutto tecnici e professinali la fanno da tempo, con una reale coprogettazione con le imprese: questa è la buona alternanza, che diventa parte integrante del programma, che afferma che invece che apprendere seduto al mio banco apprendo muovendomi dentro un contesto aziendale, tant’è che il tutor scolastico e il tutor aziendale valutano le competenze che l’esperienza di ALS ha prodotto. Io dubito che più del 20-30% delle esperienze realizzate dopo l’obbligo abbia seguito interamente questo processo. Un buon 60% secondo me è Alternanza fatta per assolvere all’obbligo, magari realizzata con l’ostilità del corpo docente, in estate, il pomeriggio, tra un’occupazione, una gita e le vacanze di Carnevale… ma senza entrare nel percorso scolastico del ragazzo. C’è un pregiudizio diffuso a monte, fra gli insegnanti, anche quella delle scorse settimane non è stata una protesta degli studenti ma una protesta per interposta persona. Questi modelli spiegano perché sui giornali nei mesi scorsi abbiamo letto testimonianze di ragazzi entusiasti e di ragazzi schifati dall’Alternanza. Se l’Alternanza è “appiccicata” e non modifica il modello tradizionale dell’insegnamento deduttivo, l’esito non è altro che far odiare il lavoro e le imprese ai giovani: la colpa però non è dei ragazzi, sono i cattivi maestri che dicono che dal lavoro bisogna tenersi lontani il più a lungo possibile.

Io dubito che più del 20-30% delle esperienze realizzate dopo l’obbligo abbia seguito interamente il processo dalla coprogettazione alla covalutazione. Un buon 60% secondo me è Alternanza fatta per assolvere all’obbligo, magari realizzata con l’ostilità del corpo docente, senza entrare nel percorso scolastico del ragazzo. Ma se l’Alternanza è giustapposta al programma didattico, senza diventare innovazione didattica, non esiste.

Claudio Gentili, Confindustria Education

Perché secondo lei c’è questo pregiudizio diffuso tra i docenti?
Un po’ certamente perché l’introduzione dell’obbligo non è stata preparata né accompagnata e un po’ perché fare alternanza rimette in discussione il kit di competenze didattiche del docente, progettare è faticoso, sedersi al tavolo con un’impresa che parla un altro linguaggio è faticoso, scegliere l’impresa giusta è una responsabilità. Ma se l’Alternanza è giustapposta al programma didattico, senza diventare innovazione didattica, l’Alternanza non esiste.

Perché non esiste?
Perché l’Alternanza non è addestramento, non è vedere l’applicazione pratica di conoscenze teoriche… chi ha questa visione non ha compreso l’Alternanza. È un altro modo di apprendere, che si fa con il cooperative learning e il learnign by doing. E dire che noi siamo un Paese che ha sempre avuto l’Alternanza intesa in questo modo, perché prima del 1968 il lavoro e l’impresa erano cittadini della scuola, poi per superare la divisione precoce fra chi andava a lavorare e chi era destinato all’università abbiamo buttato via anche il valore educativo del lavoro e con i decreti Malfatti, che lo sono di nome e di fatto, nel 1974 abbiamo espulso il lavoro dalla scuola, creando l’idea che prima si studia e poi si lavora e creando la che scuola come il regno della necessità dell’inutile, da cui tutto ciò che è utile va tenuto lontano: ora, va bene che la cultura sia disinteressata, ma non riconoscere il valore del lavoro è grave.

Quindi il giudizio complessivo che lei dà sull’Alternanza qual è?
Luci e ombre, dire che tutto va male non sarebbe veritiero: anzi, vedendo cosa comunque è stato fatto non si può che essere ottimisti. L’Alternanza è un tentativo che potrà avere successo nel lungo periodo, ma deve essere meglio organizzato sul fronte della formazione dei docenti. Se io in azienda cambio il processo produttivo, la prima cosa che faccio è formare i mie collaboratori: nella scuola questo processo non è stato fatto, i docenti sono stati trascurati oggettivamente. Magari potremmo anche decidere che non è opportuno farla fare ai licei. Il punto è che la buona alternanza deve avere tutti gli ingredienti. Fra l’altro la sub cultura anti-impresa alberga anche nei documenti ministeriali.

Se io in azienda cambio il processo produttivo, la prima cosa che faccio è formare i mie collaboratori: nella scuola questo processo non è stato fatto, i docenti sono stati oggettivamente trascurati.

In che senso i documenti ministeriali sono ostili all'impresa?
Si parla di tutor interno e tutor esterno, dando l’idea che la scuola sia una fortezza assediata, che il fuori sia un nemico: mentre il fuori è parte dell’ecosistema formativo. Quando i ragazzi vengono da noi, siamo la “struttura ospitante”, come un villaggio turistico. No, siamo partner. Perché non usare i termini “tutor aziendale” e “impresa”? Da noi manca la cultura dell’imprenditore che si sente parte di un sistema nazionale, che vuole contribuire alla crescita del territorio.

Concretamente invece, che difficoltà vede?
Se sono una piccola impresa con due dipendenti non posso distaccarne il 50% a seguire il ragazzo, è impossibile. La grande impresa può farlo, ma per la piccola impresa è un problema. Con questo non voglio dire che le piccole imprese non possono o non debbano coinvolgersi nell’Alternanza, anzi, Bruno Scuotto, Vice Presidente sia di Confidnustria Education sia della Piccola Industria, ha fatto un grandissimo lavoro di promozione fra i piccoli imprenditori, spiegando quanto l’Alternanza sia importante per loro, ad esempio per rafforzare il brand sul territorio, per restituire alla società civile, per preselezionare i ragazzi e metterli nelle condizioni di scoprire che – perché no? – il loro futuro è in quella azienda. L’impresa non chiede soldi, vuole servizi.

Cosa servirebbe alla piccola impresa?
Pensando ovviamente al primo modello di Alternanza, la prima cosa è qualcuno che la aiuti a fare il progetto formativo, perché la coprogettazione l’imprenditore non ha il tempo di farla. “Qualcuno” può essere l’Agenzia del lavoro, un ente di formazione, un soggetto esperto di impresa e di formazione, che aiuti l’impresa in tutti i livelli, dalla coprogettazione alla covalutazione, ai tutor. Si possono prevedere dei tutor messi a disposizione da Anpal o dall’Agenzia del Lavoro? In Lombardia è stata realizzata una ricerca molto interessante, c’è anche un progetto innovativo con l’Ufficio Scolastico Regionale per cui le imprese aiutano il collegio docenti a individuare le competenze del settore produttivo in uscita.

L’impresa non chiede soldi, vuole servizi. La prima sarebbe qualcuno che la aiuti a fare il progetto formativo, perché la coprogettazione l’imprenditore non ha il tempo di farla. Si possono prevedere dei tutor messi a disposizione da Anpal o dall’Agenzia del Lavoro?

Molti ragazzi però hanno messo in luce anche la scarsa preparazione dei tutor aziendali.
Deve crescere anche la cultura della formazione delle imprese, dal 2018 come Confindustria avremo un bollino di alta qualità, il BAQ, di cui potranno fregiarsi le imprese che hanno realizzato un’alternanza secondo tutti i crismi.

E le imprese che sfruttano i ragazzi come manodopera?
Si dicono spesso stupidaggini, conosco il caso a Grosseto di uno studente che ha dichiarato che l’impresa lo aveva sfruttato, è stato chiamato l’ispettorato del lavoro per verificare e si è scoperto che si presentava sempre con un’ora di ritardo, non faceva il compito affidato e reagiva alla situazione accusando l’impresa di cose non veritiere. Le imprese eticamente discutibili purtroppo esistono: la convenzione per l’Alternanza la firma il dirigente, è lui che deve avere in mano tutti gli elementi per sapere che se quella impresa specifica dà o meno le garanzie necessarie. Purtroppo è accaduto che dinanzi ai numeri enormi imposti dall’obbligatorietà, insieme alla mancata formazione per le scuole, nei territori a minore intensità d’impresa si siano mandati i ragazzi in imprese dove non andavano mandati. Se ci sono difficoltà del genere, dovrebbe scattare il piano b, l’impresa formativa simulata, che non è negativa, in molti casi anzi consente di coinvolgere imprese disponibili ma che non hanno la possibilità di accogliere direttamente i ragazzi.


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