Emanuela Del Re

«Non siamo un governo sovranista: l’Italia punti sulla cooperazione allo sviluppo»

di Redazione

Dialogo a 360 gradi con la viceministra della Farnesina: dalla legge di bilancio in discussione in Parlamento alle politiche sui migranti, passando per la nomina del nuovo direttore dell’Agenzia nazionale

Dall’ingresso della cooperazione internazionale nelle scuole italiane al diritto a migrare, passando per il braccio di ferro fra sovranisti e europeisti in Europa, la legge di Bilancio e la nomina del nuovo direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. Abbiamo incontrato il viceministro degli esteri con delega alla cooperazione internazionale Emanuela Del Re a margine del secondo summit delle Diaspore tenutosi nei giorni scorsi a Milano. In apertura dell’evento aveva esordito così: «C’è un trend internazionale irreversibile del quale la politica deve tenere conto, la comunità a cui si appartiene non è necessariamente quella di residenza. Il ponte che le diaspore creano tra mondo di origine e mondo di residenza permette un passaggio fluido a livello politico economico e sociale. La politica deve partire dalla risorsa rappresentata dal doppio senso di appartenenza delle comunità diasporiche, che ci aiutano a conoscere meglio la vastità del mondo. Diaspora è casa, lo ho già detto varie volte e lo ripeto. Spero che l’Italia possa essere una casa del mondo e nel mondo». Romana, sociologa, esperta di Africa, fondatrice di Epos (International mediating and negotiating operational Agency), 2 figli («che mi sono portata in giro per il mondo, entrambi impegnati nel sociale») la Del Re è stata eletta alla Camera nella fila del Movimento 5 Stelle.


Il suo è un linguaggio molto diverso da quello molto aggressivo su questi temi di Matteo Salvini: si sente parte di un governo sovranista?
Io sono un’europeista convinta e il Movimento è europeista da sempre. Guardi, io oggi non sarei nei 5 Stelle se mi avessero detto: usciamo dall’Europa. Se sono qui significa che siamo europeisti. Il fatto di proporre revisioni o modifiche al modo in cui i Paesi europei stanno insieme, mi pare faccia parte di una democrazia. L’Europa ha bisogno di una riflessione profonda, deve guardarsi dentro per capire come proseguire nel futuro. Perché l’Europa merita un futuro migliore del presente.

Uno dei temi dell’ultimo summit delle diaspore è stato quello delle rimesse. Su input leghista il decreto fiscale introduce una un’imposta dell’1,5% sulle transazioni finanziarie superiori a 10 euro effettuate tramite i money transfer verso i paesi extra-Ue. Cosa ne pensa?
È un tema delicato su cui occorrono approfondimenti. Per quanto mi riguarda sono consapevole della fondamentale importanza delle rimesse economiche, che poi corrispondono anche a rimesse sociali per i Paesi di provenienza dei migranti. Ribadisco: esistono tanti schemi, tante interpretazioni di questa formula di partecipazione dei migranti ai loro paesi d’origine: è un argomento che va studiato. Quel che è sicuro è che la rimessa economica resta un volano di sviluppo per tanti Paesi. Senza andare troppo lontano, pensiamo a quanto le rimesse contribuiscano allo sviluppo dei Balcani. È un diritto che non va messo in dubbio.

A proposito di iniziative governative. Mentre lei parla di “aspirazione naturale alla migrazione”, il governo approva il decreto sicurezza…
Sinceramente nella maggioranza non vedo un’opposizione alle migrazioni in quanto tali. Vedo una forte volontà di mettere ordine in una questione sociale molto complessa e disordinata su cui negli ultimi anni si è fatta molta propaganda e che in qualche modo ispira anche moltissime distorsioni mediatiche. Il nostro approccio è quello di promuovere una riflessione a tutto tondo. Vogliamo porre l’accento sulla necessità di evitare lo sfruttamento da parte dei trafficanti di esseri umani e che questo comporti un rischio per la sicurezza delle persone spinte ad attraversare il mare, i deserti o comunque a intraprendere un percorso migratorio rischiosissimo.

Si sente di assicurare che nella legge di Bilancio in discussione in queste ore non si scenderà sotto lo 0,30% del Pil rispetto alle risorse destinate alla cooperazione internazionale?
Quello che posso assicurare è che io mi sto battendo per mantenere quel livello. Anche in vista dell’agenda 2030. Ricordo che l’Italia si è sempre distinta su questo fronte per il suo grande impegno sociale. Mi batterò perché non si abbassi la guardia sulla cooperazione in generale e nemmeno sull’Agenzia della cooperazione allo sviluppo.

A proposito di Agenzia, a che punto siamo con la procedura di nomina del nuovo direttore? Le dimissioni di Laura Frigenti ormai risalgono a marzo…
Il procedimento è in corso. Credo che si concluderà a breve.

In queste settimane state anche mettendo a punto il piano triennale di indirizzo della cooperazione internazionale. C’è spazio per portare questi temi nelle scuole?
Le scuole sono già e possono in futuro diventare ancora più i luoghi per conoscersi meglio e far crescere una società plurale. Nella scuola di mio figlio, come in tante altre, ci sono ragazzi di origine non italiana. Sono già oggi punti di incontro e accoglienza, dove non tutto è perfetto, ma all’interno delle quali sono nate tante buone pratiche veicolo di socializzazione. Non voglio apparire buonista, ma credo che in Italia la serenità sociale sia abbastanza diffusa. Non ho una visione così profondamente divisiva del nostro contesto. Il passo in più che occorre fare è far conoscere quanto la cooperazione italiane fa nel mondo. Su questo fronte siamo un gigante, sia per numero di progetti sia per investimenti. effettivamente le scuole sono il luogo da cui partire in cui sperimentare linguaggi agili che possano trasmettere valori importanti in maniera semplice ed efficace.

Oltre a questo, quali saranno i punti qualificanti della vostra azione?
La cooperazione poggia su criteri ispiratori molto importanti che partono non solo dall’individuazione dei paesi prioritari ma anche dall’individuazione di temi prioritari. Lo sviluppo umano è uno di questi, ma anche lo è anche lo sviluppo economico da perseguire attraverso azioni che portino a uno sviluppo reale dei Paesi target. Finalmente stiamo uscendo da una logica emergenziale e post emergenziale. Penso agli interventi nella filiera del caffè in America Latina e nei Caraibi, che ha impattato su tutto il processo industriale: dalla formazione ai sistemi di irrigazione, sfruttando anche le nuove tecnologie.

Sullo scorso numero di Vita, il segretario generale di Avsi, Giampaolo Silvestri, richiamava la necessità di alleanze larghe fra imprese profit e le ong. La difficoltà maggiore però sembra quella di coinvolgere il tessuto delle Pmi, che costituisce oltre il 95% del nostro tessuto imprenditoriale…
Innanzitutto la Cooperazione sta cercando di creare degli schemi con dei bandi specifici per il privato. Le piccole e medie imprese sono il nostro fiore all’occhiello e soprattutto in Africa sono guardate con grande interesse. Sono un'avanguardia molto importante, non solo di produzione e di investimento, ma anche di impegno valoriale, perché portano avanti un modello di impresa virtuoso, che in Italia ha avuto un grandissimo successo, in cui si coniuga l’interesse e la produzione con per esempio le condizioni di lavoro positive, la cura dell’indotto e quindi di tutto quello che ruota attorno all’impresa. Un modello che potremmo definire olivettiano, che sarebbe bello trasferire al di là delle nostre frontiere.


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