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Cristiano Gori

Tirar fuori il meglio dal reddito di cittadinanza: «è questa la sfida che adesso attende il welfare locale»

di Sara De Carli

Il coordinatore scientifico dell’Alleanza contro la Povertà commenta il disegno definitivo del Reddito di Cittadinanza. «Oggi è molto più una misura di inclusione sociale di quanto il governo dichiari. Pur essendo migliorato, il disegno presenta ancora significative criticità. A cominciare dalla "fretta", un punto debole fondamentale di cui pagheremo le conseguenze. Ma davanti a noi c’è una possibilità di sviluppo del welfare locale senza precedenti»

Il Reddito di Cittadinanza è legge. Il Senato ne ha dato ieri, in terza lettura, definitiva approvazione. Per la prima volta nella storia, la povertà è un tema “di serie A” della politica. Mai prima d’ora tante risorse – 8 miliardi l’anno – erano state destinate a ciò. Cristiano Gori, docente all’Università di Trento, è l’ideatore e il coordinatore scientifico dell’Alleanza contro la Povertà, un insieme di 35 organizzazioni che nel 2013 si unirono con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di adeguate politiche pubbliche contro la povertà assoluta nel nostro Paese.

Il Reddito di Cittadinanza è legge: che valutazioni fare?
Innanzitutto bisogna sempre ricordare che si tratta di una scelta politica forte a favore dei poveri, che non ha precedenti. Un primo passo era stato fatto dai governi Renzi e Gentiloni, ma questo è un passo di altra portata, come ben si evince dai finanziamenti: da 2 miliardi annui, qui si passa a 8. È doveroso ricordare che per tanti decenni la politica italiana di ogni colore si è ostinatamente rifiutata di prendere in considerazione i poveri: un adeguato investimento pubblico a loro favore è stato richiesto senza esito a partire dagli anni ‘80. Nel merito, su molti aspetti ancora stiamo cercando di capire cosa sia esattamente il Reddito di Cittadinanza, occorre studiare meglio una norma oggettivamente complessa. Ci vorrà tempo.

Cosa intende?
La norma è scritta in modo estremante complicato – in vari passaggi ai limiti della comprensibilità – e fino alla sua presentazione al Parlamento, a gennaio, è stata elaborata sostanzialmente nel chiuso delle stanze del Governo: si è iniziato veramente a comprendere il disegno della misura solamente a partire dalle audizioni parlamentari di febbraio, quando i vari attori hanno portato dati e analisi. Nelle ultime due settimane, inoltre, sono stati apportati numerosi cambiamenti. Ci sono stati anche problemi con la comunicazione istituzionale, interamente basata sul Reddito di Cittadinanza come strumento di inclusione lavorativa, tanto che lo slogan sul sito anche in questo momento è “una rivoluzione nel mondo del lavoro”. In realtà il Reddito di Cittadinanza di oggi è molto più una misura di inclusione sociale di quanto il governo dichiari.

Quali sono le modifiche più apprezzabili?
Pensiamo a ciò che il Reddito di Cittadinanza era un anno fa, quando il Governo ha iniziato a lavorarci: era una misura rivolta ai poveri come beneficiari, ma che rispondeva concentrandosi quasi esclusivamente sulle misure di inclusione lavorativa, con un ruolo assolutamente predominante dei Centri per l’Impiego e i percorsi di inclusione sociale dei Comuni relegati in posizione marginale. Era una misura, quindi, basata su una concezione monodimensionale della povertà, che legava la povertà solo alla mancanza di lavoro. Il testo che abbiamo oggi è molto diverso. Recupera i percorsi di inclusione sociale di titolarità dei Comuni e attribuisce pari dignità a Comuni e Centri per l’Impiego. Di fatto assorbe il concetto che la povertà è multidimensionale: questo è un passaggio importante. Oggi è previsto un mix di risposte. Tutta la parte di inclusione sociale governata dai Comuni resta, con le regole e modalità organizzative del REI. Questo significa che il lavoro fatto sinora nei territori non verrà buttato via, che era un nostro grande timore. Quindi i risultati più importanti di questo anno sono il riconoscimento della multidimensionalità della povertà e il riconoscimento del lavoro fatto finora nei territori. Inoltre sono stati mantenuti i fondi per i servizi sociali introdotti dal centrosinistra, prevedendone un incremento.

Il testo che abbiamo oggi è molto diverso. Recupera i percorsi di inclusione sociale di titolarità dei Comuni e attribuisce pari dignità a Comuni e Centri per l’Impiego. Di fatto assorbe il concetto che la povertà è multidimensionale: questo è un passaggio importante. Oggi è previsto un mix di risposte. Tutta la parte di inclusione sociale governata dai Comuni resta, con le regole e modalità organizzative del REI. Questo significa che il lavoro fatto sinora nei territori non verrà buttato via, che era un nostro grande timore.

Reddito promosso quindi?
Pur essendo migliorato nel corso dei mesi, il disegno della misura presenta ancora significative criticità. Mi soffermo qui solo su quelle riguardanti i servizi territoriali, quindi non la definizione dell’utenza e degli importi, che pure presentano importanti punti deboli. Il problema è che a fronte della molteplicità delle risposte, sono state rese più difficili e frammentate le modalità per lavorare insieme, tra i diversi attori. Nel Rei tutte le famiglie aventi diritto alla misura venivano inviate ai Comuni che – sulla base di una prima valutazione multidimensionale svolta da assistenti sociali – le indirizzavano verso gli interventi più adeguati. Oggi, invece, i nuclei aventi diritto sono suddivisi attraverso criteri oggettivi (ad esempio la presenza di componenti non occupati da massimo due anni) in modo automatico tra CPI, Comuni e solo contributo economico. Poiché tali parametri spesso non riescono a riflettere le effettive condizioni delle famiglie, un numero significativo tra loro sarà indirizzato verso un approdo inappropriato. Nei territori, dunque, i diversi servizi dovranno compiere uno sforzo particolare per sopperire a questa criticità del disegno del RdC, rafforzando il loro coordinamento così da agevolare il più possibile i passaggi dell’utenza dall’uno all’altro ed incrementare l’appropriatezza delle risposte. Il passaggio dal REI al RdC peggiora le condizioni per lavorare in rete tra i soggetti del welfare locale. Inoltre il positivo investimento sul rafforzamento dei CPI presenta una serie di problemi di natura realizzativa, in misura significativa legati alla fretta con quale viene attivata questa misura.

A gennaio l’Alleanza aveva efficacemente sintetizzato il suo giudizio sul Reddito di Cittadinanza con un “maggiori risorse, peggiori risposte”, evidenziando la dimensione paradossale del Reddito. Oggi, a percorso concluso?
Un elemento paradossale resta. Riconosciamo che il Governo ha accolto alcune istanze avanzate da soggetti come l’Alleanza, ma tutta la comunicazione del Governo ancora oggi non dice che il modello del RdC è cambiato rispetto all’impostazione iniziale. Oggi il Reddito di Cittadinanza è, di fatto, il REI più un forte investimento per il rafforzamento dei Centri per l’Impiego. La comunicazione del Governo però è ancora tutta sull’inclusione lavorativa, immagino per l’esigenza di marcare una discontinuità col passato. Ambivalenza c’è anche nella fretta con cui il Reddito di Cittadinanza è stato fatto partire, con l’esigenza di raggiungere il maggior numero di beneficiari possibili prima delle elezioni europee, immaginandone un ritorno in termini di consenso. Questo della fretta è un punto debole fondamentale, di cui temo pagheremo a lungo le conseguenze.

Poiché in molte aree del Paese i servizi non sono adeguatamente strutturati sarà inevitabile che nei prossimi mesi una misura focalizzata sull’inclusione si risolverà, per numerosi utenti, in una pura distribuzione a pioggia di contributi economici.

Perché?
Intanto si è partiti senza aver risolto una serie di nodi operativi fondamentali, come il raccordo tra servizi sociali comunali e CPI, che avverrà con sistemi informativi di cui ancora non si sa nulla. In secondo luogo una partenza così poco preparata rende difficile predisporre un sistema in grado di fronteggiare i numerosi tentativi di frode che una simile misura inevitabilmente porta con sé. Ma soprattutto è irreale pensare di poter costruire nell’immediato percorsi di inclusione scoiale e lavorativa per una platea così più estesa. Secondo noi sarebbe stato meglio ampliare gradualmente l’utenza su più anni, non partire subito con tutti, perché adesso è ovvio che per quanto ci siano i finanziamenti, ci vuole tempo per costruire il potenziamento dei servizi, facendolo bene. Come si è visto con i navigator e i CPI, farsi guidare dalla fretta è già un inizio per fare le cose male. E poiché in molte aree del Paese i servizi non sono adeguatamente strutturati sarà inevitabile che nei prossimi mesi una misura focalizzata sull’inclusione si risolverà, per numerosi utenti, in una pura distribuzione a pioggia di contributi economici.

Dati alla mano, se mettiamo insieme i fondi per i servizi sociali dei governi Renzi e Gentiloni con l’investimento sui servizi e i CPI di questo governo, davanti a noi c’è una possibilità di sviluppo del welfare locale senza precedenti.Il rischio che non possiamo permetterci è di farla male. E purtroppo alcuni aspetti del RdC acuiscono questo rischio.

La più classica delle obiezioni però è che i poveri hanno fame subito, tutti…
Sì, ma quando si disegna una misura si deve pensare anche ai poveri di domani. Noi abbiamo a questo proposito due preoccupazioni: una misura fatta così rapidamente per così tante persone presenterà certamente molti problemi operativi e questo rischia di delegittimarla. Inoltre, essendo la comunicazione tutta imperniata sull’inclusione lavorativa, quando il numero di occupati grazie al Reddito sarò minore di quello atteso, sarà facile dire che questa misura “non serve”. Fare in fretta perché i poveri hanno fame oggi deve essere accompagnato anche dall’attenzione a costruire una misura ben fatta, che possa essere difesa in futuro in favore dei poveri di domani.

Pensando agli operatori dei territori, cosa vorrebbe dire loro?
Dati alla mano, se mettiamo insieme i fondi per i servizi sociali dei governi Renzi e Gentiloni con l’investimento sui servizi e i CPI di questo governo, davanti a noi c’è una possibilità di sviluppo del welfare locale senza precedenti. Il rischio che non possiamo permetterci è di farla male. E purtroppo alcuni aspetti del RdC acuiscono questo rischio. Lo scenario per i servizi locali sarà più complicato di quello disegnato del REI – per la frammentazione delle risposte, per la fretta, per l’incremento troppo veloce dell’utenza – quindi ci sarà ancora più bisogno della creatività e dell’impegno di tutti gli operatori locali. Gli operatori a questo punto sono cruciali, nella consapevolezza che una misura nazionale dà indicazioni ma il livello locale ha molti spazi per realizzarla nel modo migliore possibile. L’obbiettivo deve essere quello di tirar fuori il meglio dal Reddito di Cittadinanza, essere capaci di limitarne i punti deboli e valorizzarne i punti di forza. Sapendo però anche che il lavoro fatto fino ad oggi nei territori è un ottimo punto di partenza.

Photo by Gor Davtyan on Unsplash


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