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Victoria Roos Olsson

Tutti si meritano grandi manager, anche le organizzazioni non profit

di Marco Dotti

Non c'è cambiamento possibile, né innovazione senza una rivoluzione nella cultura della leadership. Ne è convinta la svedese Victoria Roos Olsoon, tra le coach più affermate del momento. L'abbiamo incontrata

Svedese, due figlie, Victoria Roos Olsoon è consulente di leadership alla Franklin Covey . Da oltre vent'anni segue i manager in tutto il mondo, speaker di grande successo, assieme alla sorella cura un podcast Roos&Shine seguito in oltre 70 paesi.

Con Scott Miller e Todd Davis, Victoria Roos Olsson ha pubblicato un libro molto interessante, pieno di consigli pratici, in uscita il 15 novembre per Franco Angeli: Tutti si meritano un grande manager (euro 23, pagine 190). Profit e non profit sono accomunate, oggi, da una nuova sfida: dotarsi di leader che sappiano cambiare la propria prospettiva, pensando a forme di condivisioni orizzontali delle scelte, più che a imposizioni verticali del comando.

Lei lavora sulla “ristrutturazione” dei rapporti tra un leader e il suo gruppo. Perché un manager dovrebbe preoccuparsi di questi rapporti, anziché delle normali relazioni gerarchiche?
Un grande leader può apportare un grande contributo alla crescita del gruppo, della comunità in cui quel gruppo di lavoro è inserita e, in attraverso quel gruppo e quella comunità, può portare un grande contributo al mondo. Ma se la sua è unicamente una relazione di comando e il gruppo non può che reagire obbedendo si fa poca strada. Un leader di primo livello ha un ruolo determinante per il successo di un'azienda, che non coincide unicamente con il suo tornaconto economico. Non importa se l'azienda è profit o non profit. Importa il gruppo. I first level leaders rappresentano la tua cultura aziendale…

Sono quindi dei biglietti da visita dell'azienda…
Esattamente. Per questo se lavori unicamente su input e outpout, su ordine-esecuzione dell'ordine significa che non hai compreso molto di come sta andando il mondo.

Come sta andando il mondo?
Oggi le cose nel mondo le cose si stanno appiattendo, come se tutto fosse sullo stesso livello. Quindi le leadership si devono ricomporre tenendo presente questa situazione. Pensiamo alle organizzazioni non profit. Sono molto interessata a queste organizzazioni, perché alla loro base hanno un fondatore o un leader che ha una grande passione per la causa per cui quelle organizzazioni sono impegnate. Ma questa passione crea anche dei problemi.

L'errore più grande che un management può fare in un'organizzazione non profit è non capire che le nuove generazioni sono sempre meno propense a prendere degli ordini senza sentirsi coinvolte

Victoria Roos Olsoon

Crea problemi anche in assenza di gerarchie apparenti?
Esattamente. Crea opportunità e problemi. Le opportunità sono evidenti: in una non profit si lavora per qualcosa in cui si crede. Ma i problemi possono essere lasciati in ombra proprio da questo “furore” vocazionale. Molte non profit si dimenticano che chi vi lavora compie pur sempre un lavoro. Bisogna tenere un bilanciamento fra motivazione e lavoro,altrimenti la frustrazione rischia di essere doppia

Anche se il lavoro è appassionato…
Anche se appassionato, ma è pur sempre un lavoro. Questo fa perdere il timone a molti leader di organizzazioni non profit che pensano che tutti debbano tenere un livello di tensione rispetto allo scopo pari al loro. Non è così. Ma soprattutto non si deve dimenticare che il lavoro ha dei parametri diversi dalle vocazioni. Compenetrare questi parametri e il movente ideale è il compito di un vero leader in una organizzazione non profit.

Si mischiano passione, causa e leadership…
Il grandissimo problema della leadership nelle non profit è che si tende a credere che basti la passione per fare un leader di livello. Non basta. Serve, ma non basta. Non basta aspirare a un grande scopo per raggiungerlo, servono dei metodi che, spesso, coincidono con una cura estrema del cosiddetto fattore umano.

Secondo lei dov'è il problema?
Il problema è che la maggior parte dei manager arriva a ottenere una posizione di leadership nelle non profit quando ha in media 30. Questo vale anche per le organizzazioni for profit, ma nelle non profit ritengo sia più evidente. Se a trentanni diventi un manager, il primo training sulla leadership, mediamente, lo ricevi dodici anni dopo…

A quarantadue anni…
In mezzo ci sono 12 anni in cui, probabilmente, hai fatto danni. Pensateci: in quale altra professione vieni lasciato a farti le ossa sulla pelle degli altri per 12 anni prima che ti spieghino bene cosa devi fare?

Le organizzazioni non profit hanno sempre avuto un vantaggio: permettevano alle persone di sentirsi creativamente coinvolte nelle decisioni all''interno delle attività che svolgono. Poi qualcosa si è inceppato. Dobbiamo ricominciare a tirar fuori la creatività, con coerenza e metodo

Victoria Roos Olsoon

Ha qualche soluzione?
Nel libro ne parliamo a lungo. Un libro pensato per avere degli strumenti per agire. Avete passione, soprattutto nelle non profit? Ok, perfetto. Ma senza strumenti che cosa ne fate della passione? Invece pensate a quanto può essere grande l'impatto di una passione ben calibrata, che crea benessere interno, rende unito il gruppo e va spedita verso lo scopo. La prima cosa che un leader dovrebbe fare è cambiare il suo mindset. Deve cambiare il modo di pensare alle cose, perché spesso inserisce persone, storie, relazioni in un mindset sbagliato. Questo crea conflitto e di conflitto in conflitto l'organizzazione esplode.

Un esempio?
Per esempio i manager parlano di empatia. Ma la praticano? Essere empatici non significa stringere bene una mano o sorridere sempre. Significa ascoltare e l'ascolto è, prima di tutto, una disposizione di pensiero. Se non ascolti i membri del tuo team, intendo dire se non sai capire il loro disagio e quando ti presentano un problema pensi di avere già la soluzione, probabilmente stai sbagliando mindset.

La leadership comporta un grande lavoro su di sé, dunque?
Un grandissimo lavoro su di sé.

Torniamo alle organizzazioni non profit…

Pensiamo a un'organizzazione che si occupa di inclusione e, al suo interno, ha leader incapaci di ascoltare e, di conseguenza, di includere. Se non c'è un allineamento tra dentro e fuori questa coerenza prima o poi verrà percepita e creerà gravi problemi.

Capita spesso?
Molto spesso. Diventi un manager, sei stato promosso perché hai raggiunto degli obiettivi. Ma adesso quello che hai fatto per arrivare fino a lì non conta più, se non lo capisci cadi e, cadendo, trascini tutti con te. Sei diventato un manager e, adesso, devi imparare a ascoltare. Prima non era un compito tuo, adesso sì. Questo è ciò che intendo quando parlo di cambiare il mindset, l'atteggiamento mentale nei confronti della leadership.

Si può imparare ad ascoltare?
Sì, si puoi. Ascoltare è un'abilità e può essere appresa. Certamente, ci sono persone caratterialmente disposte all'ascolto e altre meno, ma tutti possono imparare ad ascoltare. Io stessa l'ho fatto. A volte, nella mia attività, davo lo stesso consiglio a tutti pensando funzionasse. Ma poi mi sono accorta che ogni situazione è a sé e ogni situazione merita ascolto. Solo dopo aver ascoltato con pazienza e umiltà possiamo decidere.

Questo richiede tempo e fatica…
Ma se un'organizzazione non si può permettere questo tempo, dubito possa permettersi altro…

Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, molti ancora fanno fatica a capire i cambiamenti. Ci sono resistenze. Per esempio, molto lavoro è disintermediato, molte cose vengono fatte in sedi diverse…
Proprio perché la situazione lavorativa è molto cambiata è molto importante pianificare situazioni di ascolto e confronto, tanto individuali quanto di gruppo. Non è una cosa che si improvvisa, deve essere strutturata e pianificata altrimenti viene vissuta come l'ennesimo ordine di cui non si comprende il significato.

Si parla spesso di burn out, ma si parla meno di coloro che lasciano improvvisamente un'azienda o una non profit, spesso sbattedo la porta. Che ne pensa?
Penso che quando una persona lascia un posto di lavoro raramente lo fa per lo stipendio. Il problema è che ci sono manager che non riescono a sviluppare una cultura ambientale coerente con le aspettative di chi si ne va o, peggio, con le motivazioni ideali che muovono l'organizzazione. Quando qualcuno abbandona la nave è arrivato il momento di chiedersi se la nave ha dei problemi.

Nel libro insistete molto sui feedback…
È un tema su cui incontriamo ancora molta resistenza. Personalmente credo che i manager devono cominciare a creare una cultura del feeedback. Devono darne, ma devono anche ricerverne. Molti si spaventano quando parliamo di feedback, ma è cruciale.

Perché è cruciale?
Proprio perché la leadership non è solamente comando impartito dall'alto verso il basso, ma è un sistema complesso. Un sistema basato su ritorni e continui aggiustamenti rispetto alla rigidità di un ordine. Se vuoi creare una buona cultura aziendale, non devi come leader dare feedback sugli altri senza ricervene. Tutt'altro: devi essere il primo a chiedere che i membri del tuo gruppo di diano un feedback. Nessuno volontariamente darà mai un feedback al proprio superiore. Per questo un leader di nuovo livello deve creare una cultura per cui dare questo ritorno non sia più percepito come un giudizio indebito, ma come un modo per migliorare assieme.

La cultura di cambiamento manageriale e organizzativo sembra incrociare una volontà di cambiamento generale..
Un cambiamento, aggiungerei, di cui le persone vogliono essere partecipi, non semplici pedine. Lo vediamo nel movimento sul clima, ma lo vediamo anche nelle organizzazioni non profit. Le persone che vi lavorano sono soggette a un doppio potenziale di frustrazione: lavorativo e motivazionale. Bisogna fare molta attenzione, dunque, quando parliamo di leadership nel non profit. Direi che qui la formazione dei leader dovrebbe essere ancora maggiore, visto che il fattore umano è determinante in genere, ma nel non profit lo è ancora di più.

L'errore più grande che un management può fare in un'organizzazione non profit?
Non capire che le nuove generazioni sono sempre meno propense a prendere degli ordini senza sentirsi coinvolte. Le organizzazioni non profit hanno sempre avuto un vantaggio: permettevano alle persone di sentirsi creativamente coinvolte nelle decisioni all''interno delle attività che svolgono. Poi qualcosa si è inceppato. Dobbiamo ricominciare a tirar fuori la creatività, con coerenza e metodo.


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