Campagne

Fidatevi, l’accoglienza fa bene

di Anna Spena

Una Ong di Asti, Piam onlus, lancia una campagna social originale per convincere le famiglie ad aprire le porte di casa ai migranti. Mobilitati testimonial di accezione per dire basta ai luoghi comuni

C’ è una storia che ci insegna a non avere paura. Però, troppo spesso, a “qualcuno” la “paura” viene lo stesso. Per questo motivo alla Piam onlus, in collaborazione con il Consorzio Co.Ai.A, è venuta l’idea di creare e promuovere una campagna social, “L’accoglienza fa bene”, per provare a spiegare quanto, in realtà, sia veramente inutile avere paura…

«L’idea è quella di parlare dell’immigrazione e dall’accoglienza fuori dagli stereotipi e dai luoghi comuni», spiega Alberto Mossino, presidente di Piam onlus. «Salvini sbaglia a descrivere tutti quelli che arrivano come dei barbari, ma a volte sbagliamo pure noi. Il pietismo non va più bene: bisogna avere il coraggio di smetterla di giocare sempre sulle sfighe degli altri».

Alberto Mossino, 44 anni, oltre a ricoprire il ruolo di presidente, è stato anche uno dei soci fondatori di Piam onlus. «Nel 1999 abbiamo iniziato a gestire ad Asti i progetti per aiutare le vittime di tratta, abbiamo creato centri di accoglienza e organizzato unità di strada. Poi, nel 2011, abbiamo inaugurato il primo progetto sprar per i rifugiati».

Ad oggi l’associazione ospita, in diverse strutture, circa 180 rifugiati. Il recupero delle vittime di tratta e quelle dell’immigrazione sono due discorsi, che oggi, si sono sovrapposti. «I trafficanti», spiega Mossino, «mettono le donne sui barconi per portarle in Europa e farle prostituire. Le ragazze che chiedono asilo sono le prime potenziali vittime che potrebbero finire sulle strade; noi le identifichiamo e facciamo prevenzione. Gli spieghiamo i rischi prima che i trafficanti le riaggancino».

Quando alla fine dello scorso marzo si sono intensificati gli sbarchi dei profughi provenienti dalla costa libica la prefettura li aveva avvisati “vi dovete attrezzare”. «Così», racconta Alberto Mossino, «nasce il progetto l’accoglienza fa bene. C’è una parte di budget sotto la voce “sensibilizzazione” che è sempre stata utilizzata per organizzare incontri tra i rifugiati e i cittadini. Ma quest’anno l’attenzione mediatica sull’immigrazione è stata talmente alta e forviante che è diventato necessario smentire tutti quelli che attaccavano, e ancora attaccano, chi fa accoglienza. Diciamolo chiaramente: l’accoglienza non è un danno per nessuno; la nostra campagna prova a spiegarlo».
La campagna social è “open source”, così la definisce Mossino. È aperta a tutti, i materiali sono liberi e chiunque può ripubblicarli e diffonderli per provare a dimostrare che fare accoglienza vera è una cosa possibile.
«La campagna non finanzia nessun progetto, ha come unico obiettivo quello di dire alle persone “smettete di avere paura”».

Al Piam la fase di accoglienza si sviluppa su più livelli: prima accoglienza con l’arrivo in Italia; arrivo al "Refugee hub di Asti", erogazione dei servizi Piam e, l’obiettivo finale, è l’indipendenza.
«Vitto e alloggio sono solo il primo step», spiega Mossino, «poi ci vuole qualcosa di più, ci vogliono i diritti».
La lingua e i progetti di alfabetizzazione sono parte integrate del lavoro di Piam «è il primo passo per i rifugiati», dice Mossino , «per rivendicare i lori diritti capire anche quali sono i doveri; perciò teniamo dei corsi di formazione».
La struttura è aperta 24h su 24h tutti i giorni ed è attrezzata per l’accoglienza temporanea di 50 persone. Villa Quaglina è la struttura più grande, ospita fino a 50 persone. I servizi che sono garantiti alle persone vanno dall’informazione ed assistenza nei rapporti con la Questura; al disbrigo pratiche burocratiche, dalla richiesta del codice fiscale all’iscrizione al servizio sanitario.

Ma se l’immigrazione si intensifica, i posti non bastono più. Così, da un anno a questa parte, la Piam si è rivolta direttamente alle famiglie, con un sito accattivante e mobilitando testimonial di grande impatto.

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«In prima battuta», spiega Alberto Mossimo, «abbiamo coinvolto le famiglie di stranieri che vivono già ad Asti. Senegalesi con senegalesi; libanesi con libanesi, e cosi via. Ci sembrava la soluzione più veloce e pratica per andare incontro alle esigenze degli immigrati. Poi la voce si è diffusa e anche le famiglie italiane hanno aderito all’iniziativa. Sono 54 i ragazzi che stanno in famiglia anziché negli hub; 12 stanno con famiglie italiane. Anche se, la richiesta da parte degli italiani, che prima erano un po’ più restii, ora sta crescendo».

Nelle immagini una gallery con alcune delle campagne lanciate sui social.


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