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Reportage

Tunisia, rivoluzione a ritmo di breakdance

di Giada Frana

Sidi Bouzid è la città simbolo da cui era cominciata la primavera araba. Qui il 17 dicembre del 2010 si era dato fuoco Mohamed Bouazizi, venditore di frutta a cui la polizia aveva sottratto il carretto. Oggi è diventata una città laboratorio grazie ad un centro culturale all’avanguardia. In funzione antislamista

Duecentosettanta chilometri separano Sidi Bouzid, capoluogo dell’omonimo governatorato, da Tunisi. In questa cittadina, diventata il simbolo della rivoluzione tunisina, “Thawrat al karama”, la “Rivoluzione della dignità”, il tempo sembra essersi fermato. Qui il 17 dicembre 2010 il 26enne Mohamed Bouazizi, a cui la polizia aveva sottratto il carretto di frutta e verdura, sua unica fonte di sostentamento, si diede fuoco, innescando la scintilla che fece scoppiare la rivoluzione. A Bouazizi è dedicata la strada principale della città, l’ex Avenue 7 novembre, in ricordo della data in cui l’ex presidente Zine El-Abidine Ben Alì prese il potere. Dove prima sorgeva un monumento dedicato al vecchio rais, vi è ora una piccola statua rappresentante un carretto, omaggio a questo giovane. Oggi questa città si sta trasformando in un laboratorio sociale come non ce ne sono molti nella fascia sud del Mediterraneo.

L’iscrizione? 50 centesimi l’anno
Molto, se non tutto, ruota intorno al Complesso della gioventù 17 dicembre. Si tratta di una struttura statale dipendente dal ministero della Gioventù e dello Sport, attiva dal 2007, ma che all’epoca di Ben Alì veniva largamente trascurata: poco il materiale a disposizione, così come le attività offerte, se non quelle funzionali a esaltare il rais e il suo partito. Oggi la gestione vera e propria e le attività proposte non vengono più decise esclusivamente dallo Stato, bensì dal direttore e dagli animatori che vi lavorano. Il centro è aperto ai giovani dai 14 anni in su e propone diverse attività attraverso i suoi vari club: danza, musica, internet, audiovisivi, arti plastiche, sport, lingue, giornalismo, web radio.

Chi vuole prendere parte alle attività deve pagare la cifra simbolica di un dinaro all’anno – poco meno
di 50 centesimi di euro –
ottenendo la propria carta
membro: «In questo modo
tutti possono partecipare»,
 spiega Mounir Mbarki, direttore del Complesso da poco più di un anno. «Per il 2014- 2015 abbiamo avuto più di mille aderenti: è un buon numero», continua Mbarki, «inoltre molti usufruiscono di questo spazio anche senza l’iscrizione ufficiale».

Un ostello da 58 posti
Sono otto gli animatori che lavorano nella struttura, tutti laureati in animazione per giovani e tutti in grado di maneggiare le diverse attività del centro. «Lo Stato ci finanzia con 24mila dinari l’anno (circa 12mila euro, ndr.)», prosegue il direttore, «le altre entrate provengono dall’affitto della sala polivalente, circa 6mila dinari, dall’affitto del piccolo ristorante per chi vuole organizzare cene, 12 mila dinari annui ed infine dall’affitto delle camere dell’ostello: abbiamo 58 posti letto che ci fruttano sui 14mila dinari». La struttura avrebbe bisogno di qualche rifacimento: le stanze dei laboratori sono piccole e non riescono a con- tenere tutta la domanda, il soffitto della piccola palestra dove i giovani vengono a fare aerobica, danza e breakdance quasi cade a pezzi, senza contare che servirebbe materiale nuovo, come una macchina fotografica per il club di giornalismo.

La web radio
Houcem Heni è l’animatore della web radio 17 dicembre, nata lo scorso anno, e nel Complesso lavora da sette anni. «Prima della rivoluzione non c’erano mezzi di comunicazione che non appartenessero allo Stato:», spiega, «nessuno parlava di cosa succedeva a Gafsa, Sfax o altre città nelle regioni centrali e del Sud, l’informazione era quasi inesistente. Ora invece c’è molta libertà. Si è sviluppato il concetto di giornalismo partecipativo, si danno informazioni così come sono, dal punto di vista della gente comune».

«Con i giovani lavoriamo su temi particolari e complessi:», prosegue Houcem, «sensibilizzazione contro il terrorismo e contro le malattie legate al sesso o alle droghe. Con noi ci sono anche diversi volontari, si organizzano degli atelier e ci si sposta ogni volta in un posto diverso. Incoraggiamo il senso di appartenenza alla patria: il primo principio dei terroristi è che la Tunisia non è uno Stato, dicono che bisogna cambiare la bandiera, che bisogna cambiare tutto». Per lui il pericolo più grande ora è il terrorismo: «Qui all’inizio non ci credevamo al terrorismo. Ora è diverso. In generale i terrori- sti hanno problemi di integrazione nella società: c’è chi era in prigione, a causa di furti o per reati legati alla droga, chi ha dei problemi con i propri genitori o con l’ambiente circostante. Queste persone trovano un clima favorevole nei gruppi di salafiti, che li considerano e danno loro ciò di cui han bisogno».

E ancora: «Noi diamo ai giovani lo spazio per lavorare in libertà: se non trovano l’integrazione nella società possono trovarla qui. Possono esprimersi e in questo modo non hanno bisogno di rivolgersi ai salafiti o a chi mostra loro la strada del terrorismo. Cerchiamo di lavorare con tutti senza eccezione. Quando un salafita si trova a doversi confrontare con un giovane rapper o uno sportivo, dopo un po’ è inevitabile che modifichi il suo punto di vista, l’estremismo si batte usando il ragionamento e dimostrando che ci sono altre possibili strade da seguire. Chi partecipa alla nostra radio è già lontano da questi problemi, ma può coinvolgere e avvicinare altri ragazzi».

«Viviamo in una società in cui i pericoli sono dietro l’angolo:» aggiunge il direttore, «violenza, consumo di droga e alcol, estremismo. Offriamo ai giovani delle attività per far sì che si allontanino da tutto ciò». Tra i frequentatori ci sono anche alcuni salafiti: «Non tutti i salafiti sono estremisti», sottolinea Mbarki «organizziamo attività condivise per far sì che loro non si isolino dalla società: un modo per accettare le reciproche differenze». «In generale in Tunisia si nota uno sconcerto da parte della gioventù», conferma Messaoud Romdhani del Ftdes, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali di Tunisi, «in particolare nelle regioni con maggiori difficoltà economi- che.

Questa disperazione si manifesta attraverso tre fattori: immigrazione clandestina, casi di suicidio e jihadismo (ad aprile Rafik Chelli, segretario presso il ministero dell’Interno, parlava di 2.800 – 3.000 tunisini tra Iraq e Siria, ndr). Non bisogna però legare il jihadismo all’estremismo religioso: quest’ultimo esiste ma credo, che si tratti piuttosto di una sorta di vendetta verso uno Stato che non ha capito le urgenze della gioventù, la quale chiede solo di poter vivere».

I Flava Kids e il rapper
Nella piccola palestra incontriamo un gruppo di ragazzi dai 17 ai 19 anni: sono i Flava Kids crew. Tutti i giorni dopo la scuola vengono al Complesso per dedicarsi alla loro più grande passione, la breakdance. Il loro sogno è poter sfondare anche all’estero. «Il Complesso non era così prima:», confida Hamza Slimani, il più grande del gruppo, «ora è migliorato, il nuovo direttore ci incoraggia. Fino a pochi mesi fa questa struttura era quasi sempre chiusa e come disciplina c’era solo il taekwondo». «In Tunisia non c’è granché da fare per noi giovani» aggiunge Ilyesse Gharbi. Le famiglie di questi ragazzi non hanno subito visto di buon occhio la loro passione per la breakdance, ma poi capendo che in questo modo restavano lontani dai guai, l’hanno accettata: «I miei, per esempio quando hanno compreso che la mia vita si era regolarizzata, che mi impegnavo a scuola e negli allenamenti, mi hanno dato il via libera» continua Hassen Rabhi. Gli altri ragazzi del gruppo, Sofien Zinoubi e Ghaith Bargougui, annuiscono con un cenno del capo: la loro storia è simile. «C’era un ragazzo che faceva le risse, beveva troppo, fumava hashish», riferisce Hamza. «L’abbiamo integrato nel nostro gruppo ed ora si è calmato, non fa più queste cose». Khalil Baccari, 21 anni, in arte Mc Khalil, tra le mura del Complesso si dedica invece al rap, a cui si è avvicinato ascoltando rapper americani del calibro di Snoop Dog. «I giovani qui spesso passano tutto il giorno al bar, dicendo che non c’è lavoro», racconta, «stanno lì senza far niente, diventano dipendenti dalla marjuana o bevono alcol puro, perdendo le loro passioni. Invece il lavoro c’è, in qualche modo ci si può arrangiare. Io mi sono occupato di sicurezza ed ora lavoro nel fripe (negozietti di vestiti usati molto diffusi in Tunisia, ndr). Il rap per me è un modo per trasmettere un messaggio e far sentire la voce del popolo» e mostra il testo di una canzone in cui parla delle ragazze tunisine che vogliono un ragazzo ricco e finiscono per sposare uomini molto più grandi di loro.

Il violinista e il regista
Dal club di musica si diffondono le note di un violino, a cui seguono quelle di un liuto e di un piano: Adel Mazouzi, insegnante di musica privato, sta tenendo una lezione ai suoi allievi. «La cultura è molto importante», sottolinea, «ho iniziato ad insegnare chitarra a due bimbi piccoli e nel giro di poco tempo mi sono ritrovato con più di 50 allievi. C’era un conservatorio regionale, ma ha chiuso e non ci sono licei dove la musica venga insegnata; inoltre gli animatori che lavorano qui non sono specializzati per cui le persone si sono rivolte a me. Qui se non fai delle attività culturali finisci per strada, diventi un delinquente, inizi a bere, a fumare e poi piano piano passi al terrorismo». Maha Bouazizi, 16 anni, si sta esercitando al violino: «Suonare mi rende felice e mi fa dimenticare le cose negative». Jihed Ghanmi, 17 anni, suona invece il basso: «Prima c’era mancanza di materiali musicali ma ora con il signor Adel le cose sono migliorate. Vengo qui quando mi annoio o sono stanco di studiare, e suono. Passare il nostro tempo al Complesso è di certo meglio che vagare per strada. A Sidi Bouzid si trova anche la casa di produzione “AyanKen Production”, del giovane regista Ridha Tlili, in arte Ayan Kan.

Membro fondatore del “Festival della Rivoluzione” di Regueb ha realizzato finora tre film − Révolution moins 5”, “Jiha” e “Controlling and punishment”, che hanno partecipato a festival nazionali ed internazionali e gli sono valsi numerosi riconoscimenti. «Oltre alla produzione, organizziamo degli atelier di formazione e degli eventi per affermare i legami solidi con l’ambiente nazionale e internazionale. La cultura in tutto il Paese è vittima di una burocrazia crudele: ma non ci arrendiamo, nella speranza che un giorno ciò possa cambiare». E aggiunge: «I giovani hanno bisogno di sogni. È compito della società civile e dello Stato trovare soluzioni». Sidi Bouzid, da città simbolo della Rivoluzione, sembra pronta a diventare la città guida per tutta il Paese.

Non solo Sidi Bouzid
Nel frattempo qualche seme di cittadinanza attiva sta germogliando anche in altre zone del Paese. Ne è un esempio il centro culturale ai piedi della montagna Semmama, nel governorato di Kasserine, creato dall’artista Adnen Helali. «Il mio progetto cerca di incoraggiare i giovani makers e di creare un’effervescenza culturale per gli abitanti di queste zone rurali. Finora abbiamo promosso un cinema in un pollaio, un atelier di arti plastiche in un campo di cactus, un atelier di break dance in una grotta. È un progetto pilota e lo stiamo esportando verso altre zone di montagna: Mghila, Khroumirie, Sejnène». A Bizerte il giovane Dhia Felhi è invece riuscito a far riaprire dopo otto anni il cinema “Le Majestic”, la più antica sala cinematografica della città, che si prepara ad essere un centro polivalente e punto di riferimento per la città costiera. A Gammarth nell’area di Tunisi è invece nata la prima scuola tunisina dell’arte del vetro, aperta dall’artista Sadika Keskes, che ha studiato a Murano. Lo spirito di Sidi Bouzid si sta espandendo in tutta la Tunisia.

Tutte le foto sono di Simona Bonomo


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