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Migranti

Gli anarchici e gli ultras che salvano i profughi in mare

di Francesco Floris

Siamo stati a bordo della Sea Watch 2, un'imbarcazione di una ong tedesca che si occupa di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e nell'Egeo, per conoscerne l'equipaggio che sembra uscito da un film di Ken Loach

Un coro della tifoseria del Newcastle United. È l'unica “canzone” che non ci si aspetterebbe di ascoltare in mezzo al Mediterraneo, durante un'operazione di ricerca e salvataggio di profughi in mare. Dedicato a Francisco Eranani Lima da Silva – meglio noto come Mirandinha, il primo brasiliano a militare nella Premier League negli anni Ottanta.

“Mirandinha is not from Argentina, he is from Brazil” intona a squarciagola Brendan Woodhouse, un vigile del fuoco di Newcastle, ex paramedico militare in Afghanistan che ha lavorato per due anni a Camp Bastion, una delle principali basi aeree del Paese, nella provincia nord occidentale di Helmand. Ma sopratutto Brendan è un fedele ultras dei white-blacks del nord Inghilterra, che indossa la maglietta della sua squadra del cuore come se fosse un secondo strato di pelle.

Ventiquattro miglia di distanza dalla Tripolitania, di fronte a Zuara e Sabratah. È qui che lo sfegatato tifoso del Newcastle United ha scelto il palcoscenico per la sua performance canora. Si è imbarcato a luglio come paramedico a bordo della “Sea Watch 2”, un'imbarcazione di una ong tedesca che si occupa di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e nell'Egeo. E ha deciso di intrattenere i timpani degli altri 14 membri dell'equipaggio.

Il repertorio di Brendan è vasto: oscilla fra l'amore per la bandiera e le vecchie glorie – come l'ex capitano Colaccini, lui sì argentino –, le volgarità da stadio e l'odio sportivo per i supporter degli storici rivali del Sunderland. I cui abitanti vengono additati col nomignolo di “Mackem”, contrapposti ai “Geordie” di Newcastle, come il ladro di cervi nella canzone di Fabrizio De André. “È una parola dialettale che significa anche “i ragazzi di Re Giorgio” che respinsero gli scozzesi durante un assedio” ci spiega.

La voce di Brendan non è l'unica stranezza nella missione di Sea Watch: Sandra ha un tatuaggio lungo la colonna vertebrale. Sulla pelle ha inciso dei numeri. Sono le coordinate del punto in cui è nato suo figlio, oggi diciottenne. Lei di anni ne ha 44, è di origine egiziana e lavora come ricercatrice universitaria in un ateneo vicino Francoforte. “Dove è nato mio figlio non c'erano ospedali” scherza, perché in effetti sale parto e reparti di ostetricia galleggianti in mezzo al mare è difficile trovarne. Quelle coordinate indicano un punto chissà dove nell'acqua. L'acqua, quella salata, è il suo elemento. Da due anni lavora con la ong teutonica, prima sull'isola greca di Lesbo e adesso nel Mediterraneo centrale. “In Grecia i profughi morivano per le intemperie anche se dovevano percorrere meno di trenta chilometri di mare. L'Egeo non perdona. E Lesbo è un'isola rocciosa, i gommoni arrivavano e venivano sbattuti sugli scogli dalle onde. Per questo era una strage”.

Di fronte alla Libia la situazione è diversa. Il mare aperto e le condizioni meteo offrono un lungo periodo di tregua durante l'estate. Ma gli avvistamenti sono resi complicati dalle distanze infinite e le persone sono sotto shock per le violenze, gli stupri e le torture subite prima di tentare il viaggio della speranza. “Bisogna guardare i bambini per prima cosa. Si prende un pezzo di pelle e lo si tira leggermente. Se la pelle è elastica e torna nella sua posizione naturale è tutto apposto, se rimane invece piegata significa che bisogna agire con urgenza, perché la disidratazione ha raggiunto livelli pericolosi”.

Per questo a bordo della Sea Watch 2 c'è Katrin, un'ostetrica e ginecologa tedesca con il compito di prendersi cura delle donne incinte e dei bambini.

E Matthes, paramedico civile, che detesta i primari d'ospedale e i divari salariali fra la loro e la sua categoria. Matthes è un anarchico che indossa magliette con scritte antifasciste, dotato di ottimismo contagioso e di un inguaribile black humor che strappa un sorriso anche nelle situazioni più difficili. È in buona compagnia. Chi crede che un'operazione SAR (Search and Rescue) sia solo professionalità, serietà – disperazione nel peggiore dei casi, davanti alla morte – deve ricredersi.

Alle 5 del mattino Ambroise – il cuoco francese di origine caraibiche (Sain Kitts e Nevis) che vive ad Amsterdam – si fionda in cucina. E prepara omelette per la ciurma che si è appena alzata con il rumore martellante dell'allarme. Un suono che significa gommone avvistato.

Il gesto di Ambroise strappa grida di giubilo anche al più impassibile fra i tedeschi. Che sono 12 in tutto: Johannes Bayer detto “Joe”, studente fuori sede a Stoccolma, in Svezia. Dove frequenta corsi di tecnologia marittima. È il capo della missione nonostante la giovane età: conosce i codici di comunicazione via radio, le norme internazionali e orchestra le operazioni dal ponte. E oltre agli aspetti tecnici deve tenere alti il morale e l'attenzione dell'equipaggio. Se la serietà si incarnasse in una persona avrebbe il suo aspetto.

Lucas e Tillman sono due meccanici tuttofare. Alle prese, sin dal primo giorno, con un tubo dell'impianto di raffreddamento dell'acqua che salta. Il terzo giorno si allagano le tre docce perché il galleggiante nella cisterna di raccolta non funziona. La “Sea Watch 2” ha spento quest'anno la sua quarantottesima candelina e che ci sia una correlazione fra l'età e gli imprevisti, diventa palese. L'undicesimo giorno si stacca il motore dal “tender 2” – uno dei due piccoli gommoni che servono a soccorrere i migranti. Tilmann lo ha riportato a remi per centinaia di metri, sotto lo sguardo di rimprovero di alcuni profughi, che trovano il tempo per fare dell'ironia: “Se ti serve una mano avvertici”. Tilmann non è nuovo a queste genere di avventure: il 28 luglio avvicina un gommone carico di migranti e ancora funzionante, distribuisce i giubbotti salvagente e poi dice: “Seguitemi che vi conduco alla nave”. “Non sappiamo guidare” rispondono. E lui con un balzo si mette alla guida del gommone mentre il nostro pensiero corre alla definizione di “scafista” che potrebbero dare le autorità italiane. La sua esperienza da “scafista” tuttavia dura meno di un battito di ciglia. I motori Yamaha da 50 cavalli che montano queste zattere esauriscono il carburante dopo una trentina di chilometri dalla costa. Dal canto suo il giovane tedesco con i capelli raccolti ha una sola preoccupazione: procurarsi il tabacco che ha disperso mentre cavalcava le onde.

Lucas invece è meno avvezzo all'adrenalina. È un fanatico di Bud Spencer di cui conosce vita, morte e miracoli anche se resta interdetto quando scopre che buona parte dei suoi film sono girati in italiano come lingua originale. È anche un protestante pentacostale con alle spalle anni di navigazione sulle flotte commerciali tedesche. Si imbarca in una discussione con alcune cristiane nigeriane di etnia Igbo – una minoranza etnica che nella nazione più popolosa d'Africa conta quasi 20 milioni di persone – mentre queste stanno cercando di convertire Matthes. “Prometti che pregherai questa sera, del resto se non ci fosse Dio noi non saremmo vive oggi” affermano sotto lo sguardo scettico del paramedico anarchico. La promessa la strappano, la preghiera no, nonostante le assicurazioni.

Ogni membro di questa curiosa ciurma ha le sue motivazioni per essere qui – le più disparate, non necessariamente coerenti. Brendan ne ha addirittura tre. Rimase scioccato dalle immagini di un naufragio avvenuto a Lesbo nel dicembre 2014, quando il mondo imparò a conoscere l'isola di Saffo e non per la poesia. E aggiunge: “Mio nonno ha combattuto in Normandia e di certo non lo ha fatto per lasciare che le persone morissero 80 anni dopo nel mare”. Di fronte alle sue motivazioni anche l'esercitò della Regina gli consigliò di darsi al volontariato piuttosto che a una carriera nei militari – seppur da paramedico. E da allora usa le sue settimane di ferie per “arruolarsi” nelle ong disponibili.

Poi ci sono i fanatici del mare come i due meccanici e Ruben, il marinaio timoniere sul ponte con l'ossessione per la pulizia – difficile da coltivare quando si vive in 15 in trenta metri di barca. “Vogliamo essere marinai”, passano un intero pomeriggio – mentre il vento soffia verso il nord Africa e impedisce ai barconi di partire – i tre a ripetere questo concetto: “Ma non per le flotte di navi container, paghe da fame e turni massacranti di lavoro. Mentre noi stiamo sei mesi in mare gli armatori si arricchiscono registrando le navi con bandiera cipriota, panamense o liberiana per pagare meno tasse”.

Arne è un marinaio di vedetta che spende le ore in piedi sull'albero maestro per avvistare i gommoni, assumendo posture che metterebbero “K.O.” vari contorsionisti. Parla poco se non per spiegare alla notte le costellazioni, accenna a qualche problema con la fidanzata o, per meglio dire, con due fidanzate. E il dubbio che la sua sia una fuga dai problemi sentimentali resta. Welf è un impassibile ragazzone di due metri, guida il “Tender 1” e voleva restare in mare per un mese di fila, con due missioni consecutive. Lo hanno convinto a desistere perché l'ultimo giorno una ragazza di sedici anni è morta sotto i suoi occhi. E tutti hanno scoperto che non era così impassibile.

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Fabian e Ruben sono i due media manager: scattano foto, riprendono con la telecamera scene crude e altre di gioia. Gestiscono la comunicazione sui social network – uno degli aspetti fondamentali per le ong che vogliono mantenere l'indipendenza dai governi e dall'Unione europea, approvvigionandosi solo con donazioni private. Fabian vuole diventare un giornalista e a settembre si è iscritto a un corso apposito. Ruben lo è già giornalista. Lo abbiamo recuperato in Tunisia prima di spostarci davanti a Tripoli. Racconta della Siria e di Aleppo nel 2014, quando la città era ancora raggiungibile, di essere tornato indietro passando illegalmente dalla Turchia dove è stato arrestato. E salvato da un app sul telefono messa a disposizione dall'ambasciata tedesca ad Ankara. Una volta tornato in Germania pare che si sia unito a dei gruppi di discussione di giornalisti arrestati e cacciati con figlio di via dall'ex impero ottomano. Sono a decine, ne discutono davanti a una birra e fra i reporter tedeschi è quasi una medaglia al valore.

L'ultimo uomo è anche il più anziano e, come da stereotipo, il più saggio: Reinhart Schmitz, capitano della nave.

Sembra nutrirsi solo di caffè, il che spiegherebbe come fa ad essere arzillo alle 3 del mattino mentre fissa i puntini verdi sul radar, con gli occhiali appoggiati al naso come se stesse leggendo un libro. Ha lavorato per 40 anni sulle navi cargo e pescherecci, nei mari del nord. Adesso ne ha 64 di anni e se gli si chiede perché non si goda una meritata pensione ha la risposta pronta: «Nei Caraibi, tanti anni fa, siamo finiti in mezzo a un uragano. Trenta secondi più tardi e saremmo morti. La nave ha iniziato a girare su stessa, come in un mulino, in un vortice. Abbiamo chiamato la Guardia Costiera e ci hanno risposto: “Non possiamo fare niente per voi. Non possiamo uscire. Buona fortuna e che Dio vi benedica».

Ci siamo salvati per miracolo e so cosa si prova a guardare in faccia la morte in mezzo al mare”. Mentre ci racconta la sua esperienza l'occhio cade su un foglietto appeso in cabina di comando che recita i versi di una poesia: “Che la strada ti sia sempre davanti e il vento ti soffi alle spalle. Possa Dio tenerti nel palmo della sua mano fino a quando non ci incontreremo di nuovo”. Una poesia gaelica, irlandese che compare in decine di versioni differenti ma tutte con lo stesso significato: è augurio di tornare in porto ogni volta che si prende la via del mare.

E mentre torniamo in porto Reinhart sorseggia un'aranciata – perché lupo di mare sì, ma astemio.

La missione si chiude a Malta esattamente come era cominciata, con l'ennesima colonna sonora targata Brendan. È “L'inno di Mameli”, che ci ha costretto a insegnarli in due settimane,per la furia degli altri 13 volontari. Sul perché la volesse imparare ci lascia con un pugno di mosche semplicemente abbozzando un “It's amazing”. Dopo due settimane di errori semantici e di pronuncia finalmente l'azzecca tutta. Escluso il suo tallone d'Achille: “L'Italia se siesta”.


Anarchici e ultras: chi sono gli uomini che salvano i profughi in mare

Testi a cura di Francesco Floris

Foto a cura di Fabian Melber e Ruben Neugebauer



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