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Made in Italy

Schana, la gioia di vivere fuori dalla bolla

di Sara De Carli

Non possono andare a scuola né al parco e anche a casa devono vivere con mille attenzioni: li chiamano "bambini-bolla" perché il loro sistema immunitario non in grado di difendersi dalla minima infezione. Schana è la prima paziente al mondo trattata con un nuovo farmaco innovativo, nato da uno sforzo tutto italiano. Altri tre bambini sono pronti a ricevere la terapia genica

Schana ha gli occhi verdi, come le due nonne. Ha appena compiuto un anno ed è nata due volte. La prima il 5 luglio 2016, quando ha visto la luce in Germania. La seconda un venerdì dello scorso marzo quando all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano ha ricevuto un’infusione delle sue cellule staminali, che erano state corrette geneticamente in laboratorio. Schana è nata con l’ADA-SCID, una malattia rara che rende il sistema immunitario non funzionante e incapace di difendersi dagli agenti infettivi: un banale raffreddore per lei sarebbe stato pericoloso quanto la più terribile delle infezioni. I bambini come lei non possono andare all’asilo, a scuola, al parco, devono sottostare a rigidissime regole igieniche, hanno un’alimentazione sorvegliata e persino i loro genitori, al primo starnuto, devono indossare la mascherina. Li chiamano “bambini-bolla” e sono costantemente in pericolo di vita. Schana è la prima bambina al mondo a essere stata trattata con Strimvelis, una terapia genica a base di cellule staminali ingegnerizzate, da quando il farmaco un anno fa è uscito dalla fase sperimentale ed è entrato in commercio, dando a Schana e agli altri bambini colpiti da ADA-SCID la possibilità di sopravvivere.

Schana oggi sta bene ed è tornata a casa, in Germania, insieme ai suoi genitori. Rolan e Shevan sono siriani, di una zona a nord-est del Kurdistan. La mamma, Rolan, arriva in Germania nel 2013, quando aveva solo 19 anni, in fuga dalla guerra. Shevan la raggiunge un anno dopo e in un caldo pomeriggio del luglio 2016 nasce Schana. Dopo nove giorni alla piccola viene diagnosticata l’ADA-SCID: non è semplice per i medici tedeschi far comprendere ai genitori che la bambina è colpita da una malattia genetica rara così grave, perché all’apparenza Schana sta bene e non mostra alcun disturbo. Schana viene trasferita in un centro specializzato ed è qui che la sua strada incrocia Fondazione Telethon, l’Italia, il lieto fine.

Da qui in avanti è Maria Pia Cicalese a raccontare la storia di Schana: pediatra e ricercatrice presso l’Unità di Immunoematologia Pediatrica dell’Ospedale San Raffaele e professoressa a contratto dell’Università Vita–Salute San Raffaele, è lei che ha seguito Schana nel suo lungo ricovero a Milano. L’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano è l’unico posto al mondo in cui – almeno per il momento – i bambini bolla possono essere curati. La terapia si chiama Strimvelis ed è un successo tutto italiano, sviluppato nell’ambito di un’alleanza stretta nel 2010 fra IRCCS Ospedale San Raffaele, Fondazione Telethon e GSK. Il cammino che ha portato al farmaco è iniziato però molto prima, da quando a partire dal 2000 all’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) 18 bambini hanno ricevuto il gene corretto in laboratorio prima dell’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco, arrivata alla fine di maggio del 2016 ed alla sua commercializzazione in Italia (agosto 2016).

Cinque giorni, dal lunedì al venerdì, tanto basta per cambiare il destino di questi bambini. Il lunedì dal midollo osseo del paziente vengono prelevate delle cellule staminali, che vengono geneticamente corrette in laboratorio. Il venerdì quelle cellule nuove vengono reinfuse nel bambino, one shot, attraverso un catetere venoso centrale: «è un momento molto emozionante per noi e per la famiglia, un’infusione di 20 minuti che cambia la vita, una soluzione trasparente che all’apparenza sembra acqua e invece è un concentrato di cellule staminali geneticamente corrette, che trovano la strada verso il midollo osseo, attecchiscono e danno vita a cellule figlie sane, conferendo al paziente una immunità valida che prima non aveva», racconta con semplicità la dottoressa Cicalese. Un processo che si può eseguire solo al San Raffaele perché il farmaco è specifico per ogni paziente, derivato dalle sue stesse cellule staminali. «Noi abbiamo il vantaggio di poter fare tutto in casa: preleviamo le staminali dal midollo osseo e le consegniamo alla società di biotecnologie mediche MolMed (fisicamente nel nostro istituto), che provvede alla correzione genica e ci restituisce le cellule corrette il venerdì, con una ”scadenza” di poche ore compatibile con il trasporto in reparto e l’infusione nel paziente». Attorno a quei cinque giorni però c’è un lungo processo sanitario precedente e successivo, che dura dai quattro ai sei mesi. C'è una parte di burocrazia legata al fatto che i bambini provengono da tutto il mondo e la necessità di un ricovero di almeno un mese e mezzo, in una stanza sterile: tanto serve perché le nuove cellule staminali arrivino al midollo osseo e ripristinino le conte dei globuli bianchi a livelli accettabili. Un periodo lungo di rinascita, in cui ad accompagnare le famiglie ci sono anche psicologi e mediatori culturali, «che fanno molto più che non la traduzione nella lingua nativa della famiglia».

Quello della reinfusione un momento molto emozionante per noi e per la famiglia, sono 20 minuti che cambiano la vita. È una soluzione trasparente che sembra acqua e invece è un concentrato di cellule staminali geneticamente corrette, che trovano la strada verso il midollo osseo, attecchiscono e danno vita a cellule figlie sane, conferendo al paziente una immunità valida che prima non aveva

Maria Pia Cicalese

Il giorno della dimissione dal reparto, per Schana è stato letteralmente il primo giorno di una nuova vita. «Cambia l’approccio con la vita di tutti i giorni, cambia il rischio di infezioni, perché il sistema immunitario diventa competente e riesce a far fronte progressivamente alle infezioni più banali, come un raffreddore, così come alle malattie più severe, come il morbillo o la varicella. Cambia la possibilità di stare all’aria aperta, in comunità, di essere vaccinato, di andare a scuola… L’ADA-SCID è tra le immunodeficienze più severe al mondo», racconta la dottoressa. Lo screening neonatale per l’ADA-SCID oggi è disponibile solo in alcune regioni d'Italia, ma è fondamentale identificare molto precocemente la malattia e trattare il bambino prima dello sviluppo di infezioni o complicanze d’organo, che potrebbero precludere il trattamento con la terapia genica. Il momento ideale per il trattamento con Strimvelis sarebbe attorno ai sei mesi, quando la malattia, se precocemente diagnosticata e “stabilizzata”, non ha ancora danneggiato l’organismo del bambino. La filiera però è complessa: dapprima il paziente viene sottoposto a terapia enzimatica sostitutiva, con un farmaco estremamente costoso e non disponibile in tutti gli stati. Non è disponibile in Siria ad esempio, né in Egitto, che è il Paese di provenienza del secondo bambino trattato a Milano, a giugno. «Anche la sua è una storia molto toccante: abbiamo provveduto a recuperare il la terapia enzimatica sostitutiva per stabilizzare il paziente e poi un secondo farmaco per curare una grave infezione e solo dopo tutto ciò abbiamo potuto effettuare il trattamento con Strimvelis. Il bimbo è ancora da noi e tornerà in Egitto alla fine di settembre, dopo il periodo di follow up successivo all’intervento», spiega la dottoressa. Una storia complessa ma con il lieto fine.

Non per tutti è necessaria la cura con Strimvelis: se c’è un fratello pienamente compatibile, questo può donare al paziente le sue staminali. La piena compatibilità di un donatore familiare però si verifica in meno del 20% dei casi, per tutti gli altri l’opzione alterativa è la terapia genica. Quindi sì, c’è ancora molto molto da fare

Maria Pia Cicalese

«Abbiamo altri 3 pazienti italiani candidati al trattamento per i prossimi mesi. Nel 2017, il primo anno, arriveremo quindi a 5/6 casi trattati», ipotizza la dottoressa Cicalese. Un successo bellissimo, ma ancora una goccia dinanzi ai circa 25 bambini che ogni anno nascono con ADA-SCID solo fra USA ed Europa. L’incidenza è di 0,17/0,55 ogni 100mila nati vivi. «Non per tutti è necessaria la cura con Strimvelis: se c’è un fratello pienamente compatibile, questo può donare al paziente le sue staminali. Questo tipo di trapianto riesce molto bene e rappresenta la prima opzione di trattamento, ma la piena compatibilità di un donatore familiare si verifica in meno del 20% dei casi, pertanto, in tutti gli altri pazienti, l’opzione alterativa è la terapia genica. Quindi sì, c’è molto molto da fare», ammette la dottoressa Cicalese, «abbiamo colleghi da tutto il mondo che ci riferiscono di pazienti con ADA-SCID, stiamo accelerando i processi di negoziazione con i singoli Stati e le procedure per il trasferimento dei bambini e delle loro famiglie in Italia per il trattamento, tutto questo anche grazie a Fondazione Telethon. Molto dipende dalla tempestività della diagnosi, che varia anche a seconda della parte del mondo dove nasce il bambino e purtroppo ci sono ancora decessi per malattia non diagnosticata. Stiamo lavorando tanto, invece, sulla fluidità dei passaggi che consentono al paziente di arrivare a noi da un altro Paese, e questo processo è sempre più rapido».

E dopo Strimvelis per l’ADA-SCID, cosa ci riserva la terapia genica? «Si sta lavorando con vettori virali di nuova generazione, in particolare sulla leucodistrofia metacromatica e sulla sindrome di Wiskott-Aldrich. Per queste due terapie è terminata la fase sperimentale del farmaco, siamo in attesa della sottomissione all’EMA dei nostri dati e speriamo nella loro commercializzazione a breve».


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