Arginare la violenza
La notte di un 15enne ostaggio dei suoi coetanei: chi ha perso davvero?
Tre ragazzi tra i 14 e i 16 anni sono accusati di aver preso in ostaggio e torturato per una notte un coetaneo a Torino. Un episodio forte, ancora di più se visto da vicino. Lo confermano i presidenti di due cooperative sociali che ogni giorno in quel territorio lavorano con i giovani: «Non si tratta di etichettare la violenza o di dare un nome a ciò che ci fa paura. Qui si tratta di chiedersi perché non riusciamo ad agganciare chi sfugge ai luoghi formali e informali di educazione o partecipazione»
Un gruppo di ragazzi tra i 14 e i 16 anni accusati di aver preso in ostaggio e torturato per una notte un 15enne che nelle cronache viene definito “fragile”. C’è tutto quello che non vorremmo leggere nella notizia apparsa ieri mattina sui quotidiani nella sezione dedicata alla cintura di Torino. C’è l’episodio in sé e ci sono le parole, due in particolare, che si rincorrono. Ma che cos’è una baby gang? E che cosa significa l’aggettivo fragile?

Un episodio forte, visto da vicino
Fabio Di Falco è il presidente della cooperativa Madiba, sede a Beinasco, undici anni di storia su tutto il territorio piemontese con uno sguardo sempre rivolto ai giovani. «Sviluppiamo progetti e servizi su tre marco aree», spiega: «politiche educative rivolte a bambini e adolescenti con focus sulla consapevolezza emotiva e la creatività; politiche giovanili, attraverso la gestione di centri di aggregazione e scambi internazionali nell’ambito del programma Erasmus +; sviluppo di comunità».
La prima reazione, dice, «è il rammarico». Poi aggiunge: «È un episodio forte, ne abbiamo sentiti nell’ultimo anno, ma questa volta è diverso perché è anche prossimo, vicino a noi. Ci ha fatto riflettere sulle criticità che intercettiamo ogni giorno e su cui incontriamo resistenze, muri e ostacoli da superare». Quali sono? «Il raccordo sempre più debole tra famiglia e scuola, a cui viene riconosciuto un ruolo di controllo più che educativo: manca un’alleanza solida in grado di tenere in equilibrio le situazioni più difficili. È qualcosa su cui ci confrontiamo spesso con i dirigenti scolastici, così come la scarsa consapevolezza emotiva che vediamo nei ragazzi. Mancano l’educazione all’affettività e l’abitudine a prendere coscienza delle proprie emozioni».
Non c’è un’etichetta per la violenza
C’è un altro aspetto su cui Di Falco si è ritrovato a riflettere insieme ai suoi colleghi. «Alcuni giornali hanno scritto che la giovane vittima ha una disabilità, altri hanno usato il termine invalidità, oggi si legge disturbo dell’attenzione. Il senso è un altro: riguarda il modo con cui ci confrontiamo con la vulnerabilità e la capacità che abbiamo di coglierla, in tutte le forme in cui si manifesta». Il gruppo di lavoro di Madiba, aggiunge il presidente, non ama il termine baby gang: «Non si tratta di etichettare la violenza o di dare un nome a ciò che ci fa paura. Qui si tratta di chiedersi perché non riusciamo ad agganciare chi non accede ai luoghi formali e informali di educazione o partecipazione».

È al mondo adulto che si rivolge. «C’è una generazione di ragazzi che manifesta dei bisogni e ci sono bisogni che non vengono letti né ascoltati. L’invito a prendersi maggiormente cura dei ragazzi non è un richiamo al mondo adulto inteso come famiglia ma al mondo adulto inteso come comunità. È faticoso, richiede un lungo lavoro di mediazione, ma dobbiamo prenderne consapevolezza. Madiba era il nome attribuito a Nelson Mandela nella sua tribù di appartenenza. Una delle sue frasi a cui siamo più affezionati si trova nelle nostre agende e sui nostri murales: l’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo. Usiamola».
Avete mai chiesto ai ragazzi se sono felici?
La cooperativa sociale Educazione Progetto è attiva tra Moncalieri e i comuni limitrofi. «Ci occupiamo di politiche giovanili, per l’infanzia e la genitorialità», spiega il presidente Vittorio Saraco. «Di fronte a episodi come questo, ci domandiamo: dove avremmo potuto incrociare questi ragazzi?».
La risposta è nei progetti, uno su tutti Chiedimi se sono felice, un percorso di due anni sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo dedicato al benessere e all’ascolto dei giovani. Lo spiega Barbara Pagnoni, responsabile Politiche giovanili della cooperativa: «Abbiamo creato e diffuso un questionario sul benessere dei giovani di età compresa tra i 12 e i 25 anni. L’indagine ha coinvolto 905 ragazzi residenti in sei comuni della cintura di Torino (Moncalieri, La Loggia, Trofarello, Vinovo, None e Candiolo), con l’obiettivo di esplorare come percepiscano la propria salute psico-fisica e la qualità delle loro relazioni».

I risultati ci dicono che «tre su quattro vivono uno stato di stress legato alla scuola, al lavoro e anche all’inattività, due su tre hanno dichiarato che la salute mentale è ancora un argomento tabù tra coetanei. Quello che notiamo è la diminuzione di competenze sociali: mancano momenti di socialità libera senza un approccio prestazionale». Per questo, aggiunge Saraco, «stiamo sperimentando modi nuovi per sviluppare le comunità locali, per arginare quel senso di solitudine che accomuna giovani e adulti».
Per Gianclaudio Santo, responsabile della Progettazione, «costruire contesti di comunità “positiva”, accoglienti e capaci di ascolto, può coinvolgere anche chi, di fronte a una società che ci vorrebbe tutti forti, si sente fragile. La grande assente del nostro panorama umano e sociologico è proprio la comunità. Insieme alle istituzioni, ai servizi e alle reti, dobbiamo sostenerla nel riprendersi il proprio ruolo».
La fotografia in apertura è di una attività promossa dalla cooperativa sociale Educazione Progetto
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it