Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2025
La riabilitazione? Un diritto e una risposta sostenibile alla demenza
Intervento equo e concreto, che offre benefici reali nel breve e medio termine sotto l'aspetto clinico ed economico. Restituisce alle persone la possibilità di restare se stesse, anche nella malattia. Ma richiede un cambiamento culturale profondo. Alzheimer's disease international chiede ai governi di agire in modo decisivo
In un’Europa dove oltre 10 milioni di persone convivono con la demenza, l’urgenza di rivedere i modelli di assistenza è più evidente che mai. È quanto emerge dal Rapporto Mondiale sull’Alzheimer 2025 pubblicato da Alzheimer’s Disease International (Adi) e diffuso in Italia da Federazione Alzheimer, che punta i riflettori su un elemento chiave spesso trascurato: la riabilitazione. Nonostante l’ampia diffusione della demenza e la sua crescente incidenza con l’invecchiamento della popolazione, la riabilitazione continua a essere l’anello mancante nell’assistenza a lungo termine. Solo un quarto dei Paesi europei ha adottato piani nazionali per la demenza, e meno della metà di questi include esplicitamente interventi riabilitativi. «La riabilitazione non è un optional, è un diritto», ha affermato Paola Barbarino, Amministratore Delegato di Adi.
Il rapporto denuncia come la mancanza di consapevolezza e comprensione su cosa significhi riabilitazione per una persona con demenza sia uno degli ostacoli principali alla sua diffusione. L’idea comune associa la riabilitazione alla fisioterapia dopo un incidente o una malattia acuta, ma nel contesto della demenza questo concetto assume forme diverse e più complesse, che vanno dalla riabilitazione cognitiva a quella visiva, spaziale e persino relazionale. Interventi di aggiustamento degli ambienti, degli spazi interni ed esterni e dei comportamenti e linguaggi, che tengono conto dei cambiamenti fisici, percettivi e cognitivi della persona con Alzheimer.
Un approccio personalizzato e centrato sulla persona
A differenza di altri trattamenti, la riabilitazione nella demenza non è standardizzabile, ma richiede un intervento su misura, calibrato sulle capacità residue, gli obiettivi e le esigenze individuali. Come sottolinea il rapporto Adi, «la chiave dell’efficacia è l’intervento personalizzato, indipendentemente dal tipo di demenza diagnosticata». Questo approccio centrato sulla persona mira a mantenere l’autonomia, ricostruire competenze quotidiane e rafforzare il senso di identità e appartenenza. Non si tratta solo di imparare di nuovo a preparare il tè o a gestire l’igiene personale, ma di aiutare la persona a riconquistare il proprio spazio nel mondo: a casa, nella comunità, e persino nel lavoro, laddove possibile. La definizione di obiettivi realistici, come dimostrato in diversi progetti pilota in Irlanda e nei Paesi Bassi, favorisce non solo il recupero funzionale, ma anche il benessere psicologico, riducendo il senso di inutilità e isolamento spesso associato alla diagnosi. In Francia, uno studio biennale ha evidenziato che un percorso di riabilitazione cognitiva ha permesso alle persone con demenza di restare nelle proprie abitazioni per sei mesi in più prima del ricovero in strutture residenziali.
Oltre la farmacologia: la riabilitazione come scelta sostenibile
L’attenzione mediatica e politica sulla demenza si è concentrata, negli ultimi anni, sui nuovi trattamenti farmacologici anti-amiloide, che promettono di rallentare la progressione della malattia. Tuttavia, questi farmaci restano inaccessibili per la maggior parte delle persone nei Paesi a basso e medio reddito, e non sono comunque adatti a tutti i pazienti. Inoltre, la comunità scientifica concorda: una cura definitiva per la demenza è ancora lontana. In questo scenario, la riabilitazione rappresenta una risposta concreta, sostenibile ed equa, capace di offrire benefici reali nel breve e medio termine. Non solo riduce il carico sui caregiver e sui servizi sanitari, ma consente alla persona con demenza di vivere in modo più indipendente, ritardando la necessità di istituzionalizzazione e migliorando la qualità della vita. «Troppo spesso sentiamo racconti di persone a cui, subito dopo la diagnosi, viene detto di tornare a casa e mettere in ordine le proprie cose», afferma Paola Barbarino, Ceo di Adi. «Ma con il giusto supporto, molte persone possono vivere bene per molti anni. È tempo di offrire la riabilitazione come parte ordinaria dell’assistenza, al pari di quanto accade per le malattie cardiovascolari o respiratorie».
La riabilitazione secondo l’Oms
La World Health Organization definisce la riabilitazione come un insieme di interventi che mirano a ottimizzare il funzionamento e ridurre l’impatto di una condizione sanitaria sulla vita quotidiana. Questo approccio sposta il focus della sanità pubblica dal trattamento e dalla prevenzione alla piena partecipazione sociale dell’individuo, assicurando che le persone con patologie — croniche, acute o legate all’età — possano continuare a studiare, lavorare e svolgere ruoli significativi nella società. Questo vale anche per la demenza. Secondo l’Oms, «chiunque può avere bisogno di riabilitazione a un certo punto della propria vita», che si tratti di un infortunio, una malattia neurodegenerativa o un semplice calo delle funzioni con l’età. Tuttavia, nei fatti, le persone con demenza vengono spesso escluse da questi percorsi. In molte regioni europee, specialmente nel Sud e nell’Est del continente, i servizi di riabilitazione sono carenti o inesistenti, con conseguenze gravi sulla qualità dell’assistenza e sulla dignità della persona. Il risultato è una disuguaglianza di accesso inaccettabile, che nega a milioni di persone il diritto di continuare a vivere con pienezza.
Una sfida culturale e politica per il futuro dell’Europa
Oltre all’aspetto clinico ed economico, l’introduzione sistemica della riabilitazione per la demenza richiede un cambiamento culturale profondo. È necessario superare l’idea, ancora troppo diffusa, che dopo una diagnosi di demenza “non ci sia più nulla da fare”. Al contrario, la riabilitazione dimostra che c’è molto da fare, sin dai primi stadi della malattia. In questo senso, Adi chiede ai governi europei di agire con decisione: non solo integrando la riabilitazione nei piani nazionali, ma formando operatori sanitari, investendo in servizi territoriali e sensibilizzando l’opinione pubblica. Solo così sarà possibile garantire una presa in carico dignitosa, continua e centrata sulla persona. «La riabilitazione ripristina il senso di identità e di scopo», conclude Barbarino. «Anche i più piccoli miglioramenti possono trasformare la vita». La riabilitazione restituisce alle persone la possibilità di restare se stesse, anche nella malattia. In un contesto dove i costi della demenza rischiano di diventare insostenibili per le famiglie e per i sistemi sanitari, la riabilitazione rappresenta una strategia responsabile, umana e lungimirante. È tempo che l’Europa raccolga questa sfida.
Foto di Laura Adai su Unsplash
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