Pedagogia senza età

L’adulto che siamo, il bambino che siamo stati: a tu per tu con Daniele Novara

Quanto pesa, nell'adulto che siamo, il bambino che siamo stati? A Cagliari, alla conferenza nazionale "Aprire Orizzonti 2025" promossa dalla cooperativa sociale Casa Emmaus, il pedagogista ha evidenziato l’importanza della ribellione, del litigare bene, dell'imparare a stare nei conflitti gestendoli bene. Competenze che si imparano da bambini e che fanno la differenza nella vita adulta. Ma che anche "da grandi" si possono imparare. «L’adulto deve togliere innanzi tutto e poi recuperare gli elementi positivi della sua esperienza e su quello sviluppare nuove competenze», dice

di Luigi Alfonso

«Un adolescente che parla solo con la mamma è un caso clinico». «La violenza dei ragazzi di oggi? Un dato empirico ci dice che non sono più violenti di quelli delle generazioni precedenti. E di certo non sono più ribelli. Fanno più fatica a stare insieme, questo sì, perché i social li isolano». «I genitori devono cercare di evitare l’intimità con gli adolescenti: quella puoi averla con i bambini, ma i ragazzi hanno e devono avere la loro vita fuori dalla famiglia».

Le parole di Daniele Novara, pedagogista, direttore del Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – Cpp di Piacenza, vanno sempre dritte al punto. In questi giorni è intervenuto a Cagliari per “Aprire Orizzonti 2025”, la conferenza nazionale che la cooperativa sociale Casa Emmaus di Iglesias propone da parecchi anni a questa parte. Il tema era particolarmente intrigante: Il bambino del passato e/è l’adulto del presente.

Il pedagogista Daniele Novara durante il suo intervento a Cagliari

«Quando sento nel mio studio qualche genitore che dice: “Voglio avere un bel rapporto con mio figlio”, faccio subito presente che a 17 anni è impossibile. L’adolescente “normale” è agitato, c’è niente da fare. L’adolescente “anomalo” è quello che si isola nella cameretta. Bisogna proccuparsi per gli adolescenti che sono troppo tranquilli, perché sotto l’apparenza può esserci qualcosa di problematico, qualche nodo da affrontare: intendo dire che è normale, alla loro età, essere ribelli e provocatori. Ben venga la ribellione», sottolinea.

Però noi continuiamo a volere dei ragazzi che stiano “zitti e buoni”…

L’atteggiamento remissivo, come dicevo prima, è abbastanza anomalo per un adolescente. L’imprevidibilità nei ragazzi è la norma, ed è pure un bene che sia così, perché questo valorizza la plasticità neurocerebrale. La società contemporanea sta sprecando questo aspetto: da sempre i ragazzi sono stati i motori del cambiamento. Il fatto che i giovani non vadano più a votare è una tragedia, non è astensionismo. Significa che la società non si rinnova. Le rivoluzioni storicamente le facevano gli adolescenti, compresa la Resistenza. Oggi invece si ritirano. Le loro emozioni si concentrano sulla refrattarietà, sulla riluttanza. A mio giudizio questo è un problema più serio del calo demografico, perché si crea un buco generazionale.

Eppure, sembra che qualcosa si muova in senso opposto. Non è un buon segnale vedere tanti giovani che sono scesi in piazza a manifestare per chiedere la pace?

L’adolescente ha un senso della giustizia che noi adulti non abbiamo più. È un fenomeno ampiamente studiato da parte di chi si occupa di pensiero morale. Nei ragazzi le reazioni a volte sono molto accentuate, ma proprio per un eccesso di giustizia. La causa dei bambini palestinesi ha acceso i loro animi, giustamente, ma non è detto che questo poi si trasformi necessariamente in un maggior senso di appartenenza politica, civile, sociale, comunitaria. Senza dubbio c’è il tema di una certa mediocrità politica che non accende di certo le passioni dei giovani. probabilmente serve un ricambio generazionale che però deve portare un cambio di paradigma, non essere semplicemente un elemento biologico.

Lei da anni si occupa dei conflitti relazionali, gira l’Italia per fare capire e genitori e docenti che insegnare a gestire i conflitti significa crescere adulti più sicuri e più felici. Non dobbiamo temere, quindi, nemmeno il conflitto con i nostri figli adolescenti?

La rottura degli schemi infantili è tipica dell’adolescente, che non vuole più essere bambino ed essere trattato come tale. Vuole fare da solo, vuole stare nel suo gruppo. Non sopporta le smancerie. Resto sempre allibito quando sento chiamare ragazzoni di 14 anni “tesoro”, “amore”. Qualche mamma lo fa persino con figli di 17 anni. Ovviamente, molti ragazzi si difendono dicendo: mollami, non ce la faccio più, sei insopportabile. È nell’ordine delle cose, vogliono allontanarsi. Volerli tenere appresso a tutti i costi, diventa morbosità e c’è il rischio che si trasformi in un disturbo: un ragazzo su cinque non va a scuola e resta chiuso in camera, in balia dei social, dei videogiochi, dei siti porno misogini, meccanicistici, prestazionali, che stanno facendo danni terribili sulla sessualità, specialmente maschile. Anziché guardarsi dai maranza, su cui c’è tanto allarme, bisogna pensare a questi ragazzi isolati. E capire come riportarli a far vivere loro una socialità vera.

Lei sta conducendo una battaglia contro gli strumenti digitali e i social. È una battaglia persa in partenza?

Con Alberto Pellai, ormai un anno fa, abbiamo lanciato un appello al Governo e al Parlamento affinché si metta una regolazione degli smartphone sino ai 14 anni e dei social sino ai 16. Tutti gli Stati europei si stanno organizzando per mettere delle regole. In Italia no. A che gioco giochiamo? Il gioco del marketing o dei nostri bambini e ragazzi? Eppure, siamo riusciti a porre tutele e limiti per alcol e tabacco, dunque si può fare anche qui. Non chiediamo a nessun ragazzino di guidare un’auto a 14 anni: lo stesso criterio va assunto per la gestione di un ambiente digitale pericoloso. Il confine tra uso e abuso non si sa qual è: chi lo decide? Non basta aver messo un divieto sostanziale sull’uso dello smartphone nelle scuole. Ai genitori chi ci pensa? Li lasciamo in balia del marketing o mettiamo qualche regolamentazione?

In verità, spesso il problema parte proprio dai genitori che si affrettano a regalare un cellulare a bambini molto piccoli.

Vero. Ma in parecchie zone d’Italia, purtroppo non in tutte, c’è finalmente un cambio di passo. Molti genitori si stanno auto-organizzando, in molte aree è molto raro trovare uno smartphone tra le mani di un bambino delle primarie. Sino a poco tempo fa accadeva l’esatto contrario. È positivo il fatto che con l’appello abbiamo sollecitato il mondo genitoriale a organizzarsi autonomamente per tutelare i propri figli, vista la latenza politica.

Un momento dell’intervento di Daniele Novara

Anche sull’educazione sessuale si è più volte espresso in maniera chiara. Che ne pensa della posizione del Governo e sul fatto che la Commissione cultura della Camera ha appena approvato un emendamento che vieta ogni attività di educazione sessuale fino ai 13 anni e impone il consenso scritto dei genitori alle superiori?

L‘educazione sessuale non può essere insegnata dai genitori, perché il coinvolgimento emotivo è troppo alto e si creano situazioni imbarazzanti, promiscue. È inevitabile che poi un figlio arrivi a chiedere ai genitori: “Ma voi come lo fate?”. A quel punto la famosa educazione familiare, così amata da qualche politico, finisce alle ortiche. Abbiamo un’istituzione che è preposta per questo compito, così come a insegnare l’educazione civica ed è la scuola. Noi siamo sessualità, sempre e da sempre, persino il neonato cerca il seno della mamma innanzi tutto per una questione di piacere erotico: non possiamo fare finta di nulla. La scuola, tra la quinta elementare e la prima media, deve offrire ai ragazzi e alle ragazze le coordinate per imparare a stare insieme, innanzi tutto ovviamente senza farsi del male l’uno con l’altro, ma anche per sentire l’incontro con persone dell’altro sesso come un momento di gioia, di felicità. I siti porno invece stanno addestrando generazioni di maschi ad una sessualità oppressiva e performativa: rischiano di diventare mine vaganti nelle relazioni di coppia.

Scuola e famiglia però devono dialogare. O no?

Sì, ma la famiglia non è la stampella della scuola. Quest’ultima è il luogo in cui esiste la comunità di apprendimento, lì si va a imparare. La famiglia deve creare le condizioni per far andare bambini e ragazzi a scuola adeguatamente. Per esempio facendo dormire i propri figli per un tempo congruo. Sembra una banalità, ma assistiamo da qualche anno ad un fenomeno terribile: i bambini dormono sempre meno, molto meno di quello che il loro cervello e il loro sviluppo evolutivo ha bisogno. Molte scuole materne hanno pressoché abolito il pisolino pomeridiano per i bambini di 3-4 anni e a casa i bambini vanno a letto sempre più tardi. Per non parlare degli adolescenti tra gli 11 e i 14 anni e della confusione di led e schermi – di cellulare, videogiochi, tv – a cui sono incollati fino a un secondo prima di dormire. Come fanno a dormire? Arrivano a scuola in condizioni drammatiche, anestetizzati. Ecco, forse questo è un fuori tema, ma per dire che scuola e famiglia hanno ruoli diversi ma complementari.

Prima ha fatto accenno al calo demografico. È solo un problema di natura economica?

Il mio è un osservatorio molto particolare, faccio 50 appuntamenti al mese con scuole e genitori, da trent’anni. Entro nella vita concreta del rapporto tra genitori e figli. I genitori oggi sono in estrema difficoltà. La situazione demografica in Italia è drammatica, lo sappiamo e anche le persone di origine straniera stanno contribuendo in maniera minore rispetto al passato. Ma lo sport nazionale preferito sembra essere “il tiro al genitore”: qualsiasi cosa accada, la colpa attribuita ai genitori. Che però non hanno nessun aiuto, nè dal punto di vista economico, né da quello pedagogico. Tanti anni fa dicevo che in ospedale alle neomamme dovrebbero regalare un kit pedagogico, non un kit di cremine, perché la vita non è fatta di cremine. Per esempio: il 30 per cento dei genitori italiani si separa, eppure le separazioni non hanno alcuna gestione pedagogica, nonostante siano solitamente presenti dei figli. Ecco, questo è un esempio lampante della solitudine educativa in cui sono stati abbandonati i genitori.

La presidente della cooperativa sociale Casa Emmaus, Giovanna Grillo

E sui femminicidi? Anche in questo caso c’è un difetto di educazione al conflitto?

Non c’è alcun dubbio. Il femminicida è un carente conflittuale, cioè incapace di tollerare la differenza, la discordanza, il contrasto, perché non ha ricevuto un’adeguata educazione in proposito. Non è stato educato alla gestione dei litigi: se provava a litigare con un altro bambino, probabilmente lo hanno riempito di botte oppure lo hanno colpevolizzato. O, più semplicemente, gli sarà stato detto che non doveva litigare. Quando, in occasione di certi casi di cronaca che riportano di violenze e anche di omicidi sento frasi del tipo “è incredibile, da piccolo non litigava mai!”, io dico che il problema è esattamente questo. Se non impari a litigare, che cosa fai quando una ragazza ti lascia? Non reggi, né sotto il piano psichico né su quello emotivo. Non è una giustificazione, sia chiaro, bensì una responsabilità. Ho inventato il metodo “litigare bene” che aiuta i bambini a gestire i litigi, senza cercare un colpevole. Questa è la base della vita: imparare a stare nelle discordanze relazionali. L’antidoto alla guerra è imparare a stare nei conflitti gestendoli bene, con una buona comunicazione e non attraverso la rabbia.

Molti adulti si trascinano questi difetti per tutta la vita, che poi è il titolo del tema che ha portato qui a Cagliari. In Non sarò la tua copia. Liberarsi dai pesi dell’infanzia per costruire la vita che desideriamo scrive che «la prima parte della vita è “sopravvivere” all’infanzia. La seconda parte della vita è (cercare di) diventare sé stessi».

Anche gli adulti possono imparare, pur se in maniera completamente diversa dai bambini e dai ragazzi. L’adulto deve togliere, innanzi tutto, e poi recuperare i precedenti positivi della sua esperienza e su quello sviluppare nuove competenze. Nella nostra scuola di counselling abbiamo allievi over70. Non è mai troppo tardi per imparare. Dell’età adulta conosciamo poco e niente, la stiamo studiando relativamente da poco. Ecco perché forse non riusciamo ancora a dare al mondo adulto le indicazioni giuste. Occorre un atteggiamento scolastico, di apprendimento. Per tutta la vita.

L’8 novembre a Piacenza, è in programma il convegno nazionale del Cpp, dal titolo “Vivere bene i conflitti per stare in salute”.

È un appuntamento importantissimo. Abbiamo capito che la salute mentale e fisica dipende anche da come si gestiscono i conflitti. È una nuova frontiera, una linea di ricerche che io e il mio staff stiamo approfondendo. I risultati si vedono sui nostri allievi, diventa un anticorpo importante per la loro salute e quella dei figli. Questo metodo va al di là dell’approccio meccanicistico della psicosomatica. Nel corso del convegno, che sarà trasmesso anche in streaming, presenteremo una ricerca condotta su 2.300 genitori: verranno fuori dati molto interessanti.

La foto d’apertura è da CPP, le altre foto sono dell’autore del servizio

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