Usa

L’arte fa luce sulle vergogne americane

Con un libro dal taglio molto originale Fabrizio Tonello esplora la storia del Paese partendo da 18 quadri custoditi al Whitney Museum di New York. Un viaggio affascinante e anche impietoso che svela ingiustizie e contraddizioni alle origini di una grande potenza

di Giuseppe Frangi

Edward Hopper oggi è uno degli artisti più popolari e più amati del secolo scorso. Ma c’è stato un momento in cui Hopper è stato recepito come artista “pericoloso”: nel 1949 un collezionista che aveva acquistato un suo quadro famoso “Conference in the night” lo aveva restituito al gallerista perché appena lo aveva portato a casa la moglie lo aveva ritenuto «un po’ troppo una riunione comunista». Nel quadro si vedono tre persone che discutono in uno stanzone vuoto, illuminato dal sole che entra dalla finestra: parlano animatamente, ma è assai improbabile che Hopper volesse rappresentare quello che la ricca collezionista sospettava, visto che lui era un conservatore convinto.

Questa di Hopper è una delle tante storie raccontate da Fabrizio Tonello, collaboratore del “Manifesto” e anche di “VITA”, grande conoscitore della realtà americana, nel suo nuovo libro. Un libro, “L’America in 18 quadri” (Laterza, 20 euro), molto originale che partendo da 18 quadri di artisti statunitensi guida il lettore in altrettanti approfondimenti di situazioni emblematiche della storia americana. C’è un fattore molto significativo che unisce le 18 opere scelte per attivare questi carotaggi nel passato ma anche nel presente: appartengono tutti alle raccolte del Whitney Museum di New York, un museo inaugurato nel 1931 per raccogliere e quindi anche sostenere l’arte della nuova nazione. Fondatrice del museo era stata un’erede di una famiglia che aveva fatto un’immensa fortuna sbarcando oltre Oceano. Si chiamava Gertrude Vanderbild e discendeva da quel Cornelius che un secolo prima aveva investito sul sistema ferroviario e su quello del trasporto marittimo. Gertrude aveva poi sposato un discendente di un’altra famiglia diventata ricchissima, i Whitney, e si era data con molta determinazione a sostenere gli artisti americani. Le opere del museo da lei fondato e che oggi è ospitato in un edificio progettato da Renzo Piano, oggi sono come i “frame” di un film che racconta la storia americana nei suoi risvolti più contradditori. 

Grazie al lavoro di scavo di Tonello il museo si trasforma in un boomerang per i suoi stessi fondatori. Prendiamo il caso di un’opera come “Cotton Pickers” dipinta da Caroline Speare Rohland nel 1939. Documenta la fatica dei raccoglitori di cotone e permette di ricostruire una produzione che è all’origine della fortuna americana: grazie allo schiavismo infatti era stata battuta la concorrenza di tutti gli altri paesi produttori permettendo di accumulare immense ricchezze sia ai grandi proprietari del Sud del paese sia ai commercianti del Nord. Ebbene, il boom del cotone era stato possibile grazie all’invenzione da parte di uno dei Whitney della “cotton gin” la macchina che permetteva di separare le fibre del cotone dal loro seme. Involontariamente aveva stimolato l’arruolamento di schiavi per aumentare la produzione: nel 1830 per la coltivazione del cotone erano quasi un milione. Nel Museo un’altra opera datata 2021 ricorda quella situazione di cinico sfruttamento: si intitola “Price per pound” ed è una semplice bilancia usata per pesare il cotone. L’artista Cameron Rowland l’ha voluta esporre nella sua nudità proprio per ribadire il drammatico paradosso di una nazione che stritolando la vita di milioni di schiavi ha costruito l’immensa fortuna di pochi.

Le opere del Museo diventano spunto per viaggiare nella storia e raccontare di personaggi che l’hanno segnata anche in positivo, come il sindacalista Pat Whalen, impegnato nella difesa dei diritti dei lavoratori portuali e che possiamo conoscere grazie ad un bellissimo ritratto di Alice Neel del 1935: lo vediamo in posa rocciosa, con i pugni appoggiati sulla pagine di un giornale che annuncia lo sciopero. L’arte infatti in tanti casi diventava un fenomeno di resistenza, come nel caso di tanti murales realizzati in occasione del Work s of Art Project lanciato dal governo nel 1933 per aiutare gli artisti e favorire la realizzazione di oper pubbliche. In alcuni casi incorsero nella censura, come l’affresco di Rivera che aveva incluso surrettiziamente un ritratto di Lenin. In altri casi sfuggirono abilmente alle maglie dei controllori: alla Coit Power di San Francisco dove lavorarono 22 artisti si posson scoprire tanti scherzetti giocati alla censura. Nel grande pannello intitolato Library dipinto da Bernard Zakheim si vede un utente confuso tra i tanti che prende dallo scaffale il Capitale di Marx e straccia con l’altra mano un giornale capitalista…

Fabrizio Tonello presenta il suo libro in dialogo con Elio De Capitani, giovedì 6 novembre al Teatro Elfo Puccini di Milano (ore 18,30).

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