Inclusione

Lavoro in centro e una roulotte come casa: la mia vita da “zingara”

Sono 300 i sinti presi in carico dalla cooperativa Società Dolce di Bologna. Caterina è una di loro, è giovane, vive in uno dei due campi di periferia e lavora in centro città. Non sono tanti quelli che ce l'hanno fatta. L'educatore Alessandro Longhi, spiega: «Diamo loro strumenti e autonomia per costruire una vita migliore»

di Silvia Vicchi

Caterina, jeans e top nero, ballerine, capelli legati, è bellissima. È sera e ha terminato il turno di lavoro in un’elegante profumeria del centro di Bologna. Scende dalla corriera extraurbana e attraversa un piazzale dove sostano roulotte e case mobili, ferro vecchio, pneumatici, indumenti stesi e un braciere acceso. Siamo in periferia, dove sorge una delle due aree sosta sinti gestite dal consorzio L’Arcolaio per Asp Città di Bologna. 

Caterina, 19 anni, vive qui, in una casa mobile pulitissima, con la madre, le sorelle e i fratelli. Solo i due più piccoli di 6 e 8 anni vanno a scuola, quello di 16 anni ha abbandonato e la sorella di 18 si sposerà a primavera: «Noi nasciamo e cresciamo pensando che il nostro modo di vivere sia normale»,  dice «e ci accorgiamo di essere “zingari” quando iniziamo la scuola, dove siamo etichettati, emarginati e bullizzati. È un trauma enorme». 

Il sostegno educativo a minori e adulti

Quasi tutti i sinti lavorano in attività tradizionali, come la raccolta del ferro, o nella logistica, nella meccanica, e nell’edilizia perlopiù in nero, assunti per brevi periodi: «Nelle due aree sosta di Savena e Borgo Panigale», dice Alessandro Longhi, educatore della cooperativa sociale Società Dolce, referente dei servizi con Opengroup, «seguiamo 50 minori e 150 adulti, oltre a un altro centinaio che vive altrove. Offriamo sostegno all’abitare per ottenere una casa, educazione alla salute dove l’aspettativa di vita non supera i 70 anni, doposcuola e attività per il tempo libero, educazione alla non violenza, in una comunità patriarcale dove l’abuso di alcol e droghe è frequente e le donne sono facili vittime, percorsi di formazione al lavoro. Diamo loro strumenti e autonomia per costruire una vita migliore».

Tra famiglia e scuola

I risultati non sono sempre positivi, perché anche i lavoratori assunti faticano a mantenere il posto, tra pregiudizi e stigma. «È importante che le comunità sinti non siano lasciate sole» continua Longhi «e che la loro identità sia vista come un valore e tutelata. Un bambino della scuola primaria è stato indicato dall’insegnante su una scheda scolastica come zingaro che vive in un campo nomadi e la madre ha pianto. La nostra mediazione tra famiglia e scuola ha fatto capire che erano informazioni etichettanti e date in modo errato».

Poi, qualcuno, come Caterina, ce la fa: «Il mio sogno? È quello di tutti, qui: lasciare le aree sosta, avere una casa. Una vita normale».

In apertura foto da ufficio stampa

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