Violenze
L’Etiopia tra sterilizzazioni forzate e mutilazioni genitali. Ma il governo mette a tacere la voce delle donne
La violenza sessuale e riproduttiva è stata usata come strumento deliberato di guerra, con l’intento di impedire future nascite nella popolazione tigrina. Nonostante l’accordo di cessazione delle ostilità firmato nel 2022, le violenze sono proseguite. Il governo etiope ha recentemente sospeso cinque organizzazioni per i diritti umani, ostacolando ulteriormente il lavoro di documentazione e assistenza alle vittime
di Asmae Dachan
“You will never be able to give birth.” È questa la frase che dà il titolo al nuovo report pubblicato da Physicians for Human Rights – Phr e Organization for Justice and Accountability in the Horn of Africa – Ojah, che documenta in modo sistematico le atrocità commesse contro donne e ragazze durante il conflitto in Etiopia. Il documento, basato su oltre cinquecento cartelle cliniche, seicento questionari e decine di interviste a operatori sanitari, rivela un quadro agghiacciante: la violenza sessuale e riproduttiva è stata usata come strumento deliberato di guerra, con l’intento di impedire future nascite nella popolazione tigrina. «Queste violenze non sono state casuali», afferma Phr, «ma parte di una strategia mirata di pulizia etnica».
Nonostante l’accordo di cessazione delle ostilità firmato nel 2022, le violenze sono proseguite, estendendosi alle regioni di Amhara e Afar. Le sopravvissute raccontano di sterilizzazioni forzate, mutilazioni genitali e torture psicologiche. «Ci hanno detto che non siamo degne di generare vita», testimonia una donna citata nel report. Phr e Ojah denunciano anche le gravi lacune del processo di giustizia transizionale avviato dal governo etiope, definendolo «non conforme agli standard internazionali» e «privo di un approccio centrato sulle vittime». Le indagini indipendenti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana sono state interrotte prematuramente, cedendo – secondo gli autori – alle pressioni politiche di Addis Abeba. A peggiorare il quadro, il governo etiope ha recentemente sospeso cinque organizzazioni per i diritti umani, ostacolando ulteriormente il lavoro di documentazione e assistenza alle vittime. Phr e Ojah lanciano un appello alla comunità internazionale affinché si garantiscano indagini credibili, si sostenga la riabilitazione delle sopravvissute e si assicuri la responsabilità penale dei responsabili. «La giustizia non può essere negoziata», scrivono, «e le voci delle donne devono essere al centro di ogni processo di riparazione».
Violazioni dei diritti umani
Mentre il governo etiope cerca di rilanciare la propria immagine con riforme economiche e accordi internazionali e ospitando vertici internazionali di rilievo, come quello dell’Onu sui sistemi alimentari, che si è tenuto lo scorso luglio ad Addis Abeba, co-presieduto dal premier Ahmed Aby e da Giorgia Meloni, la realtà sul terreno continua a raccontare una storia di violazioni sistematiche dei diritti umani, impunità e sofferenza civile. Le ultime notizie confermano un quadro allarmante, che coinvolge donne, attivisti, giornalisti e intere comunità religiose. Oltre a Phr e Ojah anche Amnesty International e Human Rights Watch – Hrw muovono pesanti critiche contro il governo del Paese africano. Secondo Human Rights Watch, il governo ha rinnovato lo stato d’emergenza nella regione di Amhara, ma le sue disposizioni sono state applicate in tutto il paese. Questo ha portato a massicci arresti arbitrari, intimidazioni contro giornalisti e attivisti, e restrizioni alla libertà di movimento e comunicazione. Amnesty International conferma che cinque ong per i diritti umani sono state sospese nel 2025, tra cui l’Association for Human Rights in Ethiopia e il Centro etiope per i difensori dei diritti umani. «Lo stato d’emergenza è stato usato per reprimere il dissenso pacifico e imbavagliare l’informazione», denuncia Amnesty. Sempre secondo Amnesty, il Corridor Development Project, promosso dal governo, un vasto piano di trasformazione urbana, ha causato migliaia di sfratti forzati ad Addis Abeba e in oltre cinquanta città con preavvisi di sole 24-72 ore. Le persone sono state espulse senza preavviso né compensazione, in violazione del diritto internazionale. Quello dell’urbanistica è un problema con più sfumature. Lo scorso 1 ottobre 2025, il crollo di una struttura in costruzione nella chiesa ortodossa Arerti Mariam, nella regione di Amhara, ha causato trentasei morti e oltre duecento feriti. I fedeli stavano celebrando la festa della Vergine Maria quando la struttura è collassata. Le autorità hanno promesso indagini, ma la mancanza di regolamenti sulla sicurezza edilizia resta un problema cronico. Phr, Amnesty e Hrw chiedono che la comunità internazionale non normalizzi le relazioni con il governo etiope senza garanzie di giustizia e trasparenza. «La giustizia non può essere sacrificata sull’altare della stabilità», scrivono le ong. «Le voci delle vittime devono essere ascoltate, non silenziate».
L’emergenza umanitaria e ambientale
La popolazione etiope, oltre che sul piano dei diritti umani, si trova da anni ad affrontare un’emergenza umanitaria gravissima. Secondo l’Onu, l’Etiopia ha bisogno di due miliardi di dollari per rispondere alla crisi umanitaria del 2025, ma mancano quasi cinquecento milioni di finanziamenti. Le regioni più colpite sono Amhara e Oromia, dove l’insicurezza ostacola l’accesso ai servizi di base. Inoltre, terremoti e attività vulcanica nella regione di Afar hanno costretto oltre 80mila persone all’evacuazione, aggravando la vulnerabilità delle comunità. La firma di un memorandum con Somaliland, che consente all’Etiopia di accedere al Mar Rosso, ha avuto luogo lo scorso gennaio, inoltre, ha incrinato i rapporti con Somalia ed Eritrea. La Somalia continua a considerare Somaliland parte integrante del suo territorio e denuncia l’accordo come una violazione della sua sovranità nazionale. Le organizzazioni per i diritti umani temono che l’accordo possa aggravare la militarizzazione della regione, già segnata da conflitti armati e violazioni sistematiche. Amnesty International e Human Rights Watch hanno espresso dubbi sulla trasparenza dell’intesa, sottolineando il rischio di nuove tensioni etniche e repressioni interne. «Ogni accordo strategico deve essere subordinato al rispetto dei diritti umani e alla stabilità regionale», afferma Amnesty. Cresce purtroppo anche la tensione sul controllo delle acque del Nilo continua a crescere. La Grande Diga del Rinascimento Etiope – Gerd, costruita sul Blue Nile, è diventata il fulcro di una delle dispute più delicate del continente africano. Inaugurata parzialmente nel 2022 e completata nel 2025, la diga dovrebbe produrre 6.000 megawatt, rendendo il paese un esportatore di energia, ma quest’opera rappresenta per l’Etiopia una svolta energetica, ma per Egitto e Sudan è una minaccia esistenziale. Attualmente il 65% della popolazione etiope non ha accesso all’energia elettrica.
Credit foto: Gianluigi Guercia/Sintesi
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