Mondo
Lo scontro resta, ma non è più di civilità
Un dialogo tra Vittorio Emanuele Parsi e Paolo Branca
di Redazione

È cambiato il linguaggio. E questa è una novità importante. Ma sono tanti i nodi sul tavolo di Obama. Ne discutono due grandi espertiEra una delle grandi scommesse del dopo Bush: superare lo scontro di civiltà, vero o presunto, che comunque aveva messo l’Occidente contro il mondo povero. A che punto è Obama in questo diffciile processo di ricucitura? Vita ha messo a confronto due osservatori delle dinamiche culturali e politiche di oggi: Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica e Paolo Branca, suo collega sulla cattedra di Lingua araba.
Vita: Al Cairo nel giugno scorso Obama si era augurato un “nuovo inizio” nei rapporti con l’Islam. La realtà sembra non aver seguito quell’auspicio. Una sconfitta per il presidente Usa?
Vittorio Emanuele Parsi: Non credo. Si trattava di un necessario atto di discontinuità con la precedente amministrazione e del tentativo di giocare al meglio le sue carte. Obama ha parlato ai musulmani, non ai qaedisti. I rapporti con le società musulmane restano non facili, ma ciò è anche la conseguenza delle difficoltà che il mondo islamico ha nei confronti della modernità. Per quanto la lotta contro i terroristi debba continuare senza quartiere, il dialogo con l’islam deve essere perseguito con pari determinazione.
Paolo Branca: Io penso che non solo si è augurato “un nuovo inizio”, ma ha posto anche alcune basi che consentissero di voltar pagina. La forza d’inerzia, tuttavia, non consente a una potenza come gli Usa di cambiare rotta troppo rapidamente. Ciò che succederà nello Yemen a breve sarà un primo banco di prova concreto.
Vita: Obama paga la debolezza di linea politica e di strategia sulle aree di crisi in Medio Oriente?
Parsi: Entro certi limiti. La realtà è che molte delle questioni mediorientali sono semplicemente troppo complicate per essere risolte nei prossimi decenni. Se non fosse per la presenza di Israele, la sola democrazia della regione, per le risorse energetiche e per la lotta al terrorismo, sarebbe opportuno diminuire il nostro coinvolgimento nella regione e lasciare che gli attori locali se la vedano da soli. A questo punto una simile opzione è impraticabile, ma ciò non toglie che non esista al momento una strategia che possa davvero avere chance di successo in Medio Oriente.
Branca: Il Medio Oriente è stato definito un “puzzle inestricabile”, e paga ancora il fatto di essere stato uno dei campi dove si sono svolte le prove di forza della Guerra Fredda. Il moltiplicarsi e l’esacerbarsi di molte questioni non facilita certo il compito a nessuno che voglia in qualche modo intervenire, come del resto la paralisi europea nella regione dimostra ampiamente. Le incognite sono temibili: ad esempio una maggior democrazia interna rischierebbe di favorire i partiti islamici radicali. La fretta potrebbe essere cattiva consigliera, ma l’indecisione indebolisce: Obama ha una gatta da pelare davvero poco simpatica.
Vita: Gli Stati Uniti sono un Paese ad alta integrazione religiosa. L’islam stesso si è inserito nella società americana assai meglio che in tanti Paesi europei. Gli Stati Uniti hanno espresso alla Casa Bianca un uomo non pregiudizialmente ostile. Come si spiega questo paradosso di un Paese che deve affrontare a livello globale un conflitto che al suo interno invece non esiste?
Parsi: Pur essendo la società americana assai meno laica di quelle europee, il massimo esercizio della libertà religiosa si accompagna con un radicato rispetto del pluralismo di fede da parte delle istituzioni politiche. La libertà religiosa negli Usa è accompagnata da una diffidenza per il riconoscimento di ruolo politico alle istituzioni religiose. È una questione di fede e non di Chiese. Per il resto, è difficile nascondersi che l’America è colpita innanzitutto come superpotenza garante di un ordine globale che le forze radicali contestano; che all’interno delle società in cui l’islam è religione maggioritaria spesso questo assume una aspirazione totalitaria; che è molto più facile accusare l’imperialismo americano dei propri fallimenti piuttosto che far emergere le responsabilità delle élite politiche, culturali e religiose delle medesime società. Infine non ci si può nascondere che è la declinazione politica dell’islam ad avere per bersaglio gli Usa.
Branca: Geopolitica internazionale e questioni interne sono sempre state due partite molto diverse in America: la dinamicità della società e della cultura consentono in casa una rapidità e un’efficacia che altrove restano impraticabili. Andar per le spicce e ispirarsi al solo pragmatismo, specie in Oriente, può essere inteso come un atteggiamento arrogante e può portare più svantaggi che benefici.
Parsi: Comunque io penso che se le cose dovessero continuare in questo modo, non è detto che il conflitto non possa intrufolarsi anche dentro gli Usa. Ma per ora il patto di cittadinanza tiene.
Vita: Si può dire che, rispetto alla presidenza Bush, sia stata almeno archiviata la coincidenza tra identità cristiana e Occidente? Che oggi il conflitto ha preso connotati più prettamente politici, culturali e meno religiosi?
Parsi: Forse sì, anche se resta un fatto decisivo che rende così complicati i rapporti con il mondo islamico. La religione cristiana per circa 300 anni è stata la fede dei diseredati, il cui profeta è stato crocefisso, si è diffusa nel mondo romano senza e contro il potere politico. L’islam ha coinciso fin da subito anche con un modo di organizzazione sociale, ha vinto la sua lotta con e per il potere. Maometto e i suoi discendenti sono stati fin da subito anche capi politici. Il cristianesimo è stato culturalmente modificato dal contatto con la latinità, mentre niente di analogo, per portata, è avvenuto con l’islam. La tensione e divisione tra religione e politica è connaturata in Occidente. E questo resta problematico per l’islam. L’influenza dell’originaria regione mediorientale sul cristianesimo si è estremamente attenuata. In questo senso il cristianesimo è diventato, dal punto di vista culturale, la religione d’Occidente, e il processo di secolarizzazione ha influenzato anche le trasformazioni del cristianesimo. Tutto ciò non è successo per l’islam, che ha trasformato in dogmi usi e credenze tribali vigenti nella penisola arabica nel VII secolo. In ogni caso, per noi occidentali, laici e secolarizzati, l’idea di poter essere parte di un conflitto religioso è semplicemente impensabile, persino quando chi ci attacca è convinto di agire per finalità di carattere religioso.
Branca: Il linguaggio è senza dubbio profondamente cambiato, e a mio parere ce n’era bisogno in quanto l’elemento simbolico ha un ruolo decisivo soprattutto nei rapporti interculturali. Deislamizzare tutto ciò che non è necessariamente di natura religiosa può aiutare a sgombrare il campo da fraintendimenti e strumentalizzazioni che possono dare l’impressione di servire per serrare le righe, ma alla lunga complicano e confondono.
Vita: In Iran l’opposizione ha messo la testa fuori dal guscio. Sarà motivo di ulteriori tensioni tra Stati Uniti e mondo islamico?
Parsi: Direi di no, l’esperienza della Repubblica islamica iraniana, anche per il suo essere sciita, non è mai stata eccessivamente paradigmatica per l’intero mondo arabo e musulmano. La deriva golpista che Khamenei e Ahmadinejad hanno recentemente imposto all’esperimento iraniano lo rende un modello ancora meno interessante per tutti gli altri.
Branca: Me lo auguro anch’io. L’Iran del resto è un Paese con una società civile giovane e aperta, per nulla coincidente col regime. La debolezza e l’inaffidabilità del Pakistan, appoggiato un tempo per bilanciare l’India filosovietica, dovrebbe consentire di immaginare nuovi equilibri in Asia Centrale per i quali l’apporto persiano è sempre stato determinante.
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