Cronache russe

Nadežda Rossinskaja, 22 anni di prigione per un post sui social

È stata condannata a 22 anni di carcere per alto tradimento e favoreggiamento del terrorismo. I media statali la dipingono come una "traditrice" per aver raccolto fondi a favore di un battaglione ucraino. I media indipendenti sostengono invece che sia una vittima di un processo politico, condannata a una pena record per un singolo post su Instagram. Il caso è un esempio di repressione esemplare per intimidire il dissenso

di Alexander Bayanov

La vicenda della trentenne volontaria di Belgorod, una città russa situata al confine con Kharkiv, in Ucraina, Nadežda Rossinskaja (nota anche con il nome Nadine Geisler, pseudonimo tratto dal cognome del nonno, russo di origine tedesca), fondatrice del movimento “L’esercito delle Bellezze”, è diventata uno dei processi giudiziari più clamorosi degli ultimi anni in Russia. La donna è stata condannata a 22 anni di colonia penale con l’accusa di alto tradimento, favoreggiamento del terrorismo e appelli pubblici ad azioni che “minano l’integrità territoriale della Russia”.

La versione dei media statali: “Finanziamento ai terroristi”

La stampa propagandistica russa presenta il caso come un esempio di lotta contro i “nemici interni”. L’agenzia Tass riporta in modo asciutto: «Rossinskaja è stata inserita nella lista dei terroristi ed estremisti, accusata in base a tre pesanti articoli del Codice penale – alto tradimento (art. 275), favoreggiamento di attività terroristiche (art. 205.1) e appelli pubblici (art. 280.4)». Secondo l’accusa, avrebbe invitato su Instagram a raccogliere fondi per il battaglione “Azov”  (riconosciuto come organizzazione terroristica nella Federazione Russa), avrebbe effettuato trasferimenti di denaro e diffuso propaganda anti-russa. Rbc, Ria Novosti, Forbes Russia e Kommersant, media russi, precisano: «Rossinskaja è stata arrestata nel febbraio 2024, al suo ritorno dalla Georgia. Le è stato contestato di aver sostenuto l’esercito ucraino sotto la copertura di aiuti umanitari; gli inquirenti avrebbero trovato trasferimenti e pubblicazioni con coordinate bancarie per donazioni».

Un ruolo particolare è stato svolto dal portale propagandistico Regnum con un articolo dal titolo eloquente: “Converti l’odio in donazioni per le Forze Armate ucraine”. In un lungo testo di 14 pagine viene costruita l’immagine di una “russofoba” che si celava dietro la maschera da volontaria umanitaria.  Secondo Regnum, Rossinskaja avrebbe sempre simpatizzato per l’Ucraina, confezionato pacchi nei colori giallo e blu, intrattenuto rapporti con un funzionario dell’Sbu (Servizio di sicurezza dell’Ucraina (i servizi segreti ucraini), e avrebbe raccolto consapevolmente fondi per l’esercito ucraino. A sostegno di questa tesi, Regnum cita frammenti delle sue presunte chat private: frasi come “+1 mirino”, a indicare una raccolta fondi per un altro accessorio militare, oppure “Ci sarà più Russia morta”, o ancora “Converti il tuo dolore, paura e odio in donazioni alle Forze Armate ucraine!”. 

Sempre secondo la stessa fonte, Rossinskaja non solo organizzava aiuti, ma utilizzava anche parte dei fondi per sé stessa, e le tracce digitali dimostrerebbero una collaborazione diretta con i militari ucraini. Per questo motivo, nella narrazione dei media ufficiali e filogovernativi, Rossinskaja non è una volontaria ma piuttosto una “traditrice della Patria”, una “marionetta dell’SBU” e una “finanziatrice di terroristi”. Ad oggi Rossinskaja ha mantenuto la sua posizione, affermando di aver aiutato solo i civili e che il suo obiettivo non è la libertà a tutti i costi, ma “restare umana”. Ha anche denunciato di aver subito pressioni per ammettere colpe non sue e di essere stata ricattata.

La versione dei media indipendenti: “Una condanna record per un post su Instagram”

Un quadro del tutto diverso emerge dalle pubblicazioni dei media indipendenti – Ovd-Info, Mediazona, Meduza, SOTAvision. Secondo le loro fonti, tutte le accuse a Rossinskaja sono legate a un singolo post su Instagram (estate 2023), in cui sarebbe stato contenuto un appello ad aiutare il battaglione “Azov”. La donna ha negato di essere l’autrice dell’account, sostenendo che la pubblicazione sia stata fatta a suo nome. Ovd-Info riferisce che nell’estate 2024 sono state aggiunte nuove accuse, e nel gennaio 2025 anche quella di alto tradimento. Secondo il suo avvocato, Evgenij Rudyčev, non ci sono prove di un reale finanziamento: si tratta di una sola pubblicazione senza trasferimenti diretti di denaro. I media indipendenti hanno riportato numerosi dettagli del processo. Hanno sottolineato che il procuratore aveva chiesto addirittura 27 anni di carcere, una pena considerata record per una donna e paragonata a quella di Dar’ja Trepova, condannata per aver ucciso un corrispondente di guerra.

Il tribunale ha condannato Rossinskaja a 22 anni di carcere, più una multa di 320mila rubli (3.200 euro), un anno e mezzo di restrizioni della libertà personale e il divieto di amministrare siti web. Hanno inoltre raccontato che le condizioni di detenzione hanno avuto un impatto devastante sulla salute di Rossinskaja, che soffre di emicranie, tachicardia, perdita della vista e eruzioni cutanee, senza accesso a cure mediche, libri o anche solo alle passeggiate quotidiane. Nell’ultima dichiarazione in aula, Rossinskaja ha insistito sul fatto di aver aiutato soltanto i civili e non i militari, ricordando che in Ucraina viene comunque considerata un nemico. 

Meduza ha aggiunto un dettaglio significativo: tra i volontari circolava persino il sospetto che Rossinskaja potesse avere rapporti con l’Fsb, tanto il suo arresto sembrava dimostrativo. I media indipendenti sottolineano: il caso ha basi politiche e la condanna rappresenta un ulteriore passo nell’escalation delle repressioni.

La persona e il percorso di Rossinskaja

Anche la biografia della giovane donna viene interpretata in modi opposti. Nata nel 1995 a Temirtau, in Kazakistan, aveva vissuto nella regione di Belgorod, lavorato come fotografa e si era impegnata nella protezione degli animali. Dopo l’inizio della guerra aveva creato il movimento “L’esercito delle Bellezze”: un gruppo di volontarie che distribuivano cibo, medicinali, mangimi per animali e che si occupavano dell’evacuazione di persone e animali dalle zone di guerra verso la Russia e l’Europa. Nel maggio 2023 aveva lasciato la Russia denunciando minacce, ma nel febbraio 2024, al suo rientro, era stata subito arrestata.  Per il propagandistico Regnum questo è il percorso di una “russofoba e traditrice”. Per Meduza e Ovd-Info, invece, la storia di una volontaria finita negli ingranaggi di un processo politico.

Il baratro tra i due racconti

Il caso Rossinskaja mette così in luce la spaccatura tra due universi informativi contrapposti. Da un lato i media statali, che la dipingono come “terrorista e traditrice”, dall’altro i media indipendenti, che la descrivono come una volontaria condannata a una pena record per un semplice post sui social.  La condanna – 22 anni – dimostra di per sé l’inclinazione dello Stato russo a punire nel modo più duro anche un sostegno simbolico all’Ucraina. Oggi allo Stato russo non è necessario tornare alle repressioni di massa in stile staliniano. Per questo oggi non ci sono né le risorse né le condizioni: sarebbe impossibile creare un nuovo GULag per detenere centinaia di migliaia o milioni di persone. Bastano pochi casi esemplari con pene mostruose – “praticamente per nulla” – e la loro ampia diffusione nei media. Paura e intimidazione si ottengono con mezzi molto più limitati rispetto alla macchina repressiva totale del passato. Un passo grave sulla strada di un’ulteriore escalation repressiva è stata la dichiarazione, dello Stato russo sul ritiro dalla Convenzione Europea per la prevenzione della tortura. Scompare così uno degli ultimi strumenti di controllo esterno sul sistema carcerario.

Credit foto Pixabay

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