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No all’educazione sessuale a scuola: così vince la politica della paura
La Commissione cultura della Camera ha approvato un emendamento che vieta ogni attività di educazione sessuale fino ai 13 anni e impone il consenso scritto dei genitori alle superiori. Una scelta che allontana l’Italia dal resto d’Europa e ignora l’evidenza scientifica: parlare presto di affettività e consenso è protettivo. Psicologi e pedagogisti lanciano l’allarme: «Questo divieto è un disastro»
Niente attività didattiche e progettuali legate alla sessualità fino ai 13 anni, cioè per tutte le scuole secondarie di I grado. E alla secondaria di II grado servirà un consenso scritto preventivo dei genitori. È questo il controverso contenuto dell’emendamento presentato dalla deputata leghista Giorgia Latini al ddl Valditara sul “Consenso informato”, approvato negli scorsi giorni dalla Commissione cultura della Camera. Si tratta di un divieto che, dal punto di vista pedagogico, riporta indietro le scuole italiane di decine di anni e si pone su una strada completamente diversa rispetto a quella intrapresa in Europa, dove 20 Paesi hanno reso l’educazione sessuale obbligatoria. La stretta servirebbe – secondo le forze di Governo, che quell’emendamento hanno sostenuto – a proteggere i minori da “informazioni inadeguate”, ma è in contrasto con la quasi totalità delle evidenze scientifiche sul tema, che invece sottolineano quanto un discorso serio, approfondito e autorevole su questi temi sia protettivo per i più piccoli, sia per quanto riguarda il consenso, sia per l’età dei primi rapporti, sia per la prevenzione di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili.
Il corpo dei bambini è molto toccato. In questo contesto, imparare a dire di no è difficile. Ma è fondamentale: anche un bacio o un abbraccio possono essere una forma di violenza se imposti
Monica Castegnetti
Non dare risposte porta i bambini a cercarle in altri canali, come la pornografia
«Iniziare presto a parlare di questi temi è importantissimo», afferma Monica Castagnetti, psicopedagogista e consulente del Centro per la salute del bambino – Csb, «perché le domande e la curiosità sul mondo affettivo e sulla sessualità sono molto precoci nei bimbi e nelle bimbe. Loro chiedono risposte agli adulti di riferimento, ai genitori, ma anche agli insegnanti e agli educatori. Lasciare uno spazio vuoto porta a riflessioni individuali, che possono essere molto confuse».
I più piccoli, infatti, sono in grado di integrare solo con quello che conoscono, quello che gli viene spiegato. Non ottenere delle informazioni chiare e precise può permettere la formazione di paure. «La reazione dei bambini quando gli adulti mostrano una tendenza a non voler rispondere ai loro interrogativi è quella di non parlarne più», continua Castagnetti, «andando però a cercare le risposte su altri canali, come la pornografia, che mostrano comportamenti che non sono rappresentativi di un corretto rapporto col proprio corpo e con gli altri». Sempre più bambini e sempre prima, infatti, cercano su internet contenuti espliciti che – questi davvero – non sono adatti per la loro età.
Questa dinamica pone problemi anche rispetto all’accettazione dell’idea del consenso, che invece è fondamentale acquisire. «L’educazione al consenso è importantissima», dice la psicopedagogista, «e i fatti di cronaca dimostrano quanto siamo manchevoli culturalmente su questo. Dovrebbe cominciare fin da piccolissimi: il corpo delle bambine e dei bambini è molto toccato, senza che nessuno chieda loro se questo gli fa piacere, senza chiedere il permesso. Succede fin da quando sono in carrozzina o nel passeggino. Crescendo in questo contesto, imparare a dire di no è difficile ma è fondamentale: anche un bacio o un abbraccio possono essere una forma di violenza se imposti».
E cosa rispondono gli esperti all’accusa di qualche esponente del Governo, che afferma che l’educazione sessuale “spingerebbe” verso il mondo Lgbtqia+? «Non ha fondamento», risponde Castagnetti. «Il proprio orientamento sessuale riguarda ciò che sono, non è che lo apprendo perché qualcuno ne parla. Negare l’esistenza di qualcosa perché non ne voglio parlare è ottuso. Bisognerebbe educare all’accoglienza. Uno degli insulti più utilizzati è la parola “gay”: quanta strada dobbiamo ancora fare. La propria sessualità è legata a temi profondi, molto delicati, che si delineano piano piano. Sono pezzetti del nostro intimo che doniamo progressivamente solo a determinate persone; essere colpiti lì dove c’è la nostra parte più tenera fa davvero male».
L’intimità e la sessualità sono le basi del vivere insieme a vanno insegnate a scuola
«Ritengo davvero inammissibili questi inceppamenti istituzionali e politici sulla necessità di avere una legge sull’educazione sessuale a scuola, presente in tutti i Paesi europei», è il commento del pedagogista Daniele Novara. «L’idea che l’educazione, e in particolare l’educazione sessuale, porti necessariamente verso i temi Lgbtq+ è quantomeno grottesca e finisce col creare una situazione che definirei imbarazzante, per non dover usare termini più pesanti». Il business dei siti porno è ormai purtroppo rivolto anche – e tristemente soprattutto – ai ragazzini, che sono esposti così a modelli sessuali terribilmente misogini e all’idea che il corpo femminile possa essere assimilato a un oggetto. Questo, va da sé, può portare a forme estreme di possesso: un rischio che non si può e non si deve correre. «La politica deve intervenire attraverso la scuola, dando ai ragazzi e alle ragazze le informazioni necessarie e possibilità di riflessione e approfondimento. È la scuola il luogo elettivo per questa azione formativa», afferma Novara. «I genitori sono spesso troppo coinvolti emotivamente e non beneficiano di quella distanza che fa parte della comunità scolastica, dove si possono affrontare tematiche senza spiegoni, senza il giudizio genitoriale e senza quell’inevitabile effetto di respingimento che causano mamma e papà quando affrontano il tema della sessualità. La scuola è il luogo a cui la società delega la formazione delle nuove generazioni, l’apprendimento dei basilari per stare bene con sé stessi e con gli altri, ma soprattutto per vivere assieme. E la base del vivere assieme sono le relazioni affettive e sessuali».
Insegnare non significa avere la verità in tasca, ma creare spazio di dialogo anche con chi la pensa diversamente
Laura Formenti
Di sessualità si deve parlare, ma i formatori non devono essere troppo ideologizzati
«Questo divieto è un vero disastro», commenta Laura Formenti, ordinaria di pedagogia sociale e speciale all’università Bicocca di Milano. «Viviamo in un Paese dove le famiglie – ma in generale tutti quanti – sono veramente impreparate a fare un discorso serio sulla propria vita sessuale e su quella degli altri per proteggersi dalle violenze, stare bene con sé stessi e vivere il proprio corpo in maniera generativa e armonica».
Per la professoressa avere degli spazi in cui imparare a sentire il proprio corpo è fondamentale: «Non è solo una questione di prevenzione della violenza e del femminicidio, manca un’educazione del corpo a 360 gradi. C’è un accesso precocissimo ai porno, per esempio, che propugnano una visione del corpo violenta e degradante. I bambini sono da proteggere, ma anche da preparare. Non sono dell’idea che proibire abbia senso, bisogna insegnare a stare in un mondo complesso».
Sul porre un freno all’ingresso dell’educazione sessuale a scuola, però, riconosce Formenti, la politica ha certamente colto anche il sentire di larga parte della popolazione: «Penso che molti genitori siano d’accordo con questo divieto», dice Formenti. «Nulla di nuovo, ricordo quando le mie figlie erano alle elementari e c’era un’iniziativa di educazione sessuale e alcune famiglie si sono lamentate. L’indignazione che si è scatenata oggi viene solo da chi è più istruito o appartiene ad una certa classe sociale. A me spaventa molto il fatto che gran parte della popolazione non veda come un problema quanto successo».
Secondo la docente, tuttavia, essere troppo ideologizzati potrebbe costituire un problema e un limite per l’introduzione di una seria educazione affettiva nella scuola. «Bisogna stare attenti a non lasciare troppo spazio a formatrici e formatori che siano troppo ideologici, per esempio sui temi legati al genere, come dimostra il verbo “dovere” che si trova in molti scritti. Non si può far entrare chiunque in classe», dice. «Anche ai miei alunni cerco sempre di spiegare che insegnare non significa avere la verità in tasca, ma creare spazio di dialogo anche con chi la pensa diversamente». Interessante, invece, sarebbe un percorso di co-costruzione tra insegnanti e genitori, per creare un’alleanza con le famiglie. Se si vuole parlare di qualcosa ai ragazzi, si può discuterne prima tra adulti: «A scuola ci sono i patti di corresponsabilità e poi si vietano degli argomenti a priori?», si chiede Formenti. «Con questo emendamento i politici stanno trattando tutti noi, in particolare docenti e formatori, come dei bambini incompetenti che non sono in grado di fare scelte educative».
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