Dati Istat

Non profit, la rimonta del Sud

Nel corso della XXV edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile: sono stati presentati i nuovi dati Istat sul settore non profit in Italia. A fine 2023 le istituzioni non profit attive in Italia erano 368.367(+2,3% rispetto al 2022), con 949.200 dipendenti (+3,2%). Al Sud le realtà non profit sono cresciute più della media nazionale (+4,1%), mentre a livello occupazionale sono le Isole a registrare la migliore performance (+5,9%). Calano le cooperative sociali, aumentano le fondazioni. Meno della metà delle organizzazioni investe in formazione per i dipendenti

di Sara De Carli

Più istituzioni attive e più dipendenti, con una crescita che sta ricomponendo, piano piano, le differenze territoriali. È questa la nuova fotografia del non profit italiano, presentata da Istat nel corso della XXV edizione delle Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile, il tradizionale appuntamento di Aiccon – Centro Studi dell’Università di Bologna.

I dati fanno riferimento al  31 dicembre 2023 e vedono 368.367 istituzioni non profit attive in Italia (+2,3% rispetto al 2022), con 949.200 dipendenti (+3,2%). Tra il 2022 e il 2023 al Sud le istituzioni non profit sono cresciute più della media nazionale (+4,1% contro il +2,3% della media nazionale), mentre nelle Isole l’incremento è del 2,3%. Più contenuta la crescita al Nord-Est (+1,2%) e al Nord Ovest (+2,2%). Anche a livello occupazionale la forbice si ristringe: sono le Isole a registrare la migliore performance in termini di impiego di forza lavoro, con una crescita del +5,9%.

Gli ultimi dati di Istat sulle dinamiche e la trasformazione del settore non profit sono state illustrate da Massimo Lori, responsabile del Registro statistico delle istituzioni non profit di Istat e da Sabrina Stoppiello, responsabile del Censimento permanente delle istituzioni non profit.

«I dati Istat confermano l’esistenza nel nostro Paese di un comparto dinamico e in crescita, nonostante la complessità dell’attuale situazione socio-economica. Il Terzo settore, che rappresenta gran parte degli enti non profit e che rafforza negli ultimi anni la sua riconoscibilità grazie al Codice del Terzo Settore, dimostra di saper indicare una strada per coniugare ricchezza sociale ed economica. Siamo davanti a un modello che silenziosamente ma in maniera costante opera per la riduzione delle disuguaglianze e crea lavoro di qualità», ha commentato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore. «Di particolare interesse è la crescita che si evidenzia al Sud e il peso sempre maggiore delle attività di socializzazione, culturali, di promozione del volontariato e tutela diritti: è il segno della capacità del Terzo settore di rispondere anche alle esigenze, vecchie e nuove, di partecipazione delle persone e di opportunità di crescita personale e collettiva».

Attività ricreative: crescita a due cifre

Le istituzioni non profit risultano concentrate soprattutto nei settori delle attività sportive, cultura e attività ricreative. Quest’ultime in particolare registrano un incremento a doppia cifra (+13,7%) se confrontato al dato del 2022. Considerando i dipendenti, il settore di attività con il maggior numero di impiegati è legato al mondo della coesione sociale, istruzione e ricerca e relazioni sindacali. Secondo l’indagine la maggiore crescita delle non profit si registra nel settore della promozione sociale (+30% rispetto al 2022), e in misura minore nelle organizzazioni di volontariato (+4%).

La cooperazione sociale perde peso

All’interno dell’universo delle organizzazioni non profit, da notare la decrescita della cooperazione sociale (-2,6%). Diminuiscono lievemente le imprese sociali (-1,4%) e si registra invece una lieve crescita delle fondazioni (+2,5%). Dal punto di vista occupazionale la maggioranza dei dipendenti è concentrata nelle cooperative (53,6% del totale della forza lavoro impiegata), ma l’incremento maggiore in termini di occupati si ha nelle fondazioni (+4,5% rispetto al 2022).

Sono 213mila, pari al 64,1% del totale, le istituzioni non profit solidaristiche (Istat le chiama di pubblica utilità) che orientano le proprie attività alla collettività in generale e non solo ai soci (eventualmente presenti). «Rappresentano la componente che garantisce il perseguimento degli interessi di una comunità estesa, generando fiducia, coesione, solidarietà. Negli anni (dal 1999, anno della prima rilevazione censuaria sul settore) mostrano una tendenza crescente rispetto a tutte le dimensioni considerate: nel 2021 Il 64,1% delle Inp di pubblica utilità impiega il 75,4% dei volontari (3.480mila) e il 95,2% dei dipendenti del settore (851mila)», ha sottolineato Stoppiello.

Guardando alle mission perseguite abbiamo una rappresentazione plastica del ruolo che il settore non profit ricopre alla luce del principio di sussidiarietà. «Sono forme di organizzazione collettiva tese al riconoscimento e la tutela dei diritti dei cittadini; la cura di beni comuni materiali (come l’ambiente) o immateriali ; il supporto a soggetti in condizione di marginalità od esclusione (empowerment). La serie storica evidenzia anche qui una crescita delle non profit rispetto a tuti i ruoli evidenziati», continua Stoppiello.

Il contributo del settore non profit agli SDGs

Con l’obiettivo di cogliere l’impegno del settore non profit per il conseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, Istat ha proposto una rilettura delle attività svolte dalle istituzioni non profit: le istituzioni non profit nel loro complesso svolgono attività orientate a tutti i Goal dell’Agenda 2030, con 125 attività su 190 che sono riconducibili ad almeno uno degli obiettivi e sotto-obiettivi dell’Agenda. I settori di attività più interconnessi con gli SDGs sono: Sviluppo economico e coesione sociale, con attività riconducibili a 9 Goal; Assistenza sociale e protezione civile (8 Goal) Ambiente (7 Goal). I due terzi delle istituzioni non profit (67%) realizzano almeno un’attività orientata allo sviluppo sostenibile: in particolare le realtà impegnate nel Goal 11 – Città e comunità sostenibili sono circa 164mila, pari al 45,5% del totale: queste istituzioni non profit impiegano quasi 4 dipendenti su 10 del totale (40,5%) e due terzi dei volontari (77,7%). Elevato il contributo anche per il Goal 10 – Ridurre le disuguaglianze (22,2%), 16 – Pace e giustizia (17,2%) e 4 – Istruzione di qualità per tutti (16,0%). Sulla riduzione delle diseguaglianze sono attive quasi 80mila realtà non profit, pari al 22,2% del totale; almeno un terzo di esse opera nell’Assistenza sociale (32,2%).

Formazione e responsabilità sociale verso i dipendenti

Del tutto inediti i dati relativi alla formazione del personale. Fra le istituzioni non profit con dipendenti (53.087) quelle che hanno investito in formazione nel corso del 2021 sono il 44,8% del totale (23.788). Il 68,4% offre percorsi di formazione per l’aggiornamento delle competenze tecnico-operative legate alla mission, ma spicca anche l’attenzione per la formazione su lingue straniere (35,4%), gestione delle risorse umane (33,5%), valutazione d’impatto sociale (32,3%).

Quanto alle iniziative di responsabilità soiciale verso i propri dipendenti, il settore non profit agisce offre flessibilità oraria (59,6%), part time (49,6%), lavoro agile o smart working (47,4%). Le realtà attive nell’Assistenza Sociale e protezione civile, Istruzione e Ricerca, Attività ricreative e Sanità eccellono nell’implementazione di misure per il sostegno alla genitorialità (con percentuali che vanno dal 35,5% al 27,4%), mentre nei settori delle Relazioni sindacali e rappresentanza di interessi, Assistenza Sociale e protezione civile, Sanità e Sviluppo economico e coesione sociale sono più diffuse misure legate al welfare aziendale (30,5% – 23,6%). Infine le realtà attive dello Sviluppo economico e coesione sociale e Filantropia e promozione del volontariato lavorano molto per l’inclusione e diversità (rispettivamente 16,4% e 12,4%).

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